Famiglie sole contro un male oscuro

11 Settembre 2002 | di

- La storia di Mauro, un ragazzo modello che lentamente scivola verso una malattia che imprigiona la sua mente in un vicolo di ossessioni e di stranezze.
- Accertata la diagnosi, la famiglia spesso si ritrova sola a gestire un problema troppo grande. Di sicuro soffre, sovente entra in crisi, non di rado si rompe.
- Un progetto di legge vorrebbe vanificare la legge 180, riaprendo i manicomi: pareri favorevoli e opinioni contrarie alla proposta.
- I consigli di uno psichiatra su come cogliere i primi sintomi della malattia e su come intervenire prontamente.

 

Tutto è filato normale fino alla primavera del 1995. Mauro era il classico ragazzo modello. Forse un po`€™ riservato e taciturno: vent`€™anni, primo di tre figli, bravo a scuola, l`€™orgoglio del papà . Nessuno in famiglia fu in grado di identificare esattamente quando la normalità  si ruppe. Mauro si chiuse in se stesso. A tavola fissava il piatto ammutolito, come se lo tormentasse un pensiero ricorrente. Poi si rintanò in camera. Non volle più parlare, né mangiare. La madre sospettò che si trattasse di faccende di cuore; il padre pensò a un anno di studi particolarmente difficile; i fratelli s`€™indispettirono: In fondo tutti abbiamo problemi e non facciamo tragedie. Il medico di base minimizzò: Il ragazzo è stressato.

L`€™incrinatura della normalità  divenne incubo. Mauro si alzava in piena notte, accendeva la tv a tutto volume. Di giorno, un momento sembrava calmo, il momento dopo buttava oggetti dalla finestra. Diceva di sentire voci che lo perseguitavano. Era convinto che si complottasse contro di lui. Diceva che i fratelli erano d`€™accordo con loro. Iniziò a essere aggressivo. I vicini protestavano o, quando andava bene, lanciavano occhiate di compatimento. Amici e parenti scomparvero dall`€™orizzonte della famiglia. Sulla casa calò una specie di coprifuoco. Per i familiari l`€™incubo divenne oscura paura: Non poteva essere vero. Perché proprio a loro? Che cosa dovevano fare adesso?

Famiglie in crisi

Secondo i dati dell`€™Organizzazione mondiale della sanità , in Italia i malati mentali gravi sono 600 mila, con seimila nuovi casi l`€™anno, soprattutto tra i giovani alla fine dell`€™adolescenza. Se contiamo le persone che hanno una sofferenza mentale più o meno grave, il numero sale a 10 milioni. Praticamente un italiano su sei.

Ce n`€™è abbastanza per chiedersi perché, proprio nella patria della legge 180, che rivoluzionò la psichiatria italiana e internazionale, di malattia mentale si parli pochissimo, tanto che nessuno sa esattamente se c`€™è e com`€™è il sistema di prevenzione e cura e quale sia il modo migliore di affrontarla.

Le famiglie si accorgono delle carenze del sistema dopo, quando il problema è ormai palese. La vergogna fa il resto: nasconde la malattia, ritarda la diagnosi e le cure. In molti casi non si è aiutati neppure dal medico di base, che a sua volta non è informato ed è poco incline a mandare il malato dallo specialista per non farlo passare per matto. Il malato, intanto, rischia di aggravarsi e diventare cronico.

Accertata la diagnosi, sorge il problema: quale cura? Farmaci si, farmaci no, questo o quel modello terapeutico, questa o quella struttura. È a questo punto che si scopre la dura verità : la famiglia è spesso sola a gestire un problema troppo grande. Di sicuro soffre; sovente entra in crisi; non di rado si rompe.

180, andata e ritorno

Come si è arrivati a questa situazione? Fino a ventiquattro anni fa i malati mentali finivano nei manicomi: lì trovavano una collocazione ma, esclusi dalla famiglia e dalla società , vegetavano fino alla morte, senza sperare in qualche percorso di recupero.

Illuminante per capire cos`€™era un manicomio allora, è l`€™esperienza di un ricoverato di Gorizia, citata in un libro di Franco Basaglia, il padre della 180: Quando moriva uno qui, una volta suonava la campana... Quando suonava la campana tutti dicevano: oh Dio, magari fossi morto io che sono tanto stanco di fare questa vita qui dentro. Quanti di loro non sono morti che potevano essere vivi e sani. Invece avviliti, perché non avevano nessuna via d`€™uscita, non volevano più mangiare. Gli buttavano giù il mangiare per il naso con la gomma... Come una pianta quando è arsa perché non piove e le foglie appassiscono, così era qui la gente.

La legge 180, quella che tuttora disciplina la psichiatria italiana, nacque nel 1978 da questa consapevolezza e dall`€™esperienza di Franco Basaglia, uno psichiatra che aveva lavorato a Gorizia e a Trieste. Essa sancì la progressiva chiusura dei manicomi (conclusasi effettivamente solo nel 1996) in favore di una psichiatria integrata con il territorio, che potesse dare al paziente il contatto con la comunità .

In verità  l`€™idea di superare il manicomio, di restituire dignità  al malato e di pensare percorsi di recupero, girava per l`€™Europa dagli anni `€™40. Nel `€™53 uno studio dell`€™Organizzazione mondiale della sanità  concludeva che l`€™ospedale psichiatrico deve essere nella sua totalità  una comunità  terapeutica, guidata da principi base quali la conservazione dell`€™individualità  del paziente, la convinzione che i pazienti sono degni di fiducia e hanno la capacità  di assumere responsabilità ... l`€™impegno regolare dei pazienti in qualche tipo di occupazione. Un cambio epocale: il paziente era finalmente al centro del processo di cura e non più elemento estraneo e pericoloso da emarginare.

A Trieste la rivoluzione psichiatrica si attuò pienamente: il manicomio progressivamente si riconvertì in strutture di recupero. Con eccellenti risultati.

Oggi la 180 ritorna prepotentemente sulla scena perché alcuni disegni di legge (che forse verranno riunificati in un`€™unica proposta della maggioranza) in discussione alla Commissione affari sociali della Camera, vogliono modificarla pesantemente o addirittura abrogarla. I motivi dichiarati? Due, innanzitutto: non ha funzionato e ha lasciato sole le famiglie.

Tra le proposte più dibattute quella di costringere alla cura il malato che non la accetta e quella di riaprire i manicomi. Le proposte di modifica hanno sollevato un polverone. Medici e operatori all`€™unisono hanno alzato gli scudi in difesa della 180, per paura che si ritorni ai manicomi. Le associazioni familiari si sono invece spaccate, tra la maggioranza che crede alla 180, e imputa alla sua mancata applicazione i tanti guai della psichiatria italiana, e la minoranza che pensa che la 180 sia invece l`€™origine di molti mali.

Il fantasma di un possibile ritorno al passato ci impone di capire meglio le difficoltà  e le aspettative delle famiglie, il loro punto di vista sulla 180, ma anche come è gestita di fatto la psichiatria italiana e dove potrebbe arrivare. Nel dossier non mancheranno esempi di come la malattia mentale si può vincere, al di là  delle divisioni ideologiche e della colpevole assenza dello stato e delle regioni.

Famiglie a confronto
La 180 sotto tiro

Intervista ai presidenti di due associazioni familiari con una visione opposta sull`€™opportunità  di riformare la 180. Maria Luisa Zardini dell`€™Arap, Associazione per la riforma dell`€™assistenza psichiatrica, favorevole alla riforma, ed Ernesto Muggia dell`€™Unasam, Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, contrario.

Msa. Che cosa pensa delle proposte di modifica? Zardini. La 180 va riformata. Essa ha solo proibito senza dare alternative. L`€™articolo 33 vieta non solo l`€™ospedale psichiatrico, ma anche divisioni e sezioni psichiatriche all`€™interno degli ospedali. Così mentre c`€™è un reparto di cardiologia o di ginecologia, non esiste un posto dove curare i malati psichiatrici. La 180 vieta di curare il malato contro la sua volontà . Ma lo schizofrenico grave non si riconosce malato, non si cura e peggiora. Mettendo a repentaglio la sua vita e quella della famiglia. È più giusto così? Dobbiamo aspettare che diventi ingestibile per ricorrere al Tso (Trattamento sanitario obbligatorio, cioè il ricovero contro la volontà  del paziente) previsto dalla 180?

Muggia. La 180 era una legge di principi, che restituiva diritti a chi ne era stato privato a vita e dava alle regioni il compito di istituire una psichiatria territoriale in Italia. Mi domando, invece, da che principi umani e psichiatrici siano ispirati i politici che propongono i nuovi manicomi, l`€™entrata massiccia dei privati nella psichiatria, la sottrazione del 75 per cento dello stipendio del malato in fase di riabilitazione e che arrivano ad affermate che chiunque abbia interesse (proposta Burani), cioè si sente minacciato, può richiedere per il malato l`€™obbligo della cura. Non c`€™è niente di più pericoloso dell`€™intreccio tra interesse e pregiudizio.

Più di un familiare afferma che il ricorso al Tso, quindi alla cura contro la volontà  del malato, è un`€™esperienza traumatica. Siamo sicuri che sia la via giusta?

Zardini. Un malato non curato peggiora e diventa un peso insostenibile. C`€™è poi una novità  importante rispetto al passato: la scienza ci dice che i disturbi mentali hanno prevalentemente una natura organica. Nuovi farmaci sono oggi in grado di migliorare notevolmente le condizioni di uno schizofrenico e di allontanare la possibilità  che diventi cronico.

Muggia. Costringere alla cura è un abuso e credere che il farmaco sia la soluzione principale è semplicistico e comodo. Nonché assai in linea con il marketing delle aziende farmaceutiche. La malattia mentale è complessa: per essere curata ci vuole un`€™attenzione a 360 gradi, una rete di servizi che intervenga ad aiutare la famiglia in ogni situazione. Inoltre, il rapporto di fiducia è parte integrante della cura.

Che cosa chiedereste alle istituzioni per aiutare le famiglie?

Zardini. Chiediamo che ci sia personale specializzato che tenga sotto osservazione il malato, che abbia per lui un`€™attenzione adeguata. Cosa che oggi non avviene nei Centri di salute mentale ed è un miracolo se ti viene un terapeuta in casa per più di dieci minuti. Poi, vorremmo che ci fosse un sistema chiaro di strutture, con tanto di fondi stanziati, dove possano essere ricoverati i malati a seconda della gravità  e della malattia. Strutture vivibili e accoglienti e non le quattro squallide stanze dove si fa il trattamento obbligatorio oggi.

Muggia. Chiediamo la creazione di servizi sul territorio con il compito specifico di evitare la cronicità , secondo i principi della 180. Le strutture sorte con la chiusura dei manicomi, specie nel 1996, hanno lucrato sui fondi regionali ma hanno ricreato mini manicomi dai quali, di fatto, non si esce. Figuriamoci se un giovane di 20 anni che fino a ieri conduceva una vita normale, oggi possa accettare di pensare al suo recupero accanto a schizofrenici di 50 anni o a cerebrolesi. Se c`€™è, invece, una rete e una collaborazione di tutti: psichiatri, famiglie, strutture, operatori, società  civile, risulterà  superfluo ricorrere all`€™obbligatorietà  della cura e le famiglie non si sentiranno più sole. G.C.

Il punto della situazione
La sanità  psichiatrica? Da ricoverare

A colloquio con lo psichiatra Massimo Cozza, responsabile della Consulta nazionale della salute mentale, un gruppo di associazioni che si attiva per l`€™applicazione del Progetto Obiettivo.

Ho un malato psichiatrico in famiglia. Lo stato mi saprà  aiutare?. La domanda angosciosa attanaglia i familiari e le risposte non sono confortanti. La situazione dell`€™assistenza psichiatrica in Italia è a macchia di leopardo, con zone ben servite e altre trascurate per quantità  e qualità  dei servizi. Le differenze non sono tanto tra Nord e Sud, ma tra zona e zona anche all`€™interno della stessa regione. Il motivo principale è che l`€™applicazione della 180 è stata lasciata alla buona volontà  delle regioni, senza alcun obbligo o sanzione. E ognuno ha legiferato per sé. Solo nel 1994, sedici anni dopo la 180, un decreto del presidente della Repubblica, il Progetto Obiettivo Tutela della salute mentale 1994-1996 (prorogato anche per il 1998-2000), ha finalmente definito quali e quante dovessero essere le strutture da attivare sul territorio e come riorganizzare l`€™assistenza psichiatrica in rete. Ma è solo di oggi il Progetto Progres, voluto dall`€™Istituto superiore di sanità , che sta monitorando quante sono e come effettivamente lavorano le strutture residenziali (vedi riquadro), cioè quella parte dell`€™assistenza psichiatrica che ha il compito di accogliere e riabilitare i malati degli ex ospedali psichiatrici e del territorio. Per le altre strutture non ci sono ancora ricerche attendibili.

Il dato del Progetto Progres a prima vista più consolante è che le strutture residenziali sono 1370 per un totale di 17 mila posti letto, un numero superiore a quello consigliato dal Progetto Obiettivo e dai livelli minimi di assistenza (standard decisi dal governo e dalle regioni). Purtroppo a questa grande disponibilità  di strutture corrisponde un numero esiguo di malati riabilitati. È un segnale di allarme `€“ afferma lo psichiatra Massimo Cozza, responsabile della Consulta nazionale della salute mentale, un gruppo di associazioni che si attiva per l`€™applicazione del Progetto Obiettivo `€“. Il rischio è quello di ricreare un nuovo tipo di istituzione-parcheggio. Ciò non significa che non esistano strutture che fanno un buon lavoro sul territorio e che hanno dei risultati, ma la tendenza generale segue, purtroppo. una logica ancora vecchia.

Pochi operatori e mal preparati

Decisamente sconfortante il dato sugli operatori. Non solo ne mancano circa 8 mila, ma molti non hanno una preparazione adeguata. Il 30 per cento non ha neppure una qualifica particolare: Pochi sono formati alla psichiatria di comunità  e sanno lavorare in équipe. Molti di loro non vanno verso il paziente, restano dietro le scrivanie ad aspettare. Invece dovrebbero recarsi nelle case, nei luoghi di lavoro e di vita sociale, cercare relazioni nel territorio con altre istituzioni e gruppi. Purtroppo la psichiatria universitaria è slegata dal territorio così come lo è la preparazione degli infermieri, che sono il 50 per cento degli operatori.

La conseguenza di queste carenze è un macigno per la prevenzione, altro punto fondamentale della 180: La schizofrenia, che è la patologia più grave, inizia tra i 16 e i 25 anni. In teoria avremmo tutti i mezzi farmacologici, relazionali, psicologici per sconfiggerla, se solo esistesse una rete di assistenza adeguata. Bisognerebbe, per esempio, che ci fosse un collegamento diretto tra i servizi psichiatrici e chi può accorgersi del disagio fin dall`€™inizio: insegnanti, pediatri e medici di famiglia. Ma ancora questa cultura del territorio è lontana.

Come uscirne?

Come se ne esce? Non tanto perdendo tempo sui pro e i contro della 180, perché il problema non è lì. Ma andando a vedere dove le cose non funzionano e perché i fondi promessi alla fine non arrivano. Individuare luoghi, responsabilità , modi di operare è un lavoro lungo e faticoso, ma non c`€™è altra strada. Riformare la 180 ha senso solo se si decide che la psichiatria di comunità  scientificamente non funziona e che, invece, portare a forza i malati in luoghi chiusi e costringerli alla cura sia davvero la soluzione più efficace.
Per informazioni: www.consulta-salutementale.it

G.C.

Alcuni consigli
I primi sintomi. Che fare?

Ce lo dice lo psichiatra Alberto Busnelli, specializzato in patologie del periodo adolescenziale, responsabile di un progetto riabilitativo per soggetti autistici.

di Andrea De Biagi

Numerose ricerche segnalano che nell`€™arco di un anno il 20 per cento circa della popolazione adulta presenta un disturbo mentale. La maggior parte dei nuovi casi interessano giovani, quindi soggetti che spesso vivono ancora in famiglia, con tutti i problemi che una tale realtà  comporta. Ne abbiamo parlato con lo psichiatra Alberto Busnelli, specializzato in patologie del periodo adolescenziale, responsabile di un progetto riabilitativo per soggetti autistici gestito dall`€™Aurap (Associazione umbra ricerca e assistenza psicotici) di Perugia e collaboratore della comunità  Helios dell`€™associazione Nomadir a Roma.

Msa. Dottor Busnelli, quali comportamenti anomali suonano come campanelli di allarme per l`€™emergere di una patologia psichiatrica grave?

Busnelli. Un primo segnale è sicuramente quando una persona, trovandosi a una svolta del suo percorso vitale, percepisce un disagio che, inizialmente gestibile con strategie semplici, poco alla volta invade tutti gli spazi vitali della persona. Il disagio si può manifestare come insonnia, irascibilità , chiusura, paura delle situazioni sociali, bisogno di ricorrere a droghe (dal tabacco in su`€¦), che all`€™inizio sono considerati come l`€™inevitabile prezzo da pagare allo stress della vita moderna, ma che sono sempre più inefficaci a rassicurare la persona. Questo è il momento più delicato, perché l`€™osservazione di questi segnali può portare a inutili allarmismi, ma anche a pericolose sottovalutazioni.

Che cosa occorre fare quando ci si trova in presenza di tali sintomi?

È fondamentale avere il coraggio di fermarsi e fare il punto della situazione. Non sempre è facile, o possibile, avere la lucidità  per riflettere su quanto accade, e spesso le indicazioni che riceviamo da chi ci sta vicino ci infastidiscono e vengono considerate come un`€™invasione nella nostra privacy, con conseguente aumento della chiusura e del disagio. Un ruolo cruciale in questa fase dovrebbe essere rappresentato, a seconda dell`€™età  del soggetto, prima dal pediatra e, in seguito, dal medico di famiglia. A loro compete la funzione di accoglienza e ascolto del disagio portato dal loro assistito, per poi fornire una rilettura del problema ed eventualmente l`€™indicazione dello specialista o del servizio competente a cui rivolgersi. I servizi territoriali previsti dalla legge 180 dovrebbero essere il naturale interlocutore dei medici. Purtroppo, molto spesso, l`€™idea di rivolgersi ad un Centro di igiene mentale (Cim, nella vecchia dizione, attuali Dtsm) crea spavento proprio a causa della mancanza di una corretta informazione: il Cim è il luogo dei matti! Rivolgersi al privato in prima battuta fa correre il rischio di non poter avere accesso alle risorse istituzionali previste a tutela del malato e della sua famiglia, come l`€™assistenza domiciliare, e allontana l`€™individuo dalla rete sociale.

Come bisogna comportarsi con una persona che vive un problema psichiatrico?

La consapevolezza del disagio può non essere accompagnata dalla coscienza della malattia, e dunque il soggetto può non ritenere necessario un intervento. Il sentimento maggiormente diffuso è la confusione, e quindi un primo atteggiamento da tenere è quello della chiarezza, aiutando il soggetto a capire cosa avviene dentro di lui, riconoscendo i propri limiti e accompagnandolo nel percorso di accettazione della richiesta di aiuto. Buona parte della malattia mentale è solitudine, per questo percepire attorno a sé persone empaticamente vicine, rispettosamente accudenti e non invasive rappresenta un notevole supporto. Il collegamento con la rete dei servizi può fornire l`€™ulteriore aiuto nei momenti di maggiore confusione.

Spesso le famiglie hanno problemi di convivenza con soggetti agitati. Come ci si può proteggere senza compromettere rapporti già  difficili?

L`€™importanza del servizio pubblico risiede anche, forse soprattutto, nella possibilità  di disporre di strumenti legali per l`€™intervento nelle situazioni in cui la negazione della malattia, unita a una sua potenziale pericolosità , mettono a rischio la vita del malato o delle persone che lo circondano. La vita in famiglia, in alcuni casi, può rappresentare un fattore scatenante, e quindi non bisogna avere paura di ipotizzare periodi di allontanamento dal contesto familiare, non necessariamente con il ricorso a ricoveri coatti (Tso), ma con una disponibilità  maggiore verso i ricoveri volontari o verso periodi presso comunità  o strutture abitative alternative. q

Esperienze
Il posto delle fragole

A Trieste, cuore della riforma Basaglia, sopravvivono con successo alcune iniziative che hanno per protagonisti i malati di mente.

di Paola Comauri

In questi anni il bar Il posto delle fragole è diventato un simbolo, un luogo di aggregazione e un punto di riferimento non solo per chi lavora all`€™interno del comprensorio dell`€™ex ospedale psichiatrico di Trieste. Ma questa è stata soprattutto la prima attività  in cui abbiamo messo alla prova la nostra capacità  imprenditoriale: siamo riusciti a farcela a prezzo di tanti sacrifici.

Sottile, minuta, i capelli scuri morbidamente raccolti, Orietta Polizzy, presidente dell`€™omonima cooperativa Il posto delle fragole racconta così il senso dell`€™avventura che dal 1979 la vede protagonista insieme ad altri undici soci. Per tutti noi è motivo di orgoglio lavorare in una cooperativa sociale: questa scelta richiede un particolare coinvolgimento emotivo, costa molte rinunce, soprattutto sotto il profilo economico, ma consente a chi ha alle spalle storie di sofferenza e di disagio di sentirsi protagonista e di raggiungere il proprio equilibrio.

Da anni l`€™intero comprensorio è stato restituito alla città  attraverso il progressivo restauro di quasi tutte le palazzine sparse nel verde: alcune sono sedi distaccate dell`€™università , in altre sono stati sistemati uffici della pubblica amministrazione e dell`€™azienda sanitaria, altre ancora sono residenze protette a disposizione di ex pazienti. Oggi quel bar nato all`€™interno del parco dell`€™ex manicomio triestino alla fine degli anni Settanta riaprendo abusivamente un vecchio deposito di materassi inutilizzato, dà  lavoro a sei persone, e all`€™ora di pranzo diventa anche una trattoria dove quotidianamente si sfornano pane, dolci e pasta fatti in casa. Così Il posto delle fragole, convenzionato con studenti, insegnanti e con chi lavora all`€™interno del parco, ha consolidato la propria dimensione economica e imprenditoriale. E la cooperativa è cresciuta.

In questi anni `€“ continua Orietta Polizzy `€“ abbiamo diversificato le nostre attività , ma molte sono state progressivamente chiuse o per motivi economici o per altri fattori contingenti. Insieme al bar adesso il settore trainante della cooperativa è l`€™albergo Tritone che si trova sul lungomare triestino, poco distante dalla città .

Nel 1982 abbiamo avuto la possibilità  di rilevare una piccola pensione a gestione familiare `€“ sottolinea la presidente della cooperativa `€“ e oggi l`€™albergo, che ha sedici stanze, è aperto tutto l`€™anno e impiega sette persone, è la nostra punta di diamante. Lo scorso anno, grazie anche a un finanziamento di Banca etica, è stato possibile ristrutturare completamente il nostro albergo, continuare in questa avventura e preparare nuovi progetti. La novità  si chiama Albergo in via dei matti numero zero.

 

Associazioni di familiari

Unasam, Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale. Costituita nel `€™93 è un`€™aggregazione di associazioni e coordinamenti di tutte le regioni, con molti contatti internazionali. Lotta per la dignità  e i diritti dei malati e dei loro familiari. Molto attenta alla prevenzione.

Sede nazionale: tel. 051 524117, www.unasam.it.

Diapsigra, Associazione difesa malati psichici gravi. Circa 2000 iscritti. Dal 1997 la Onlus Nomadyr si occupa di riabilitazione dei pazienti in modo innovativo.
Sede nazionale: tel. 06 69923855, www.diapsigra.it.

Arap, Associazione per la riforma dell`€™assistenza psichiatrica. Nata nel 1981, ha un migliaio di iscritti. Opera soprattutto sul piano politico per ottenere concreta assistenza.
Sede nazionale: tel. 06 8553804, www.arap.it.

Aiutiamoli, opera dal 1989 per sostenere familiari e malati. Tra le attività : promozione auto-aiuto, formazione, informazione, attività  di riabilitazione (ginnastica, computer, corsi di lingue), vacanze.
Tel. 02 58309285.

Psiche Lombardia. Tra le attività , formazione, informazione, supporto ai familiari, vacanze, progetti d`€™inserimento lavorativo.
Tel. 02 8052478.

 

I nuovi disegni di legge contro la 180

In estrema sintesi i punti più discussi sono questi:

- Obbligo della cura, anche senza il consenso del paziente. Cosa che nella 180 è riservata ai casi di estrema urgenza (Tso, trattamento sanitario obbligatorio).

- Intervento della pubblica sicurezza in caso di pericolosità  sociale. Non prevista dalla 180.

- Riutilizzazione di aree e divisioni ex-manicomiali, quando la 180 obbliga alla chiusura dei manicomi.

- Apertura di strutture territoriali fino a 50 posti letto, raggruppabili fino a tre, mentre la 180 prevede strutture con al massimo 20 posti letto.

- Maggior coinvolgimento del settore privato, rispetto alla 180.

- In caso la persona malata lavori, il 75 per cento del suo stipendio viene trattenuto per la cura. Cosa assolutamente non prevista dalla 180.

 

La Rete di assistenza secondo il Progetto Obiettivo

Il Dsm, Dipartimento di salute mentale, istituito presso ogni azienda sanitaria, coordina tutti i servizi territoriali, che sono:

Csm. Centro di salute mentale: vi lavora un`€™equipe multiprofessionale che elabora il progetto terapeutico. In particolare valuta le richieste che vengono da familiari, servizi sociali e medici; fa attività  di filtro e prevenzione dei ricoveri psichiatrici; fa visite (anche a domicilio) e psicoterapie individuali e di gruppo.

Spdc. Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, si trova in ospedale e accoglie pazienti per i quali è necessario un ricovero momentaneo. Massimo 15 posti letto.

Strutture semiresidenziali

Day Hospital e Centro diurno per trattamenti medio-lunghi di appoggio.

Strutture residenziali, con un massimo di 20 posti letto per accogliere i dimessi dall`€™ospedale psichiatrico e i nuovi cronici. Sono di vario tipo: Comunità  terapeutico-riabilitativa, luogo assistito 24 ore su 24 per la riabilitazione; Gruppo appartamento detto anche casa-famiglia, di 3-5 persone che si conoscono tra loro, spesso vengono dall`€™esperienza del manicomio o comunque sono disposte a vivere insieme; Comunità  alloggio, simile alla precedente, le persone sono di più, 8/10 e hanno legami meno stretti tra loro.

Fonte: Redattore sociale

 

Il nostro punto di vista
I manicomi? Meglio chiusi

Questo dossier ci ha aperto gli occhi su un problema che forse ignoravamo. La malattia mentale è una di quelle cose che incutono paura e cerchiamo di rimuoverla dai nostri pensieri, convinti che di chi non ha tutte le rotelle a posto debbano essere i medici ad occuparsi, perché tanto non possiamo farci nulla. E poi i matti è meglio rinchiuderli a doppia mandata, per impedire che facciano del male agli altri. E giustifichiamo giudizi così trancianti ricordando casi, enfatizzati dalla cronaca, in cui qualche malato di mente è trasceso in violenze.

In realtà , sono pochissimi i matti da legare. La gran parte di loro è solo gente sfortunata che ha bisogno soprattutto di comprensione, di affetto, di essere aiutata a stare, come può, in un mondo che le sfugge, le è estraneo.

Comprendiamo il profondo dolore di tante famiglie che, avendo in casa un malato di mente, devono, e spesso da sole, senza il conforto degli altri e il sostegno delle istituzioni, sopportare situazioni difficili. Ma la richiesta che viene da alcune di loro di riaprire i manicomi ci lascia perplessi. Il manicomio, anche senza il degrado e le aberrazioni che hanno indotto a suo tempo Franco Basaglia a richiederne per legge la chiusura, sa sempre di separazione, costrizione, rifiuto... clima non certo ideale a un tentativo di recupero, sia pure parziale, che dovrebbe essere lo scopo di ogni intervento terapeutico.

Probabilmente bisognerà  insistere con maggior tenacia e convinzione in quelle strutture alternative, tipo case-famiglia, dove è più facile recuperare la centralità  della persona, instaurare l`€™ascolto, l`€™accompagnamento, il pieno rispetto della dignità , in un clima di amore fraterno e di condivisione.

È una strada più difficile da perseguire. Ma la comunità  cristiana, chiamata per vocazione a scegliere i poveri, non può non essere vicina ai malati di mente, che sono i più poveri, e ai loro familiari; non può non impegnarsi perché essi possano vivere tra gli altri, testimoni, tra l`€™altro, di alcuni valori che le nostre società  ossessivamente competitive hanno dimenticato: l`€™ingenuità , la fiducia negli altri, l`€™essenzialità ... Se loro hanno bisogno di essere aiutati a guarire nella mente, noi abbiamo bisogno di guarire il cuore e di distruggere le barriere che separano gli uomini e impediscono loro di essere felici.
Luciano Bertazzo

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017