Il francescano don Tonino Bello

A venticinque anni dalla dipartita, papa Francesco rende omaggio a don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, presidente di Pax Christi e terziario francescano. Fedele al suo nome di battesimo, fu anche profondamente antoniano.
18 Aprile 2018 | di

Papa Francesco prosegue il suo pellegrinaggio sui passi di quei cristiani italiani che hanno lasciato il graffio sul Novecento. E così, dopo la visita nel 2017 a Bozzolo (MN) per don Primo Mazzolari e a Barbiana (FI) per don Lorenzo Milani, è ora (in maggio) la volta di don Zeno Saltini a Nomadelfia (GR) e Chiara Lubich a Loppiano (FI), mentre il 20 aprile Francesco è atteso ad Alessano e Molfetta per incontrare don Tonino Bello. Non casuale la data della visita pugliese: è la ricorrenza della dipartita di don Tonino, giusto venticinque anni fa, dopo un lungo combattimento con un tumore allo stomaco. Il precoce addio, all’età di 58 anni, ha dato ancor più luce alla sua luminosa testimonianza di caparbio pacificatore, amico dei poveri, poeta dell’Altissimo, discepolo e pastore.

Che cosa vedrà papa Francesco ad Alessano, provincia di Lecce, il 20 aprile? Intanto la tomba di don Tonino, nel cimitero del suo piccolo Comune di origine. La comunità gli ha riservato uno spazio splendido, quasi una chiesa a cielo aperto, coronata di cipressi e di tre file di gradoni che invitano a sostare in raccoglimento prolungato. Al centro dell’emiciclo, poi, un giovane ulivo fa da «sentinella della pace» alla tomba vera e propria del servo di Dio. Sulla lastra di pietra è inciso: «Don Tonino Bello terziario francescano». Già, il vescovo di Molfetta aveva emesso la professione nell’Ordine francescano secolare, mentre era giovane prete, nel 1962, certo sull’esempio dell’amata mamma Maria. Tonino Bello era stato nominato monsignore a 28 anni, vescovo a 47, ma aveva sempre ben chiarito a qualsiasi interlocutore il desiderio di non sopravanzare quel «don» davanti al nome. Anzi, alcuni documenti li ha firmati proprio aggiungendo «terziario francescano». Che poi lo fosse nei fatti più che nel titolo è evidente. Si prodigava per gli emarginati, per sollevarli dalla miseria restituendo loro dignità, non dalle retrovie ma in primissima fila, sia impegnando le proprie energie, sia chiedendo alla comunità cristiana e civile di prendersi le proprie responsabilità senza accampare scuse. Non erano «pallini» il pacifismo, l’accoglienza dei poveri e dei migranti, la sobrietà vitale, il distacco critico da tutte le forme di potere politico che non fossero a servizio del bene comune, le invettive contro corruzione, guerre e menefreghismi. Erano invece frutto di un’adesione strettissima al Vangelo e alla persona di Gesù, che «non ammette di essere raccontato, ma pretende di essere vissuto» come spiegava don Tonino.

«Proprio questo legame fondamentale con il Vangelo e con Cristo è l’essenziale sua impronta francescana» conferma fra Francesco Neri, cappuccino, che firma Le stigmate e la misericordia. San Francesco d’Assisi nell’esperienza cristiana di don Tonino Bello, con prefazione di GianCarlo Bregantini (edizioni Insieme). Spiega fra Neri: «Se san Francesco “non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente”, come testimonia Tommaso da Celano, anche don Tonino ha amato intensamente la preghiera. Lo studio dove scriveva omelie e discorsi era, nella notte, la cappellina dell’episcopio. Altro parallelo è l’amore per l’eucarestia, con il fondamentale riferimento al capitolo 13 di Giovanni, alla lavanda dei piedi, brano che Francesco d’Assisi volle gli fosse letto in punto di morte, e che don Tonino sintetizzò nel celebre binomio de “la stola e il grembiule”. Entrambi erano poeti, creatori, con parole e segni. Li accomunava poi l’amore per il creato. Con una divergenza, però: da buon salentino, don Tonino “completa” il Cantico delle creature con il mare, pressoché ignoto a san Francesco, umbro… Come non citare infine la passione per la pace? La marcia del dicembre 1992 nella Sarajevo martoriata dalla guerra appare una riedizione del viaggio di san Francesco nel cuore della crociata, a chiedere conversione e pace a cristiani e musulmani».  

Don Tonino antoniano

Poteva don Tonino, che lo aveva addirittura nel nome di battesimo, non avere un legame anche con sant’Antonio di Padova? Cercando nella biblioteca del «Messaggero di sant’Antonio» salta fuori un libro sull’emigrazione molfettese nel mondo, del 1984, con una dedica speciale, vergata il 13 giugno 1987: «Grazie, padri. Il vostro ricordo rimarrà nella nostra città con tanta nostra gratitudine». Firmato: «don Tonino». I padri in questione sono il direttore generale e il direttore amministrativo del «Messaggero» di allora, ovvero fra Luciano Marini e fra Antonio Guizzo, in trasferta a Molfetta per una «missione antoniana» con le reliquie del Santo su invito della locale Confraternita di sant’Antonio, che festeggiava i 350 anni dalla rifondazione. Il ricordo di fra Guizzo è vivido: «Dopo aver incontrato don Tonino Bello, la mia fede nella Chiesa è sicura. Rimasi davvero conquistato dalla sua persona. Ci accolse in tutta semplicità in vescovado. “Il caffè so fare, ve lo preparo volentieri” ci disse. Indossava una croce di legno e un piccolo anello episcopale: era la fede nuziale di mamma Maria riadattata. Quando era stato in Australia, a fronte della profonda miseria in cui versavano tanti molfettesi emigrati, aveva fatto fondere l’anello e la croce d’oro per loro. Dopo il caffè ci recammo in cattedrale, ma lui ci precedette, “per dare una mano a confessare”. Era stupefacente la sua capacità di stare con i poveri. Ci raccontò di una signora che per un periodo era solita aspettarlo al termine delle messe. Chiedeva soldi per allestire un pranzo per festeggiare la cresima del figlio. E don Tonino dava quello che poteva. Poi sparì. Don Tonino rimase stupito, quindi, di ritrovarsela di fronte da lì a un mese. “Ormai suo figlio dovrebbe essersi cresimato…”. Era vero, ma la signora non aveva raggranellato a sufficienza per il pranzo, e quindi era venuta a restituire la somma ricevuta… Ricordo poi la Messa del 13 giugno. All’offertorio in tanti portarono doni per l’onomastico del vescovo: chi un chilo di zucchero, chi due etti e mezzo di caffè… Finirono tutti alla Comunità Casa per tossicodipendenti da lui fondata».

La Confraternita di Molfetta ebbe la lungimiranza di registrare l’omelia di don Tonino, nella quale il presule, come già l’amico David Maria Turoldo, si interrogava su quale fosse il segreto del Santo. «Perché ha scavalcato tutti questi secoli la figura di quest’uomo ed è giunta fino a noi (…)? Voglio dare una mia interpretazione: perché sant’Antonio si è convertito al popolo!». «Lui era un intellettuale, era un aristocratico del pensiero. (...) Sentì dire che Francesco d’Assisi (…) sapeva andare alle cose essenziali e allora anche lui è stato affascinato dal bisogno di andare alle cose essenziali».

Come non riconoscere che il percorso di Antonio da Lisbona è lo stesso compiuto da Antonio da Alessano?

 

L’articolo completo è leggibile sul numero di aprile 2018 del Messaggero di sant’Antonio e nella corrispondente versione digitale.

Data di aggiornamento: 18 Aprile 2018
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