Delitto perfetto
Morire di lavoro? C' è chi giura sia possibile. Anche se di rado è una morte fisica. Si tratta di un lento, inesorabile, ferale stillicidio dell' anima, che ti uccide dentro. Stiamo parlando del mobbing, un vecchio vizio, solo di recente venuto clamorosamente a galla. L' intenzionalità , la lucida premeditazione di far del male all' altro, di annientarlo, gli danno la patente per diventare una nuova variante, più subdola, del più grave dei peccati: quello contro la carità . Il lavoratore è sottoposto a una serie di angherie psicologiche, all' inizio difficilmente identificabili, che vanno dalla maldicenza al boicottaggio del suo lavoro, dall' isolamento alla dequalificazione professionale, per destabilizzare la persona e indurla alle dimissioni. Un attacco mortale alla dignità .
Marco, 34 anni, era stato assunto come responsabile alle vendite, ma i capi intermedi non l' avevano mai accettato. «Fin dall' inizio, qualsiasi proposta cadeva nel vuoto e il mio lavoro sembrava di nessun valore», racconta. Dopo mesi d' incertezza, di tentativi di abbozzare il proprio ruolo, Marco subisce un grave scacco: l' azienda decide di spostare il servizio in una sede all' estero. Il suo posto non esiste più. Senza una parola, senza una spiegazione, Marco viene parcheggiato in un ufficio deserto. Lunghe giornate di vuoto in fondo a un corridoio: «Era un modo per farmi pesare che ero di troppo, che era meglio che me ne andassi. Un licenziamento bianco, senza sporcarsi le mani».
Casi come questi sono tutt' altro che rari. Secondo stime ufficiali, pare che solo in Italia i casi di mobbing siano da un milione a un milione e mezzo. Quanto basta per identificarlo come piaga sociale.
Mobbing, questo sconosciuto
Il fenomeno non è nuovo, ma viene allo scoperto solo quando, agli inizi degli anni Ottanta, un ricercatore tedesco, Heinz Leymann, psicologo emigrato in Svezia, lo fa oggetto dei suoi studi. Dalla Svezia, le conoscenze di Leymann passano alla Germania e agli stati del Nord Europa, mentre trovano una serrata diffidenza proprio in quei paesi ritenuti più aperti alle relazioni interpersonali: i paesi del Mediterraneo. Di questa diffidenza ne sa qualcosa il dottor Harald Ege, tedesco, ricercatore dell' università di Bologna e primo studioso del mobbing in Italia: «All' inizio mi guardavano come un marziano - racconta - . Sì, perché io descrivevo come patologica e distruttiva una pratica ritenuta normale in questo paese. Rispetto ad altri paesi europei, in Italia il livello di conflittualità negli ambienti di lavoro è molto più alto, così come è normale aspettarsi che un superiore abbia un atteggiamento autoritario». In molti casi, il mobbing diventa una regola aziendale a cui il dipendente crede di doversi adeguare se vuole entrare nel mercato del lavoro. Per cui, quando le cose si complicano, è più propenso a colpevolizzarsi piuttosto che a identificare una faglia nel sistema. E viene stritolato.
Ci sono casi penosi di depressioni gravissime, crisi familiari, divorzi, incapacità di ritornare a lavorare. Addirittura, secondo una statistica svedese, tra il 10 e il 20 per cento dei suicidi avrebbe come causa scatenante il mobbing. Internet, ormai a portata di mano di impiegati e dirigenti, spesso diventa la cassa di risonanza di questo malessere: «I miei 38 anni devastati nel fisico e nell' anima, con la speranza che schiattassi, non me li ridarà più nessuno - scrive una che si firma significativamente 'Vecchia' in un sito di mobbizzati - ; per me aveva enorme valore la vita tre anni fa e nessun giudice potrà mai emettere una sentenza adeguata al danno subito. La disperazione non ce la siamo scelta; la depressione, la sofferenza e le malattie, che ne sono conseguite, neanche. Altri hanno scelto per noi».
Conseguenze devastanti
I sintomi del mobbing sono ormai inequivocabili. «I primi campanelli d' allarme sono disturbi psicosomatici come mal di testa, gastralgie, sensazioni di stordimento e insonnia - afferma il dotto Renato Giglioli, fondatore della Clinica di disadattamento lavorativo di Milano (primo centro pubblico di assistenza sanitaria ai mobbizzati) - . La persona non riesce a dormire perché continua a rimuginare sul perché è trattato in questo modo al lavoro. Se il fenomeno persiste, i sintomi si aggravano: compare l' ansia generalizzata o l' attacco di panico, un profondo malessere, caratterizzato da angoscia, sudorazione, tremore, sensazione di morte imminente. In altri casi, si sviluppa la depressione, che può essere di gravità varia: da un disamore blando per il lavoro e la vita sociale alla completa abulia, cioè mancanza di volontà , o anedonia, incapacità di provare piacere. Il guaio è che i medici non sono preparati sull' argomento perciò diagnosticano e curano queste forme come depressioni generiche».
Ma come distinguere una normale conflittualità nel lavoro da un caso di mobbing? Secondo gli studiosi, il mobbing ha caratteristiche ben precise. Ci sono molte azioni mobbizzanti, come prepotenze del capoufficio, pettegolezzi, aggressioni, che se rimangono isolate non costituiscono mobbing. Se, in-vece, si ripetono sistematicamente per un lungo periodo, allora diventano una strategia premeditata ai danni di una vittima ben precisa, il mobbing appunto. Dall' osservazione dei casi italiani, Ege ha identificato anche un modello di sviluppo del fenomeno: il mobbing italiano ha origine in un ambiente conflittuale generalizzato in cui c' è volontà di elevarsi sugli altri. In seguito tale conflittualità viene incanalata verso una vittima, col preciso intento di distruggerla. Il conflitto inizia a toccare la vita privata, con frasi del tipo «hai un carattere terribile, per forza che tuo marito ti ha lasciato». La vittima è in disagio perché percepisce l' ostilità dei colleghi. Cominciano i primi sintomi psicosomatici. La persona chiede sempre più frequentemente periodi di malattia. La cosa mette in guardia l' amministrazione del personale, che, mal interpretando le cause del disagio, inizia a prenderla di mira. La salute della vittima peggiora. Ora entra in disperazione perché non vede vie d' uscita e inizia a far uso di farmaci e psicoterapia. Spesso il passo successivo è l' abbandono del posto di lavoro.
Le tecniche a volte sono sottilissime. Esiste la falsa promozione: «Mi volevano far passare come avanzamento di carriera il trasferimento a una mansione assolutamente estranea alla mia esperienza lavorativa. Quando rifiutai la 'grande occasione', iniziarono velati ricatti; l' operazione 'appestato': i miei colleghi cercavano di evitarmi e si limitavano a salutarmi. Per non parlare dei manager, alcuni dei quali non solo non salutavano, ma deviavano lo sguardo da un' altra parte»; la tecnica del sabotaggio: «Venivo esclusa da certi meeting, mi iscrivevo a una conferenza in Europa e poi scoprivo che non avevano inoltrato la mia iscrizione. Un giorno mi tolsero la linea telefonica esterna»; il gioco al massacro: «Mi caricavano di lavori, oltre a quello che potevo fare, per dimostrare che ero inefficiente».
Mobber, mobbizzato e azienda
Questa triste pantomima ha attori ben precisi: l' aggressore, o mobber, e la vittima, o mobbizzato. L' aggressore nelle statistiche ha spesso, ma non necessariamente, particolari caratteristiche psicologiche. «Può essere una persona autoritaria - spiega Ege - o che cede facilmente alla gelosia, ma anche il tipico leccapiedi o il raccomandato, che difende con le unghie la propria posizione». In teoria, può incarnarsi in qualsiasi collega, ma in Italia prende caratteristiche proprie: «Raramente il mobber in questo paese è un singolo individuo - afferma Ege - , di solito si tratta di un gruppo. Inoltre, il 57 per cento del mobbing italiano viene esercitato dall' alto verso il basso, per cui i mobber sono di solito i superiori, i quadri aziendali, gli uffici del personale. Solo nel 10 per cento dei casi il mobber è un collega». Ciò pare dovuto a più fattori: il più importante tra tutti è la mancanza di posti di lavoro che dà alle aziende il coltello dalla parte del manico e al lavoratore la necessità di rimanere attaccato al proprio posto, nonostante le angherie subite. «Il mobbing - chiarisce Giglioli - in un paese che ha una legislazione che protegge il posto di lavoro, diventa una strategia per aggirare gli ostacoli e disfarsi degli indesiderati, dei poco qualificati o degli esuberi».
Sarebbe, però, un errore pensare che il mobbizzato sia un lavoratore di serie B, bollato solo per ragioni professionali. La vittima tipo è in genere un neoassunto o una persona che per qualche ragione è diversa: una donna tra uomini o un uomo tra donne, una persona non sposata tra sposati o viceversa, una persona che si veste diversamente o è omosessuale o è uno straniero; oppure ancora una persona che lavora di più o meno degli altri o una persona che è più o meno qualificata degli altri. A detta del dottor Giglioli, non di rado il mobbizzato è un innovatore, una persona capace e volitiva o una persona che si rifiuta di stare al gioco di cordate di potere con finalità poco limpide. Insomma, l' esempio di Fantozzi proprio non calza. «Comunque - conclude Ege - è bene sottolineare che qualsiasi persona può diventare oggetto di mobbing».
In una situazione di mobbing, dunque, s' innescano moltissime variabili oggettive e soggettive, in un' alchimia difficilmente misurabile. Di certo la ricerca dimostra che alcune organizzazioni aziendali possono favorire l' insorgere del fenomeno. «Soprattutto quelle - esplicita Ege - molto gerarchizzate e con una struttura rigida, poi quelle in cui c' è poco flusso d' informazioni. Altro campanello d' allarme è quando le persone non sanno definire esattamente il loro ruolo o quando c' è mancanza di professionalità . Tutte situazioni che acuiscono i conflitti».
Quanti soldi sprecati
Rimane da chiarire se tanto dolore e tante vittime abbiano almeno un qualche senso, una qualche spiegazione razionale. Lasciamo da parte i codici etici internazionali e i fondamenti della Costituzione e facciamo parlare i numeri: dati diffusi dalla Volkswagen, rivelano che la ditta tedesca ha sprecato, a causa del mobbing, 500 milioni di marchi nel 1995 e 300 milioni di marchi nel 1997, rispettivamente 500 miliardi e 300 miliardi di lire. Cifre pazzesche anche se l' azienda conta 250 mila dipendenti. «Sovente le persone mobbizzate si presentano con montagne di carta - racconta Giglioli: lettere, richiami, istanze.. ecc. Quanto spreco di energie e denaro! E intanto il mobbizzato resiste perché non ha alternative, soffre, fa molti più errori, produce molto di meno». Il mobbing è un danno anche per la società , che deve pagare i costi sanitari di un fenomeno assurdo: pensiamo ai prolungati e frequenti periodi di malattia o ai molti prepensionamenti chiesti per ragioni di salute, imputabili, in realtà , al mobbing. Ciò ha un solo significato: il mobbing non è solo inutile, ma addirittura dannoso per la persona, per l' azienda e per la società .
Perché allora continua? «Per scarsa informazione e consapevolezza - spiega Ege - sia da parte dei mobbizzati sia delle aziende. Il conflitto dev' essere capito e gestito. In Italia, poi, le aziende sono particolarmente sorde al problema e credo che ciò dipenda dalla struttura della Confindustria, molto rigida e con una logica superata. Essa mantiene un anacronistico rapporto di conflitto con il lavoratore. Un esempio? Chiunque si occupa di mobbing o di salute del lavoratore in un' azienda diventa automaticamente un sindacalista, un nemico da combattere. Credo che anche questo atteggiamento contribuisca all' arretratezza e alla mancanza di competitività dell' industria italiana».
Ma se le grandi strutture non si muovono, i datori di lavoro sono sordi, che cosa può fare un mobbizzato? «Innanzitutto, prendere coscienza della situazione e togliersi almeno il pensiero che quanto sta succedendo sia colpa sua - consiglia Giglioli - . Dunque, riacquistare gradatamente la stima di sé e delle proprie possibilità . Poi, rivolgersi a uno specialista di mobbing che possa aiutarlo. Infine, frequentare corsi specifici per gestire il conflitto».
Ma è chiaro che la lotta del singolo da sola sarebbe vana, se a livello sociale e delle aziende non iniziassero una presa di coscienza e uno sforzo di prevenzione.
Da una società civile forse ce lo aspetteremmo.
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ECCO CHI PUà AIUTARE
- Prima, associazione italiana contro mobbing e stress, di Bologna, tel. 051/6148919 internet: www.mobbing-prima.it Presidente: Harald Ege Tra i servizi:
- corsi per affrontare il conflitto e il mobbing;
- incontri di discussione e formazione;
- pubblicazioni;
- primo colloquio gratuito psicologico o medico-legale.
- - Associazioni di mobizzati: -
Centro di ascolto e di indirizzo per vittime del mobbing, tel. 06/44280390 - 44280403.
internet: members.xoom.it/_XOOM /icebergpunta
Forum di dibattito e scambio.
Indirizzi utili.
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RISPETTA IL PROSSIMO TUO... Intervista a monsignor Mario Operti, già direttore dell' Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza episcopale italiana.
È opinione comune che il mondo del lavoro sia spietato e pieno di insidie. Perché, allora, il mobbing dovrebbe essere inaccettabile?
Il mobbing è inaccettabile perché è contraddittorio rispetto a un vero sviluppo della persona e della società . Su questo giudizio, valori cristiani e motivazioni etico-razionali convergono. La dignità del lavoro e della persona sono valori ormai condivisi. Il lavoro rimanda alla natura profonda dell' uomo; non è solo uno strumento per fare soldi, per sopravvivere o per far carriera, ma un luogo privilegiato in cui si esprimono le capacità tipicamente umane: corresponsabilità , creatività , socialità , solidarietà . Se queste peculiarità vengono meno perché si lede la dignità delle persone, allora c' è da chiedersi se si può ancora parlare di lavoro «autentico».
Il mobbing è contraddittorio anche per un altro motivo: oggi in più ambiti si parla del lavoratore come «risorsa». Il termine è un po' brutto ma ben descrive le nuove tendenze: l' autentico sviluppo della società e del lavoro non sono né le materie prime né il denaro ma la cultura e la persona. Lo afferma Giovanni Paolo II ma lo affermano anche gli studiosi di economia.
Che cosa c' è dietro tanta violenza psicologica sul luogo di lavoro?
I motivi sono tanti ed è difficile non cadere nelle semplificazioni. Io individuerei tre motivazioni fondamentali. La prima è di tipo culturale e c' entra con il modo di concepire il lavoro. Se, come dicevo, il lavoro perde le sue caratteristiche autentiche e diventa solo uno strumento per qualcos' altro, per primeggiare, per consumare di più, per far carriera, ecco che l' altro non conta più, è solo una rotella in un meccanismo. In questo contesto il mobbing ha una sua logica e una sua accettabilità .
La seconda motivazione ha a che fare con un visione prevalentemente economicistica del lavoro. È chiaro che il lavoro deve produrre e rendere ma se esso si riduce solo a profitto e massimo profitto, si degrada inevitabilmente. La visione economicistica è spesso smentita dai fatti: molte persone scelgono di fare lavori meno convenienti dal punto di vista economico ma più remunerativi dal punto di vista umano. Penso a chi sceglie di lavorare per una cooperativa sociale o a chi si dedica a un campo di ricerca che ha scarse ricadute economiche.
La terza motivazione è di tipo religioso e riguarda più da vicino i cristiani. Essi continuano a pensare che l' esperienza lavorativa sia estranea alla dimensione della fede, per cui tollerano o addirittura praticano il mobbing . Per troppo tempo la quotidianità è stata vista al massimo come ambito in cui io compio le buone azioni e non come luogo privilegiato in cui io vivo la fede.
NUOVA LEGGE IN ARRIVO
I l mobbing, tollerato in Italia, è reato in Svezia e causa riconosciuta di malattia professionale in Germania. In genere, in tutto il Nord Europa, il fenomeno è reputato inaccettabile e le aziende sono molto più interessate alla prevenzione, ritenuta un' efficace fonte di risparmio. |