La memoria del Santo rivive nel suo Museo

Con i suoi quadri e crocifissi, le tarsie lignee e le statue bronzee, il Museo antoniano è un punto di riferimento per tutti i devoti al Santo. Ancor più da quando ospita una singolare mostra dedicata a Donatello.
25 Settembre 2015

In un ipotetico podio che renda onore al merito dei grandi artisti che hanno operato nella Basilica del Santo e a Padova, sul posto più alto va collocato il fiorentino Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, insieme, ex aequo, con il geniale conterraneo Giotto. A Donatello la città di Padova ha dedicato quest’anno diverse esposizioni, motivate in parte dalla recente attribuzione allo scultore fiorentino del Crocifisso in legno dipinto della padovana chiesa dei Servi. Una delle mostre è tuttora ospitata in una sala al pianterreno del Museo antoniano, recentemente recuperata e allestita per tale scopo. Si tratta di un’attrazione singolare, perché non ha esposto alcuno dei capolavori di Donatello. Questi sono rimasti al loro posto (il Crocifisso, nei mesi scorsi, è stato esposto al Museo diocesano), nel grande altare maggiore della Basilica, dove li ha collocati nel 1895 l’architetto Camillo Boito. In posizione tale (luogo e altezza) da rendere impossibile al pellegrino di gustarne la formale perfezione, la struggente bellezza dei tratti e l’emozione dei sentimenti che l’artista vi ha impresso.

Che fare per dare un’idea, non solo con parole, di cotanta bellezza? Una soluzione possibile è la fotografia, in grado di far emergere, attraverso il gioco delle luci, le varie dimensioni della figura, esteriori e interiori. Convinti di ciò, gli allestitori della mostra non hanno fatto altro che allineare lungo le pareti della sala le riproduzioni fotografiche delle opere di Donatello, in scala 1:1, cioè a grandezza naturale, a figura intera o esponendo particolari di essa. La mostra, destinata a diventare permanente come sezione del Museo, ha scopo didascalico e propedeutico. Intende, cioè, offrire plasticamente al pellegrino che si appresta a visitare la Basilica alcune informazioni essenziali che gli consentano di conoscere a grandi linee i capolavori in essa custoditi, anche in assenza di una loro soddisfacente visione.

Raccolta preziosa L’esposizione dedicata a Donatello ci permette di focalizzare l’attenzione sul Museo antoniano più in generale, sulla sua collocazione (vi si accede dal chiostro del beato Luca Belludi) e sulla sua storia. Già allo scadere del XIX secolo i frati cominciarono a raccogliere oggetti di vario valore legati alla vita della Basilica e al culto del Santo. Una raccolta che solo in tempi a noi vicini (1995) ha potuto esordire con la dignità e la professionalità di museo, oggi suddiviso in due settori. Quello situato al piano terra espone oggetti strettamente legati alla devozione, come gli ex voto; l’altro, al piano superiore, testimonianze storiche e artistiche. Consigliamo di partire da quest’ultimo: una vasta sala, al centro della quale è stata innalzata un’originale struttura (soppalco), per guadagnare spazi espostivi, ma anche per consentire, dal piano superiore, una veduta più diretta di alcune opere.

Di quanto esposto – non tantissimo – segnaliamo quel che ci pare più interessante. Come i frammenti di una crocifissione (che raffigurano il volto della Madonna e quello dell’apostolo Giovanni) affrescata nei primi anni del Trecento dal Maestro del Coro Scrovegni, l’anonimo artista che ha completato la decorazione pittorica della Cappella degli Scrovegni dopo la partenza di Giotto. O come le quattro statue di eccellente fattura, provenienti dal vecchio altare demolito della Cappella di San Giacomo in Basilica,  che si incontrano subito dopo: la Madonna con il Bambino, san Pietro, san Paolo e san Giacomo, scolpite da Rinaldino di Francia nella seconda metà del Trecento.

Proseguendo nel nostro percorso ecco, in alto su una parete, brillare la lunetta affrescata da Andrea Mantegna (1452) per il portale della Basilica: al centro, il monogramma radiante di Gesù, sorretto dai santi Bernardino da Siena (a destra) e Antonio di Padova.

Interessante l’abbozzo di affresco tratteggiato con terra rossa (sinopia), emerso dai restauri nella Sala priorale della Scuola del Santo e attribuito ai fratelli Tiziano e Francesco Vecellio. Di grande rilievo, inoltre, due nutriti gruppi di bronzi: il primo (i dodici apostoli, quattro dottori della Chiesa e le otto sibille) è stato realizzato da Domenico Campagna tra il 1580 e il 1582 per l’altare maggiore che sostituiva quello demolito di Donatello. Quando anche questo fu abbattuto, i bronzi finirono nell’altare della Cappella del Santissimo, presto affiancati da altri (Cristo morto, nove profeti, Isacco e la moglie), opere non eccelse di Bernardo Falconi. Di maggior pregio appaiono il crocifisso e i due candelabri bronzei attribuiti a Tiziano Aspetti, l’ideatore dell’originale altare della tomba del Santo. D’indiscusso valore, le grandi pale d’altare che tappezzano un’intera parete, provenienti dalle cappelle radiali della Basilica. Della più illustre di esse, il Martirio di sant’Agata (1735-36) è autore Giambattista Tiepolo. Ammirevoli per l’intensa drammaticità e la sapienza compositiva, sono la pala con il Martirio di san Bartolomeo di Giambattista Pittoni (1735), e quella con la Decollazione di san Giovanni Battista, opera di Giambattista Piazzetta, ultimata nel 1744.

Da ammirare, poi, i sei pannelli di legno intarsiato (tarsie) che riproducono prospettive di città. Opera paziente del modenese Pierantonio degli Abbati, sono stati creati nel 1489 per arredare armadi e banchi del coro della Basilica. Dalle vetrinette del soppalco ostentano la loro bellezza tessuti e paramenti sacri, finemente orditi e ricamati nelle botteghe sartoriali veneziane. Aggiunge preziosità al ricco repertorio un campionario di oggetti di oreficeria per uso liturgico (calici, pissidi, ostensori, reliquiari e cartegloria…) di scuola veneta, ma anche tedesca, come il cinquecentesco Centrotavola in forma di nave della Bottega di Norimberga. Ma il Museo antoniano non finisce qui. Al pianoterra troviamo, infatti, la sezione dedicata alla devozione popolare (vedere il riquadro in basso), dove sono esposte numerose  attestazioni di grazie ricevute per intercessione di sant’Antonio: ex voto di ogni tipo, copie di celebri reliquiari, il Si quaeris miracula (Se chiedi miracoli, la più nota invocazione al Santo) in lingua cinese, un gran numero di «santini» giunti da ogni parte del mondo e molto altro.  ZOOM Una galleria di «grazie»   La visita a un santuario è spesso motivata dalla riconoscenza per una grazia ricevuta, che è a sua volta testimoniata dall’«ex voto» offerto alla Madonna o al santo intercessore. Attorno alla tomba di sant’Antonio tali espressioni di gratitudine sono sempre state numerose. In passato, quelle particolarmente espressive sono andate ad arricchire la sezione dedicata alla devozione popolare del Museo antoniano. In un certo senso, dunque, si può dire che gli ex voto (abbreviazione dal latino ex voto suscepto, secondo la promessa fatta) documentano la storia «viva» del Santuario. Molti di essi riguardano la sfera della salute e raffigurano l’organo malato o gli oggetti connessi con la malattia (strumenti medici, attrezzi ortopedici). Non mancano ex voto che indicano un comportamento. Un esempio su tutti: gli abitini dei bambini, che – indossati a mo’ di fioretto per un determinato tempo (di solito un anno) – li trasformavano in «piccoli sant’Antonio».

Che dire poi delle tavolette dipinte raffiguranti l’evento cui si riferisce la grazia? Sono documenti storici, ma anche esempi di spontaneità naif. Questi manufatti rappresentano di solito l’istante che precede la grazia, quello della crisi: malati gravi al cui capezzale si prodigano i medici o il sacerdote chiamato per l’estrema unzione, briganti che sparano su un passante, bambini che cadono dalle scale, incidenti di vario genere… Nel momento della tragedia Qualcuno «dall’alto» interviene, richiamato nel dipinto dall’immagine sacra (sant’Antonio da solo, ma anche associato alla Madonna col Bambino) che domina la scena. 

Tra tutte le tipologie di ex voto, le tavolette dipinte esprimono in modo completo la grazia ricevuta, attraverso la rappresentazione spesso particolareggiata del caso, la visualizzazione dell’intervento divino e l’attestazione della grazia.

«Fare un voto» presume una sensibilità religiosa matura. Per religiosità s’intende l’atteggiamento umano che realizza il rapporto con Dio, popolare in quanto la trasmissione del messaggio religioso avviene in modi e dimensioni recepibili al minimo livello culturale. Ma la promessa fatta nel voto non ha il carattere delle promesse umane, fatte per l’utilità dell’altro, perché nella promessa fatta a Dio l’utilità ricade su di noi: «Facendo il voto fissiamo immutabilmente la nostra volontà in ciò che ci occorre fare» (san Tommaso d’Aquino). Il voto, più che catturare Dio, sostiene dunque la volontà dell’uomo, rendendola ferma nella pratica del bene. Ecco perché formulare una promessa e adempiervi rientra tra i modi di onorare Dio e manifesta una sana religiosità.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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