Un’altra Italia oltre la crisi

Gli italiani stanno resistendo alla crisi, con creatività e capacità di reazione. Lo rivela il Censis che oggi parla di una nuova ripresa dal basso, che coniuga modernità e tradizione. Protagonisti le donne, gli immigrati e i giovani.
30 Giugno 2014 | di

L’Italia è in crisi, ma gli italiani non si sono mai arresi. Anzi, molti di loro si sono rimboccati le maniche per sé e per gli altri e hanno da tempo iniziato una risalita dal basso silenziosa, creativa, a tratti coraggiosa. Una specie di ripresa 2.0, fuori dalle telecamere e purtroppo anche dai riflettori della politica. Un piccolo miracolo all’italiana, che accade all’ombra delle cassandre e dello stillicidio continuo di dati negativi su disoccupazione, povertà e disagio sociale. Dati veri, per carità, eppure parziali. E in quanto parziali potenzialmente pericolosi perché fissano l’occhio sempre e solo sul bicchiere mezzo vuoto e rischiano di spegnere le energie positive del Paese.

A rivelarcelo è una recente ricerca del Censis in collaborazione con Eni, che ha al centro un concetto un po’ insolito, «il vigore», inteso come capacità di reazione, forza vitale e generativa presente sottotraccia in ogni ambito sociale, economico e persino psicologico. I ricercatori non hanno fatto un rilevamento apposito, è bastato navigare tra le cifre di 70 ricerche già fatte cambiando «gli occhiali» per vedere quello che a prima vista sfuggiva: sotto il segno del vigore ci sono luoghi, figure sociali, settori economici e persino stili di vita, che raccontano tutta un’altra Italia. «Non l’abbiamo fatto per spirito di contraddizione – scherza Giuseppe Roma, direttore generale del Censis –, né per fideismo cieco, ma perché abbiamo rilevato fattori importanti per il nostro futuro. Di conseguenza, anche i dati negativi ora appaiono sotto un’altra luce. Vi siete mai chiesti come può stare in piedi un Paese con i livelli di burocrazia, pressione fiscale e corruzione che ha il nostro?».
 
Il vantaggio delle relazioni
Prima dei dati economici, confortano i dati sociali: è finita l’era dell’individualismo e del consumo compulsivo. Gli italiani si sono resi conto che non era più possibile proseguire su questa strada. Sono cambiati stili di vita e di consumo sicuramente a causa delle minori risorse, ma anche perché fare diversamente è meglio: «Si scelgono con più oculatezza i consumi. Non è vero, come si è spesso detto, che gli italiani abbiano rinunciato a mangiare; nella maggior parte dei casi (escludendo ovviamente chi è in gravi difficoltà) hanno smesso di sprecare» puntualizza Roma. Ma l’Italia, a differenza di altri Paesi, ha un vantaggio sociale che non è mai tramontato con la crisi e che l’ha aiutata a resistere: la famiglia. «Abbiamo appurato – conferma Roma – che la famiglia è ancora il centro della società italiana. Persino le famiglie composte da una coppia o da un anziano non sono affatto sole, ma hanno ciascuna almeno nove relazioni importanti, che le sostengono».

Una schiarita c’è anche a livello economico. Da qualche mese la Banca d’Italia parla di «timidi segnali di ripresa». Nel 2013, l’anno peggiore della crisi, sono nate 1.053 imprese al giorno rispetto alle 1.018 che hanno chiuso i battenti. Le start up, le nuove imprese tecnologiche, sono circa 2000: ne sono nate 4 nuove al giorno. La spinta arriva soprattutto dall’export, anche se i segnali sono sparsi e disomogenei nel territorio. Le province del vigore sono soprattutto Prato, Monza-Brianza, ma anche Pescara, che sta a Sud, ha un più che onorevole quarto posto. Nella lista delle prime venti il Nord la fa comunque da padrone, ma la provincia italiana vince sulla grande città, tranne Milano, reduce dal successo del Salone del mobile e con le vele spiegate verso l’Expo del 2015.
 
I protagonisti del nuovo vigore
I protagonisti del vigore sono le donne, i nuovi italiani immigrati, e, cosa che fa particolarmente piacere, una cospicua fetta di giovani. Le donne sono rappresentate come «acrobate del multitasking», divise come sono tra impegni di famiglia e di lavoro. Sono a capo di un quarto delle imprese italiane, mentre sempre più donne assumono ruoli di responsabilità nelle gerarchie di comando. Molto attivi anche gli immigrati. Le loro imprese sono cresciute del 16,5 per cento tra il 2009 e il 2012 e del 4,4 per cento nel 2013. Le loro attività oggi rappresentano l’11,7 per cento dell’imprenditoria italiana. Ma la vera novità sono i giovani, quelli che di solito vengono rappresentati come rassegnati, passivi, viziati, con poche speranze di lavoro e futuro. Quelli bravi, è opinione comune, se ne vanno dall’Italia, sono i «cervelli in fuga».

La ricerca sottolinea che ci sono anche trend diversi, che molti bravi vanno e vengono, portano idee, comportamenti, stili di vita nuovi. In Italia attualmente 3 milioni e 700 mila giovani sotto i 34 anni vanno all’estero per studio e per lavoro: sono i «pendolari globali», che la ricerca individua come «formidabile fertilizzante socio-economico». Altro che seduti, precisa Giuseppe Roma: «Gli attuali ventenni sono la generazione più coraggiosa che abbia mai avuto l’Italia. Si spostano ma non si considerano emigrati. La loro geografia fisiologica è grande almeno quanto l’Europa. Vanno all’estero non solo per lavoro, ma perché lì trovano maggiori possibilità di rea­lizzazione personale. Magari fanno i baristi a Londra e studiano, entrano in uno studio di architettura ma fanno i capi cantiere. Mescolano manualità e saperi. Fanno un figlio in Germania perché sanno che in quel Paese è un valore e saranno sostenuti». Sono giovani proiettati in avanti nonostante i loro genitori iperprotettivi, i quali sono «più inclini a fare un ricorso al Tar per una bocciatura che ad assecondare il loro vigore».

E ogni volta che tornano in questo Paese vecchio e stanco tali giovani sono una benedizione: molti di loro avviano iniziative imprenditoriali, professionali o semplicemente apportano nuova linfa nelle realtà produttive del territorio. «I più innovativi – riporta la ricerca – tendono a miscelare competenze, spesso tecnologiche, accumulate all’estero, con le tradizioni locali». Tra di loro ci sono anche gli «eredi innovatori» giovani che tornano per prendere in mano l’azienda di famiglia e innovano modalità organizzative, produttive e commerciali. Colpisce il fatto che molti di questi giovani, spesso grazie al sapiente utilizzo della Rete, riescano a rivitalizzare zone bollate come depresse, specie al Sud. Tra i settori più promettenti il tecno-artigianato, che coniuga nuove tecnologie e saperi artigiani; l’economia verde attenta al riciclo, alle fonti rinnovabili e al risparmio energetico; l’agricoltura rivitalizzata da tecnologie innovative e da un mix di valori che mette insieme prodotti tipici, ecologia, buona tavola, turismo responsabile e socialità. A guidare non è più il solo profitto, ma la capacità di fare rete e il valore sociale di ciò che si produce.
Segnali ancora timidi, ma finalmente c’è di che sperare.
 

La creatrice di start up sociali
di Alberto Friso
 
Da consulente Onu di sfide ne ha già vinte tante: ora punta a far innamorare i giovani della scienza.
 
Italia Afghanistan andata e ritorno. Non è un soldato Selene Biffi, ma un’imprenditrice sociale che a poco più di 30 anni ha già lasciato traccia del suo operare in molti angoli del pianeta, e in particolare in Italia, India e, appunto, Afghanistan, dove è tornata a fare il suo lavoro – ovvero creare start up sociali – dopo aver scoperto il tormentato Paese asiatico da consulente Onu. Come si arriva a tanto in così poco tempo? «In Italia nessuno voleva dare credito a una ventenne, allora ho pensato di fare da sola» spiega la giovane donna di Monza. «Fare da sola» ha significato fondare a 22 anni, con 150 euro di budget, Youth Action for Change, organizzazione no profit che offre programmi gratuiti di formazione peer-to-peer (da giovani a giovani, dai 15 ai 29 anni). Ne hanno usufruito migliaia di ragazzi di 130 Paesi, incentivati così a diventare protagonisti del cambiamento in positivo delle proprie comunità.

È solo un assaggio dell’attività di Selene. Per raccontare la sua storia servirebbe un libro, che in effetti è appena uscito per Sperling & Kupfer, col titolo La maestra di Kabul. Provare a cambiare il mondo con una scuola per cantastorie. La scuola è The Qessa Academy, per ragazzi dai 18 ai 25 anni, che punta a «tutelare la tradizione orale dei cantastorie – racconta Selene –, creando allo stesso tempo un’opportunità di lavoro e supportando questi giovani nell’ideazione di nuove narrative. L’Afghanistan è un Paese dilaniato dalla guerra dove progetti come il nostro sono preziosi strumenti di trasmissione culturale che possono essere una leva per l’emancipazione; essere riuscita a realizzare un progetto così ambizioso e impegnativo è per me un orgoglio».

E in Italia? Ecco l’ultima sfida, Spillover, «start up a vocazione sociale che vuole rendere la scienza una roba cool», quando oggi un europeo su due la trova «assolutamente noiosa». «Vogliamo innescare una mentalità differente, per suscitare interesse da parte delle nuove generazioni verso la scienza, anche a livello lavorativo. Spillover è un progetto di edutainment digitale (forma di intrattenimento che educa divertendo, ndr), quindi in linea con i trend attuali». Prima uscita è The Agency. Operazione Vanishing Lady, videogioco su iPad che incrocia svago, spionaggio e… chimica, la vera protagonista dell’iniziativa. E da qui a cinque anni? «In quest’arco di tempo speriamo di aver sviluppato numerose app, e di aver diffuso forme innovative di educazione non formale a livello scolastico e non. I prossimi step? Il lancio della app in inglese e la versione per smartphone del videogioco. I game a cui lavoreremo avranno come focus esperimenti legati all’intelligenza artificiale, alla robotica e alla genetica. Lo so, ci hanno già provato in tanti a rendere più interessante la scienza. Bene, ci proveremo anche noi». Visti i precedenti, sul suo vigore c’è da scommettere.
 
 
Dromedari di Sicilia
di Claudio Zerbetto
 
L’iniziativa di Santo Fragalà, giovane veterinario catanese.
 
«Azienda agricola Gjmàla»: il cartello è affisso davanti alla fattoria in Contrada Ronzini, a Trecastagni (Catania). Qui, alle falde dell’Etna, Santo Fragalà, 26 anni, veterinario, dottorando in fisiologia equina ed esperto in animali esotici, ha deciso di avviare un allevamento di dromedari. È il primo in Italia, il secondo in Europa. Lo scopo: offrire nuovi prodotti alimentari e cosmetici. La linea lattiero casearia, con la produzione di latte crudo, formaggi, biscotti sta prendendo piede, mentre quella cosmetica è già avviata. Bagno schiuma emolliente, crema per mani e viso vengono realizzati con il latte di dromedario in polvere. Per il momento è importato, visto che i dromedari devono ancora raggiungere il loro normale ciclo produttivo. Le due femmine, infatti, sono al termine della loro gravidanza e presto la «famiglia» aumenterà di numero.

Santo appartiene alla seconda generazione araba in Sicilia. «Il mio rapporto con i dromedari – afferma – era già scritto nel mio Dna». L’idea gli è venuta facendo una ricerca sui fosfolipidi nel latte di diverse specie, che gli ha fatto scoprire le qualità del latte di dromedario. È stata la scintilla che lo ha spinto ad avviare il suo allevamento. Passione e spirito d’iimpresa non gli mancano. «Più volte – confida – ho pensato di fuggire oltre i confini, per una meta che magari potesse darmi più certezze. Ma poi ho considerato quello che avrei lasciato e quello che avrebbe potuto darmi l’Italia. Ho così scommesso sulla mia Sicilia e su questa nuova attività».

Le giornate di Santo sono particolarmente intense: sveglia presto al mattino per dare da mangiare ai dromedari e agli altri animali ospitati nella fattoria: pavoni, tartarughe, caprette. Il resto del giorno è dedicato alle visite in ambulatorio. L’allevamento, comunque, sta diventando l’attività principale di Santo, perché richiede sempre più impegno e tempo. I prodotti di dromedario sono una nicchia nel mercato europeo.

«Il latte di dromedario – spiega Fragalà – è cinque volte più ricco di grassi polinsaturi, quelli buoni. Consente di allattare in modo esclusivo i bambini intolleranti al latte vaccino senza l’aggiunta di altri nutrienti. È un perfetto sostituto del latte materno e costa meno di quello artificiale».

Carmen, Jamila e Mustafà, questi i nomi dei dromedari, sono docili e mansueti e hanno dimostrato di essersi ambientati nella loro nuova «casa». «Non è stato facile portarli in Italia – ammette il giovane veterinario –. L’importazione e la vendita di latte di dromedario e prodotti derivati è stata approvata e resa legale dall’Unione europea soltanto di recente. Stabilito anche il luogo di provenienza: gli Emirati Arabi, dove gli allevamenti sono esenti da afta epizootica e sottoposti a meticolosi controlli sanitari». Ma c’è anche un aspetto didattico che sta a cuore a Santo: «Informare sulle proprietà nutrizionali del latte e far conoscere ai visitatori la geografia degli Emirati Arabi e dell’Africa settentrionale».
 
 
La moda con qualcosa in più
di Laura Pisanello
 
Anna Fiscale è una giovane veronese. Insieme con un gruppo di amici ha creato una cooperativa che unisce mercato, etica e sociale.
 
Anna Fiscale ha 26 anni, freschezza, entusiasmo e ottimismo. Ha già un bilancio solido alle spalle: una formazione di tutto rispetto, progetti di cooperazione in India, ad Haiti nei campi profughi, e soprattutto un sogno realizzato che si chiama Quid, una cooperativa che produce moda etico-sostenibile, che realizza e mette sul mercato (principalmente tramite tre punti vendita a Verona, Trento e Vicenza) capi di abbigliamento fatti con le rimanenze di magazzino messe a disposizione da grossi marchi. Ma c’è di più, perché gli abiti vengono realizzati da donne con un passato di fragilità e difficoltà. Il logo di Quid, non a caso, è una molletta capace di unire l’etica al mercato. Anna e i suoi amici (nel 2012 cinque, diventati oggi sette, tutti dai 26 ai 32 anni) sono riusciti a realizzare un bilancio di oltre 90 mila euro nel 2013, e di recente a portare a casa un premio prestigioso, l’European Social Innovation Competition, come a dire che l’Europa per guardare con fiducia al suo futuro deve andare in questa direzione.

«Mi sono laureata in Economia a Verona, ho fatto l’Erasmus a Londra – racconta Anna –. Ero appassionata di microcredito ed emancipazione femminile e questo mi ha spinto ad andare a lavorare in India in una ong locale. Per la specialistica mi sono spostata a Milano, alla Bocconi, ed essendo stata selezionata per la doppia laurea, mi sono laureata anche a Parigi in Scienze politiche. Ho fatto poi un tirocinio alla Commissione europea, quindi ho voluto tornare a Verona, la mia città, per ritrovare amicizie e sviluppare questo progetto. L’idea è stata quella di mettere insieme aspetti di mercato con il sociale e il rispetto per l’ambiente. Ogni capo – continua Anna – ha in più un contenuto etico, sociale e ambientale». I prodotti di Quid sono artigianali, in edizione limitata, e ogni settimana si rinnovano proprio perché i tessuti a disposizione cambiano continuamente.

Anna Fiscale ha una «segreta» fonte di ispirazione che è Chiara Castellani, medico e missionaria laica. Svela: «Quando ero ancora al liceo, ho letto un suo libro che mi ha molto cambiata, aumentando in me la consapevolezza del ruolo sociale che ognuno di noi può avere, dell’importanza di prendersi cura delle altre persone. Almeno dal mio punto di vista l’aspetto della fede, insieme con quello del volontariato, è sempre stato un quid (qualcosa) in più nel lancio del nostro progetto».


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017