I giovani di oggi sono molto diversi da quelli di ieri, perché repentino è stato il cambiamento sociale degli ultimi decenni. Agli adulti spetta la responsabilità di non sottrarre loro la dimensione della generatività, senza la quale non c’è futuro.
Ci sono segni di speranza anche nell’età anziana. Ma è necessario guardarla come una fase della vita con opportunità proprie. Può essere tempo di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza, di recupero dei rapporti incrinati…
Visitare una persona malata significa farle spazio. Significa porsi in una posizione che sa coniugare impotenza e non-inutilità. Impotenza di fronte al suo soffrire, non-inutilità nel restare accanto donando tempo e presenza, ascolto e parola.
Davvero è utopistico immaginare una società senza carcere, dove in cella finisce solo chi si è macchiato di reati particolarmente gravi o è a rischio di reiterazione?
È un’utopia la pace? Forse, ma alimenta il nostro desiderio di camminare in direzione del bene. Un bene di cui quei luoghi che della cura hanno saputo fare il loro punto di forza, sono immagine. Piccoli semi, anticipazione del Regno.
La nascita è il miracolo, dice Hannah Arendt, che preserva il mondo dalla sua rovina infondendo fede e speranza nei viventi. Ma ogni nascita è tale perché esiste l’altro, esiste una relazione. Costruire speranza è, dunque, costruire comunità.