Alla guida di una grande famiglia
Accompagnare i devoti nel dare un senso al loro pellegrinaggio facendone un percorso di conversione e di misericordia è il servizio principale reso dai religiosi della comunità del Santo, alla cui guida, nei ruoli di «guardiano» (superiore) e di rettore della Basilica, è stato eletto da papa Francesco, lo scorso ottobre, padre Oliviero Svanera, che succede a padre Enzo Poiana prematuramente scomparso lo scorso agosto.
Padre Oliviero, 57 anni, è bresciano, di Gazzolo, frazione di Lumezzane, industrioso centro della Val Trompia, versato nel settore della torneria, rubinetteria e casalinghi in acciaio inossidabile, nelle cui officine l’ancor giovanissimo aspirante alla vita religiosa Oliviero trascorreva le vacanze estive, contribuendo alle necessità della numerosa famiglia, ricca di otto figli.
Gazzolo è anche il paese natale di padre Antonio Bolognini, primo superiore della rinata Provincia patavina dei francescani conventuali, separatasi nel 1907 dalla consorella provincia croata alla quale s’era associata per sopravvivere alla soppressione degli ordini religiosi imposta dal regio governo italiano.
Ripreso possesso dei conventi di Camposampiero e dell’Arcella, legati alla figura e alla vita del Santo, padre Bolognini ha voluto arricchire la vita spirituale del proprio paese con la presenza di una comunità francescana in una chiesa dedicata a sant’Antonio di Padova.
Tale richiamo è pertinente, perché è in quest’ambito che nasce e matura la vocazione alla vita religiosa francescana di padre Oliviero, nella quale si distinguerà come docente di teologia morale, superiore, animatore di gruppi di formazione alla vita matrimoniale da lui stesso avviati e di vicario provinciale.
Ora si accinge a vivere quello di rettore di uno dei più celebri e frequentati santuari del mondo. Con quale spirito? Glielo abbiamo chiesto.
Msa. Essere scelti dal Papa a svolgere un ruolo importante, com’è quello di rettore della Basilica di sant’Antonio, è un bel segno di stima, ma anche un carico di responsabilità. Come sta vivendo l’avvio del nuovo ufficio?Svanera. Che sia un segno di stima è indubbio. La scelta su una terna di candidati presume la conoscenza e la valutazione di un certo curriculum. Io ho alle spalle l’esperienza accademica, quella di formazione dei nostri teologi e di vicario provinciale, dopo essere stato superiore dei Santuari antoniani di Camposampiero. Il momento della scelta è particolare perché segnato dalla morte improvvisa e prematura di padre Enzo, che ha costretto l’anticipo di un avvicendamento prevedibile nel capitolo del prossimo anno. Per me la nomina ha richiesto la revisione di iniziative e di attività. Ho la consapevolezza di trovarmi in un luogo speciale, unico e prezioso di cui intuisco il valore, ma sarà standoci dentro che potrò coglierne per intero la portata.
Giusto per farcene un’idea, ci può elencare i compiti del rettore della Basilica? Si muovono su più versanti. Il primo è il compito di «guardiano», di superiore, di una comunità particolare e numerosa, forte di una cinquantina di frati, provenienti da diverse Paesi del mondo per rispondere alle esigenze di una Basilica internazionale. Religiosi di età, formazione e provenienze diverse, che richiedono cura, attenzione e animazione. Un altro è sul versante amministrativo, dove al rettore è richiesto di partecipare al consiglio di amministrazione della Basilica che, essendo pontificia, è gestita dalla Santa Sede attraverso il delegato pontificio. Spetta inoltre al rettore occuparsi del personale che presta la sua opera in Basilica oltre che intrattenere rapporti con la Veneranda Arca, istituzione laica che gestisce i beni del Santuario. Più ampia e coinvolgente è la dimensione pastorale, che investe la liturgia, l’accoglienza dei pellegrini e le altre iniziative e realtà sorte nell’ambito del Santuario nel nome di sant’Antonio. Infine, sarà mio compito curare i rapporti con le istituzioni della città, per la quale la Basilica è un importante punto di riferimento. Assieme alla cattedrale, ovviamente, con la quale costituisce i due «polmoni» cittadini. Con sottolineature diverse. Mentre la cattedrale esprime la realtà diocesana, la Basilica si caratterizza per la sua universalità.
La Basilica ha una sua storia, i suoi ritmi, i suoi percorsi, tracciati dall’intelligenza e dalla passione dei confratelli che l’hanno preceduta. Come padre Enzo, la cui presenza in Basilica ha lasciato forte il segno. Come spiega tanto favore attorno a lui? Alla rendita data dal luogo, dal ruolo e da una prolungata presenza – tre mandati invece dei due previsti – che gli hanno consentito di interessere e approfondire rapporti, padre Enzo ha aggiunto del suo: una buona comunicazione, l’attenzione e la cura delle persone, una presenza sempre cordiale e fraterna, che hanno fatto breccia nel cuore della gente.
A che cosa è dovuta la sua scelta di studiare teologia morale? Finito il normale corso di studi, i superiori mi hanno dato la possibilità di proseguirli con la specializzazione, proponendomi tre alternative: pedagogia, psicologia e teologia morale. Su suggerimento di un mio professore, ho scelto teologia morale, una dimensione che si è facilmente coniugata con la mia indole un po’ eclettica. Ho sempre avuto la passione per lo studio, ma anche il desiderio di non concentrarmi unicamente su di esso per potermi dedicare anche all’attività pastorale. Ritornato a Padova, dopo la laurea all’Accademia Alfonsiana di Roma, mi è stato affidato il corso di teologia sessuale e familiare all’Istituto teologico, tenuto fino a quel momento da padre Agostino Gardin, eletto nel frattempo Ministro provinciale. Insegnare una materia dai tanti risvolti pastorali e coltivarla solo sul versante accademico mi sembrava riduttivo. La vocazione francescana e antoniana prevede, infatti, anche l’evangelizzazione, l’incontro con la gente e con la realtà. Da qui la ricerca di orizzonti che mi consentissero di coniugare ambedue le cose. Ho iniziato con i classici incontri nelle parrocchie, invitato a tenere lezioni sull’etica del fidanzamento, del matrimonio… Poi, negli anni novanta, quando ero a Camposampiero, ho cominciato a elaborare un mio progetto, sfociato poi nella creazione delle «Fraternità familiari». Sollecitato anche da richieste, avanzate dai giovani stessi, di una formazione al matrimonio che non si riducesse alle «informazioni» fornite nei tradizionali e brevi corsi di fidanzamento e che proseguisse oltre la celebrazione del rito. È nato così un percorso diverso, della durata di due anni, di educazione all’amore: dal costituirsi della coppia fino al matrimonio. Il corso prevede incontri mensili di una giornata e, alla conclusione, tre giorni ad Assisi. In questo cammino prolungato si sono creati legami e indotte motivazioni che ne hanno resa possibile la prosecuzione, fino a dare vita a fraternità di preghiera e formazione per accompagnare sposi e famiglie nei primi anni di vita insieme. Sono gruppi familiari organizzati e consolidati, che vivono di vita propria. Al momento ce ne sono dieci. Sono cinquanta le coppie iscritte al corso di quest’anno, e quattordici le coppie formatrici. Accanto a queste, nei primi anni del Duemila, è sorta la «Fraternità dei legami spezzati», per coniugi separati, divorziati o che attraversano situazioni difficili e desiderano sostenersi nel vivere il Vangelo e aiutarsi fraternamente. Un’iniziativa all’avanguardia, nata in tempi in cui l’attenzione per separati e divorziati da parte della Chiesa non era così benevola. Ma non è tutto».
C’è dell’altro? Sì. L’anno scorso, sempre a Camposampiero, è nata una realtà nuova, anche questa sotto la spinta della mia intraprendenza, l’«Oasi famiglia». L’intento è di rispondere alla richiesta di ascolto, di accompagnamento e di consulenza per coppie e famiglie, con particolare attenzione alle situazioni problematiche e di difficoltà relazionale, valorizzando la formazione della persona e la spiritualità della coppia radicate nel sacramento del matrimonio. Vi lavora un’équipe formata da professionisti e da famiglie comuni, coordinata da una coppia «missionaria», che ha lasciato la propria casa a Casale sul Sile (Treviso) per trasferirsi con i due figlioletti in convento, dove è stato ricavato per loro un appartamento. È una specie di «Centro di ascolto», al quale chiunque può rivolgersi, sicuro di trovare in ogni momento persone disposte ad ascoltarlo e accompagnarlo.
È possibile trasferire questa sua importante esperienza nella Basilica del Santo? Non è così semplice. Gli spazi della Basilica sono stati realizzati per le celebrazioni, per accogliere i pellegrini. Non ne vedo di adatti a un’esperienza simile. Possibile è, forse, un Centro di ascolto. Fondamentale in questo percorso per le persone in difficoltà è poter incontrare la testimonianza e confrontarsi con una famiglia «sana», che ha anch’essa le proprie difficoltà ma le vive in unità. Il problema è di sicuro importante. Non a caso il primo sinodo voluto da papa Francesco è stato sulla famiglia. Il prossimo sarà sui giovani. Due grandi nodi vitali della nostra società.
L'intervista integrale si può leggere sul Messaggero di sant'Antonio del mese di dicembre, nella versione cartacea o digitale: https://messaggerosantantonio.it/it/versione-digitale