Congo: dare luce agli assetati
A prima vista hanno poco in comune don Paolo Tonghini e Angelo Tenca. Per storia di vita, per vocazione. Il don, sulla quarantina, vestito casual, un’esperienza missionaria in Brasile, è oggi parroco nel cremonese ed entusiasta animatore di una costellazione di progetti sociali e pastorali in Italia e all’estero. Angelo, più avanti negli anni, giacca sportiva ma di buon taglio, piglio professionale, è un affermato architetto di Mantova. A legarli un progetto che ha dell’incredibile per più ragioni. Innanzitutto è stato realizzato nel sud del Kivu, in Repubblica Democratica del Congo, un Paese dell’Africa centrale tra i più insicuri del pianeta. E – altra eccezionalità – è enorme, pur essendo piccolo. Si tratta della costruzione di un’infrastruttura per potenziare la microcentrale elettrica sul fiume Sangano, che dà corrente all’ospedale, alla scuola e alla parrocchia di Kalehe, un villaggio della diocesi di Bukavu. Costruita 6 anni fa per produrre 33 kw, la centrale non arrivava ai 15 e durante i periodi di secca scendeva drasticamente a 4-7 kw, praticamente la quantità che ciascun europeo può avere a casa propria senza batter ciglio. Solo che qui gli abitanti sono 40 mila, dispersi in un mare di baracche intorno a un misero centro, fatto di casupole. L’assenza di energia elettrica è una delle cause strutturali di povertà in questa zona. Senza corrente non funziona il frigo per conservare i medicinali, resta ferma la pompa dell’acqua potabile, non si può studiare, né lavorare di sera, neppure in ospedale. Un black out di vita, a dimostrazione che l’ingiustizia del mondo si conta anche in kilowattora.
Un inferno in terra
Don Paolo, missionario per tanti anni, conosce bene la povertà. Angelo no. Quando arriva a Kalehe, a seguito di un gruppo di giovani volontari dell’Associazione New Tabor, fondata da don Paolo, per lui è il battesimo del fuoco: «Mi sentivo catapultato all’inferno. La miseria ti lascia esterrefatto. Ogni certezza viene meno: l’acqua da bere, un bagno per lavarsi, un medico, figuriamoci l’igiene e la sterilizzazione degli strumenti. Eppure le donne vengono alla Messa vestite a festa, con una dignità che mi ha sorpreso». Anche la sicurezza è un lusso: «Ci sono posti di blocco ovunque. Non sai se sono governativi o ribelli, ma hanno i fucili spianati e chiedono dazi indiscriminatamente. Potresti sparire in un attimo. Lo Stato non esiste. Ho sperimentato di persona che la Chiesa è l’unico punto di riferimento per la povera gente: i preti, i religiosi e, soprattutto, le suore».
La Repubblica Democratica del Congo è un Paese martoriato, grande i due terzi dell’Europa. Un’enormità che non immaginiamo. Dall’indipendenza dal Belgio ha subito una lunga serie di dittature e due guerre atroci, con 6 milioni di morti, passate alla storia come «guerre mondiali africane». È un Paese ricchissimo di materie prime, di oro, di stagno, di coltan, risorse che solleticano gli appetiti di altri Stati e fomentano la corruzione. È il luogo in cui un alto numero di bambini diventa soldato o lavoratore in miniera, invece di andare a scuola. In cui, secondo stime Onu, ci sono 4 milioni e 35 mila sfollati interni a causa della violenza. Una bomba umanitaria, scomparsa dagli occhi del mondo. L’ennesimo, terribile, black out.
Un’impresa quasi impossibile
In questo caos di bisogni, il prete e l’architetto che fanno? Decidono di aumentare i kilowatt, a dispetto di tutto. Che sia la luce! Per quanto piccola e fioca. «Per potenziare la produzione di corrente elettrica – racconta Angelo – dovevo aumentare la portata d’acqua. L’unico modo era fare una derivazione da un fiume vicino, il Luzira». Semplice a dirsi. Il tratto tra i due fiumi in cui ciò sembrava possibile era lungo 25 chilometri, in un territorio assai accidentato e senza mezzi adatti per sbancare rocce e superare avvallamenti. Par di vederli, Angelo e don Paolo, chini sulle carte, confortati da Google maps, visto che cartine ufficiali praticamente non ce ne sono. Come due Don Chisciotte o, meglio, due Davide contro Golia. «Ho imparato dalla mia vita – afferma don Paolo – che il lato oscuro del mondo è un’occasione offerta dalla Provvidenza. Una sfida da cogliere per uscire da te stesso ed entrare in relazione con l’altro».
Angelo, ripresi i panni dell’architetto, prepara un progetto. Don Paolo lo presenta sotto l’egida della New Tabor Onlus, il suo gruppo di giovani sorto in seguito alla GMG di Sydney (2008), che lo affianca nelle sue incursioni nei mondi invisibili. Tutto pronto sulla carta. Il progetto ha dalla sua un piccolo gruzzolo messo da parte e il contributo locale, tradotto in ore di lavoro che dovrà essere assicurato dagli abitanti di Kalehe. Ma ciò che manca è una cifra consistente: 70 mila euro per i lavori, i materiali e i macchinari richiesti per la derivazione di 25 chilometri e per adeguare le infrastrutture esistenti. Vengono a Padova i due Davide, bussano alle porte di Caritas Antoniana e trascinano tutti voi, lettori del «Messaggero», nella folle impresa di dare luce agli assetati. Il progetto, infatti, viene finanziato totalmente e realizzato in tre tappe, da luglio a dicembre 2017.
E l’impresa riesce, a dispetto del buio. Oggi la turbina sul fiume Sangano produce 35 kw «ma nel tempo, con un ulteriore investimento, potremmo arrivare a 70» chiarisce Angelo, con un viso che emana gioia. E continua più pensoso: «Non so, forse ho cominciato tardi a restituire tutto quello che ho ricevuto dalla vita. Mi rendo conto che è un caso se sono nato dall’altra parte del mondo, ma oggi mi sento, come posso esprimerlo..., un uomo davvero realizzato».
Di sera la luce si accende a Kalehe. Una luce inattesa, sorprendente agli occhi dei suoi stessi abitanti. Una luce resa possibile dal lato oscuro che la Provvidenza ci ha messo davanti. E la notte, forse, fa un po’ meno paura.