In tempi in cui si sogna di colonizzare pianeti sotto il nome di una nazione, il Giubileo ci ricorda la verità elementare che la terra è di Dio e solo così è anche di tutti e non solo di qualcuno.
Occorre riconoscere l’essere umano dietro a etichette come «povero» e «mendicante». Occorre dare voce a chi non ce l’ha e dare visibilità a chi è invisibile. L’altro esiste quando accettiamo di vederlo, incontrarlo, ascoltarlo.
All’interno di ciascuna chiesa e tra le chiese occorre sempre passare dall’io al noi, e imparare a pensare «con» l’altra chiesa, non senza o contro o davanti o sopra o prima di essa.
Immaginiamoci in una situazione simile a quella di tanti migranti: sradicati da casa nostra, strappati alla nostra lingua madre, in cerca di un futuro per noi e i nostri cari mossi da disperata speranza. Che cosa faremmo?
I giovani di oggi sono molto diversi da quelli di ieri, perché repentino è stato il cambiamento sociale degli ultimi decenni. Agli adulti spetta la responsabilità di non sottrarre loro la dimensione della generatività, senza la quale non c’è futuro.
Ci sono segni di speranza anche nell’età anziana. Ma è necessario guardarla come una fase della vita con opportunità proprie. Può essere tempo di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza, di recupero dei rapporti incrinati…