Canto, voce del cuore
Uno dei tanti cambiamenti radicali che è intervenuto nelle nostre vite riguarda il canto: non si canta più, magari stonando, nel corso della nostra giornata, non si canta più insieme, quando ragazzi o adulti ci si trova a passare il tempo libero. Il canto si è in un certo senso «professionalizzato», lo praticano solo i cantanti, ai comuni esseri umani rimane il karaoke, che però è una forma di spettacolo anch’esso. C’è sempre un pubblico, le canzoni sono scelte da altri; oppure vengono scelte in funzione della capacità di cantarle decentemente. Ma non in corrispondenza con i moti del cuore.
Si è spento quel canto che accompagnava la vita quotidiana di coloro che svolgevano lavori manuali, come le donne delle pulizie e le casalinghe, i muratori, gli operai, o le persone che, in gruppo, camminavano a piedi. Non è che manchi l’amore per la musica: moltissime persone girano sempre con gli auricolari alle orecchie per ascoltare la loro musica preferita, nei bar e nei ristoranti quasi sempre si ascolta musica soffusa, perfino nei grandi magazzini e nei negozi. Forse è proprio questa continua diffusione di musica – naturalmente perfetta nell’esecuzione professionale e standardizzata – a zittire le voci umane. Ma si tratta di un cambiamento che ci fa perdere molto, ci fa dimenticare un’esperienza che ha aiutato per secoli gli esseri umani a sopportare fatiche e noie della vita quotidiana.
Quando ero bambina, i cortili dei condominii la mattina risuonavano di voci più o meno melodiose che, fra le canzonette del momento, sceglievano quelle più adatte allo stato d’animo del giorno: le massaie andavano e venivano dai balconcini facendo risuonare lamenti d’amore, o allegre strofette. Per le strade, se si incrociava qualche operaio al lavoro – specialmente i muratori – voci profonde ci accompagnavano per un tratto di marciapiede. E se questo accadeva nelle città, penso che ancora di più il canto accompagnasse i lavori in campagna, a cielo aperto. Si cantava per alleviare la fatica, per protestare contro lo sfruttamento, per tornare, ancora una volta, all’amore, felice o infelice, felicità e tormento della condizione umana.
I bambini venivano educati anche al canto, nelle scuole materne e elementari. A me, nei lontani anni Cinquanta del secolo scorso, hanno insegnato a scuola a cantare «Fratelli d’Italia» e «Va’ pensiero», momenti collettivi che ci facevano sentire parte di un paese e uniti dall’amore per questa patria. Oggi è quasi impossibile far cantare in coro i bambini: per prima cosa, è difficile essere circondati dal silenzio necessario, poi abituati all’ascolto continuo di musiche «perfette» i più grandi sicuramente si sentirebbero in imbarazzo per la loro imperfezione.
Il canto è un modo per stare nell’attimo presente, del quale si possono esprimere gioie e dolori, anche sentimenti profondamente nascosti e inesprimibili con le parole. Il canto mette in contatto con la profondità di se stessi, con il proprio cuore al quale si cerca di coordinare parole e suoni, dandogli finalmente la possibilità di espressione. Esso infatti coinvolge tutto l’essere umano: la voce e i polmoni, ma anche la circolazione del sangue e la respirazione, così come il cervello. Il cuore e l’intelligenza sono mobilitati per passare nel canto, che permette di vivere questa unificazione fra cuore e voce.
Per fortuna, il canto rimane ancora praticato nelle chiese, e spesso salva, con il suo potere unificante e armonizzatore, anche messe improvvisate e omelie noiosissime. Perché svolge una funzione quasi misterica, si impone a tutti come luogo di incontro. Il canto serve a condurre la preghiera a Dio, a trasmettere più facilmente la fede agli altri, a preparare il nostro contatto più intimo con Dio.