Tony Manero compie trent’anni
Sembra ieri, eppure è successo trent’anni fa. Un giovanotto americano lungo e magro, con una faccia un po’ da cavallo e un abito molto «burino», capelli appena abbondanti e fisico da gran ballerino, faceva esplodere attraverso gli schermi di tutto il mondo la disco music. Lui si chiamava John Travolta, il suo personaggio di perdinotti era Tony Manero; il film, La febbre del sabato sera. Certo, non era un’idea nuova la discoteca, né il fatto che i ragazzi a gruppi, anzi a branchi, in America come altrove vi si scatenassero ogni fine settimana. La novità fu un’altra: quel film segnò una svolta senza ritorno dall’«impegno» al «disimpegno». I «contenuti politici» che avevano spinto le follie sessantottine diventando poi l’ossessione dei plumbei anni Settanta, fecero «puf!» e si dissolsero come una bolla di sapone. Le cosiddette «masse giovanili» non ne potevano più di contestare e furono felici di scoprire il gusto di divertirsi senza coperture ideologiche: il ben noto «riflusso edonistico nel privato». Tony Manero cercava il riscatto dalla sua oscura vita di commesso non più impegnandosi per cambiare il mondo ma sgambettando agilissimo e felice nel clima surriscaldato della discoteca.
Per questo La febbre del sabato sera, pur essendo un film come tanti, divenne una specie di spartiacque nella cronaca e forse nella storia. Uscì in Italia nel 1978, cioè nello stesso anno in cui fu assassinato Aldo Moro, morirono Paolo VI e Giovanni Paolo I, il presidente Giovanni Leone fu costretto da una campagna infamante a dimettersi, l’assenteismo alla Fiat raggiungeva il 12 per cento. Ma, non dimentichiamolo, in quello stesso anno in Italia nasceva anche la tv commerciale. Sì, la storia stava proprio per cambiare.