Nuovi «emigrati», linfa per le associazioni
Le associazioni italiane in Australia sono una realtà in continuo movimento, per questo non è facile fare previsioni sul loro futuro. Si sente spesso dire, con rassegnazione: «Tra dieci anni sarà la fine di un’epoca», ma il ritornello ormai è vecchio e, pessimismo a parte, nessuno sa di preciso cosa succederà. Una cosa, però, è certa: complice l’evoluzione di tecnologia e comunicazioni, Italia e Australia saranno sempre più vicine. Si può ipotizzare, dunque, che a breve sorgeranno nuove forme di associazionismo, più evolute rispetto a quelle tuttora esistenti nel Continente oceanico. In attesa di questo cambio di rotta, i club «storici» proseguono le loro attività tra serate conviviali, cene di gala, celebrazioni d’anniversario e commemorazioni patriottiche. Sorte negli anni Cinquanta e Sessanta dal bisogno degli emigrati italiani di creare uno spazio tutto loro in una terra all’epoca poco ospitale, oltre mezzo secolo dopo queste associazioni vantano ancora calendari ricchi di eventi e – fatto ancora più incoraggiante – una schiera di nuovi iscritti.
Sono i bambini di ieri, quelli che frequentavano il circolo al seguito dei genitori e che ora, giunti al giro di boa dei cinquant'anni, tornano in quegli stessi club per riscoprire la semplicità e i valori della famiglia italiana d’un tempo.
Iscriversi a un’associazione, però, non è l’unico modo per far rivivere lo spirito del Belpaese in Australia. In aiuto a chi sente il bisogno di tenere vive le proprie tradizioni vanno anche le feste religiose, come quelle dedicate ai santi patroni delle comunità paesane d’Italia.
Sono giornate di aggregazione e solidarietà che capitano una volta all’anno e che, tra processioni, sfilate di bimbi vestiti da angioletti ed esibizioni delle varie bande di turno, trasformano un quartiere qualsiasi di Melbourne in un pittoresco scorcio quale si potrebbe trovare a Vizzini (Catania), Capistrano (Vibo Valentia), Falcone (Messina), Conflenti (Catanzaro) o Rofrano (Salerno). È un’Italia fuori dall’Italia che rivive nell’emisfero sud del mondo.
Espatriare per crescere
Gli italiani tra i 25 e i 35 anni che scelgono l’Australia in cerca di una vita migliore sono tantissimi. Circa 5 mila giovani all’anno entrano in questo Paese con un visto turistico o di lavoro valido un anno. «Quaggiù non si parla più di fuga di cervelli, ma di esodo o di diaspora» spiega Andrea Buonaguidi, che ha fondato «Melbournepuntoit», un network di aggregazione per i nuovi arrivati. «Sulla mia pagina Facebook noi italiani emigrati a Melbourne siamo 750. Abbiamo professionalità e titoli di studio diversi. Ad accomunarci è la scelta di lasciare l’Italia alla ricerca di una vita migliore». Buonaguidi insegna in un liceo e, nel tempo libero, crea siti web per gli italiani «fuggiti» dal Belpaese: ne ha già realizzati cinquantatre, tutti siglati «puntoit». «Circa 3.800 ragazzi (da tutto il mondo, ndr) consultano le mie pagine, ma è la comunità australiana la più unita, forse per la distanza che la separa dal Paese d’origine. Quaggiù stiamo creando una nuova Italia, più forte e ottimista nel futuro».
Messe da parte nostalgia e paura di fallire, i «nuovi arrivati» a Melbourne hanno attivato un’assistenza reciproca tra coetanei. «Negli ultimi quattro anni – continua Buonaguidi – sempre più ragazzi e ragazze sono riusciti a ottenere visti permanenti, potendo così iniziare una carriera o avviare un’attività. È una cosa che deve renderci tutti orgogliosi, perché il successo di uno è il successo dell’intera comunità». Questa coesione tra giovani neo-emigrati si è resa evidente l’estate scorsa, durante i Campionati europei di calcio in Polonia e Ucraina. Tramite il social network Facebook, i connazionali di Andrea Buonaguidi si sono dati appuntamento in un grande locale di Melbourne per assistere in diretta – e quindi alle prime ore dell’alba –, alle partite di calcio degli azzurri. «È stata un’occasione importante per rafforzare lo spirito di comunità – commenta il fondatore di “Melbournepuntoit” – e per conoscere di persona i nuovi arrivati, che trovano in questa nostra comunità supporto e vicinanza». Secondo Andrea Buonaguidi il momento più emozionante di ogni incontro è stato quando i calciatori in campo hanno intonato l’inno nazionale.
Anche a Melbourne «veniva spontaneo a tutti cantarlo a voce alta e credo che chiunque nel locale ne fosse toccato, poiché baristi, gestori e clienti venivano nella sala ad ascoltarci». L’amor di patria dei giovani italiani emigrati in Australia non conosce confini geografici e non si fa scoraggiare dalle distanze o dalla crisi economica. «Arriverà il momento anche di una diaspora al contrario – conclude Buonaguidi –, e allora saremo noi, i ragazzi scappati all’estero, che torneremo in Italia per aggiustare le cose».
Nella terra dei sogni
Erika Caprile, di Rapallo (Genova), laureata in psicologia, è una delle venticinque giovani assistenti linguistiche giunte quest’anno nel Continente oceanico con un contratto di lavoro annuale: «Al momento l’Australia è la terra dei sogni per tanti giovani italiani – riflette la ragazza –. Ho avuto la fortuna di ottenere questo lavoro tramite l’Università di Genova e grazie al Comitato assistenza italiani (Co.as.it.) di Melbourne. Ma già penso a come fare per rimanere in Australia in futuro».
Da quando è arrivata a Melbourne, Erika ha già stretto molte amicizie con altri neo-emigrati italiani. Non è riuscita, tuttavia, a prendere contatti coi coetanei italo-australiani. Per la giovane ligure, è ora che si crei un ponte tra i «nuovi arrivati» – che sono ancora italiani al cento per cento – e chi invece, pur condividendone le origini, vive ormai da anni nel nuovo continente e fatica a ricordare lingua e tradizioni del Belpaese.
In attesa che l’associazionismo italiano in Australia si evolva, inglobando entrambe le categorie, Giampiero Pallotta, imprenditore residente a Sydney, fa un bilancio sull’emigrazione bianco-rossa-verde nella Terra dei canguri: «L’attuale flusso migratorio non può essere paragonato a quello dei secoli scorsi o del dopoguerra di sessant’anni fa. Allora gli italiani che partivano erano per lo più contadini e operai, oppure lavoratori non specializzati che fuggivano dalla fame e cercavano fortuna».
Molti di loro hanno raggiunto l’obiettivo fondando numerose associazioni, grandi club e importanti enti, ma anche organizzando migliaia di feste e manifestazioni per autofinanziarsi. In questo modo, sono riusciti a mantenere vivo lo spirito italiano in terra straniera. «Ma il tempo è trascorso inesorabile e quello che era attuale cinquant’anni fa ora non lo è più. C’è la consapevolezza che occorre un drastico cambiamento – conclude Pallotta –: è ora di passare la mano alle nuove generazioni. Spetta ai giovani rivitalizzare l’associazionismo italiano e portarvi una ventata di novità».