De Bortoli: Italia, ci salveremo

«L’Italia ha bisogno di una riscossa civica, di un’etica pubblica, di una comunità che controlli il decoro. Nel nostro Paese c’è un tasso di illegalità inaccettabile per una società civile. Serve un patto generazionale».
10 Settembre 2019 | di

Il nostro Paese è migliore dell’immagine che di esso noi stessi diamo all’estero: ha un grande capitale sociale, un volontariato diffuso, tantissime eccellenze che si contraddistinguono nel mondo. Ne è pienamente convinto Ferruccio de Bortoli, già direttore del «Corriere della Sera» e de «Il Sole 24 Ore», figura di spicco del giornalismo italiano. Il populismo non porta da nessuna parte, anzi provoca una pericolosa forma di isolamento dall’Europa. La coltivazione «non retorica, ma attiva e consapevole, della memoria è l’unico autentico vaccino contro il risorgere del nazionalismo che affonda la testa nel Novecento più buio. Questo significa “essere consapevoli degli elementi che ci uniscono”, come ha recentemente ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Respingendo “l’astio, l’insulto, l’intolleranza che creano ostilità e timore”».    

Msa. Eppure l’Italia fatica a risollevarsi.

de Bortoli. È necessario riscoprire un nuovo senso della legalità e avere un maggior rispetto del bene comune. C’è un tasso di illegalità inaccettabile per una società civile. Bisogna partire dall’educazione civica, dall’etica pubblica fatta di buoni esempi, da comunità che controllano rispetto e decoro. Occorre ripartire dalla scuola, da una maggiore cultura scientifica. Serve dare spazio ai giovani in una società troppo vecchia, piegata su se stessa.

Lei fa riferimento a una crisi di civiltà. Perché?

Il senso civico è l’altra faccia della medaglia della cittadinanza. Siamo più egoisti, il prossimo spesso è la proiezione del nostro «io», specie nella quotidianità digitale. Pensiamo, essendo  «collegati», di essere onnipotenti. E invece abbiamo bisogno di vivere un senso di collettività, di dare buoni esempi alle generazioni future.

I giovani guardano all’estero più che all’Italia.

Noi non ci accorgiamo di una migrazione, ancora in atto, di giovani cervelli italiani in fuga. Sono persone laureate che abbiamo formato grazie anche alla partecipazione dei contribuenti. Se li avessimo messi insieme su dei barconi, avrebbero rappresentato una notizia di cui ci saremmo occupati per molto. Invece se ne sono andati di nascosto, un po’ delusi, un po’ arrabbiati. È un capitale umano e finanziario enorme che noi disperdiamo a vantaggio della crescita economica di altri Paesi.

Serve un «nuovo patto generazionale».

Certo. I nostri giovani sono pochi in una società demograficamente anziana. Contano poco perché hanno meno diritti degli altri. Sono schiacciati e dimenticati. È questo lo scandalo: ci sono 2 milioni di ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano. Una vera e propria «discarica» di talenti. Siamo egoisti, miopi, in una società gerontocratica che pensa a se stessa. Una classe dirigente che non si ricambia, non ha piani di successione, non pensa alle nuove generazioni ed è convinta che il mondo finisca con essa.

L’Italia si trova da alcuni anni a far fronte al grave problema dell’immigrazione. Un fenomeno fortemente dibattuto a livello europeo.

Siamo tutti figli di migranti ed è importante mantenere la memoria storica. Nel Novecento abbiamo perso libertà, pace e democrazia. I nostri nonni sono rimasti anche loro vittime di pregiudizi, perseguitati da chi diceva «prima gli americani». Il tema dell’immigrazione va trattato con grande senso di umanità, ma anche con grande responsabilità da parte di tutti. Nel Vangelo, il buon samaritano accoglie una persona sola e le paga l’albergo. Se ne avesse avute dieci, cento, mille, forse avrebbe avuto qualche difficoltà in più. Dobbiamo renderci conto che abbiamo esagerato nel pensare – probabilmente anche la Chiesa – che le porte dovessero accogliere sempre. Ma l’accoglienza deve essere impegno di tutti, nessuno escluso. In Italia e all’estero.

Papa Francesco ha invitato a non aver paura dell’«altro».

Colpisce il fatto che la sua rimane una voce isolata. Eppure il Papa parla di diritti universali dell’uomo. La politica fatica a coniugare solidarietà e responsabilità. Spesso si inseguono i populisti nei loro istinti peggiori, cioè nell’idea che si possano chiudere fuori le persone. In questo caso viene meno uno Stato di diritto: lo Stato si impone su quelli che sono i diritti della persona umana, per loro natura inviolabili.

C’è un’Italia di cui andare fieri?

Siamo la seconda manifattura d’Europa. Terzi ad aver lanciato un satellite nello spazio. Primi per numero di citazioni di ricercatori negli ultimi dieci anni. Ai primi posti nel mondo per livello di salute della popolazione e per aspettativa di vita.

In che modo ci salveremo?

L’Italia si salverà attraverso una vera e propria riscossa civica che passa dalle virtù del Terzo settore, operoso e spesso ignorato dalla politica. È la più grande azienda del Paese: alla fine del 2016 contava oltre 800 mila dipendenti. E con tante associazioni che curano i bisogni degli altri surrogando l’attività di uno Stato in affanno finanziario, indebolito da una burocrazia cieca e inefficiente.

Come dobbiamo guardare al futuro?

Il futuro va conquistato, non temuto. Ci salveremo se torneremo a essere credibili e seri. Dobbiamo tornare a investire in ricerca, cultura, formazione e innovazione. Nello sviluppo sostenibile che coniuga benessere e rispetto dell’ambiente e della natura. Soprattutto per l’immagine che noi italiani diamo all’estero. Un’immagine che riflette il grado di affidabilità internazionale.

 

Il testo integrale dell’intervista lo trovate sul «Messaggero di sant’Antonio», numero di settembre 2019 e nella corrispondente versione digitale.

Data di aggiornamento: 10 Settembre 2019

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