Gli angeli dell’«hashtag»

Durante l’alluvione sarda, un gruppo di sconosciuti giovani informatici ha creato un servizio di informazione digitale sfruttando la Rete e i social network. L’identità di questi volontari è rimasta nell'ombra, ma il loro operato continua a brillare.
02 Gennaio 2014 | di

Questa è la storia di un gruppo di persone che chiamerò per semplicità gli «angeli dell’hashtag» (l’hashtag, che corrisponde al simbolo #, è utilizzato nel mondo dei social media per raggruppare contenuti, ndr). Non è una storia facile. Di fronte a un disastro improvviso, violento e devastante come l’alluvione che ha colpito la Sardegna alla fine del novembre scorso, la prima cosa da fare è capire che cosa sta succedendo. Le informazioni alla popolazione assumono un valore enorme e possono salvare molte vite umane: per questo motivo i canali di trasmissione delle notizie diventano un bene primario da tenere costantemente aggiornato e da mantenere accessibile con la massima cura.

Purtroppo le istituzioni sarde un canale così non ce l’avevano: a due giorni dall’alluvione il sito regionale della protezione civile riportava ancora le informazioni sulla campagna estiva contro gli incendi. In tempo reale non c’era modo di sapere attraverso fonti ufficiali quali comunità fossero state colpite, quali strade fossero interrotte, quali aiuti servissero e dove, quanti volontari si dovessero organizzare e come: un disastro nel disastro che ha aggiunto alla paura della pioggia anche la solitudine e il panico determinato dal dover agire alla cieca. In quelle ore terribili qualcuno però ha visto cosa mancava e lo ha organizzato. Alcuni giovani ed esperti informatici, senza conoscersi personalmente tra di loro e senza alcun coordinamento esterno, sono riusciti a mettere su in poche ore proprio il servizio di assistenza e informazione che mancava alla pesante macchina organizzativa regionale. Queste persone, che alla maggior parte dei sardi a cui hanno reso servizio sono e rimarranno sconosciute, hanno nomi comuni come Francesca, Manuel, Antonio, Giuseppe, ma hanno anche strani nickname da social network come «Insopportabile». Quello che sono riusciti a creare con il loro volontariato qualificatissimo è forse la cosa più vicina al servizio di protezione civile digitale che si possa sperare di avere nel 2013.

La persona che si nasconde dietro il nick di «Insopportabile» ha realizzato per prima che nei luoghi dell’alluvione stava mancando la corrente e che le persone isolate avevano il cellulare come unica fonte di contatto con il mondo. Ha quindi fornito loro una chiave di ricerca molto semplice – l’hashtag #allertameteoSAR – che ha consentito a tutti di segnalare emergenze attraverso Twitter e Facebook. Nei giorni dell’alluvione l’hashtag creato da «Insopportabile» è stato usato da tutti, persino dalle istituzioni, per far viaggiare le informazioni in modo preciso. Nel frattempo Francesca, una disoccupata del Medio Campidano con straordinarie competenze informatiche, ha usato gli strumenti messi a punto in altre parti del mondo per creare una mappa interattiva della Sardegna che ha permesso a chiunque di localizzare quello che stava succedendo in tempo reale. Chi stava organizzando un centro di raccolta vestiti e alimenti lo ha segnalato lì, rendendosi visibile a quanti volevano aiutare. Chi ha visto un ponte interrotto lo ha inserito nella mappa, in modo che chi si trovava in viaggio ne fosse subito informato. Chi era isolato ha chiesto aiuto anche così. E, se nei giorni dell’emergenza quella mappa si è rivelata fondamentale, nei giorni successivi ha continuato a essere utile, indicando ai volontari dove e come dovevano andare, supplendo all’assenza di coordinamento ufficiale. Questa squadra era formata da perfetti sconosciuti che hanno mangiato e dormito a turno per giorni, pur di non lasciare mai il servizio scoperto. Ma hanno anche convinto la Regione Sardegna ad aprire l’accesso alle mappe precise dell’isola per poter geolocalizzare meglio le emergenze, e l’Anas a fornire le informazioni delle strade interrotte nei luoghi di emergenza in modo gratuito e immediato.
 
A tre giorni dall’apice dell’alluvione, la squadra di #allertameteoSAR era in grado di offrire ai sardi un elenco di decine di centri di raccolta, verificati uno per uno per non fornire informazioni false, così preciso e documentato da essere preso dalla Regione come riferimento per le comunicazioni istituzionali. Oggi l’emergenza si è spenta e la ricostruzione è faticosa, rallentata dalla burocrazia, ma determinata come a volte i sardi sanno essere. Sarebbe però un peccato che il lavoro di quelle persone sconosciute, alcune delle quali dall’altra parte del mondo, fosse dimenticato e relegato al pronto soccorso di un’altra emergenza. Quei giovani hanno mostrato che non è difficile fare la cosa giusta, se si pensa e si agisce nel modo giusto, insieme.

La lezione civica degli «angeli dell’hashtag» è forte, ma nessuno di loro l’ha trasformata in un rimprovero politico, che pure ci sarebbe stato tutto. «Non importa se chi lo doveva fare non lo ha fatto: importa solo che servisse farlo e che noi lo abbiamo fatto». Questa è la risposta di tutti loro ai giornalisti che in queste settimane hanno cercato inutilmente di stanarli per chiedere un giudizio, un gesto di rivendicazione di ruolo di qualunque tipo che servisse ad alimentare le molte polemiche dei giorni dopo l’alluvione. Non hanno concesso niente a nessuno. L’unica cosa che dovevano fare l’hanno fatta per i sardi e dopo ciascuno è tornato al suo lavoro e alla sua vita, silenzioso e sconosciuto. Adesso l’acqua è rientrata negli argini, la magistratura sta cercando le responsabilità dei sedici morti e i politici fanno a scaricabarile. In mezzo a questi teatrini l’esempio degli «angeli dell’hashtag» brilla nettamente. È anche grazie a loro se i sardi ora sanno come si fa a non perdersi quando tutto il resto sembra perduto già.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017