IL SERVIZIO INNANZITUTTO

Se c’è un campo del sociale dove la parità sembra cosa fatta è proprio quello del volontariato, almeno stando alle cifre. L’analisi della realtà svela però la scarsa presenza delle donne a livello direttivo, e la loro difficile relazione con il potere
02 Marzo 1997 | di

Il volontariato è più maschio o femmina? Stando alle cifre della Fondazione italiana per il volontariato (Fivol), in questo campo la parità  sembra cosa fatta: su un totale di 9380 organizzazioni censite in Italia, 1936 (20,6 per cento) sono a prevalenza femminile, 1812 (19,3 per cento) a prevalenza maschile e 5524 (59 per cento) a composizione mista. Se però leggiamo i dati in controluce scopriamo che la realtà  non è come appare: né per i contenuti, né per la gestione del «potere».

Le donne preferiscono farsi carico della parte più debole della società : anziani, emarginati, famiglie in difficoltà , minori, ragazze madri. Gli uomini tendono a occuparsi di beni ambientali, beni culturali, contesti territoriali a rischio, malati e protezione civile: tutte attività  utilissime, ma con un'attenzione più indiretta all'uomo.

Altro dato è che spesso le donne sono attive e numerose alla base delle associazioni di volontariato, ma scarsamente rappresentate a livello direttivo. I dati del Fivol confermano la tendenza: nei gruppi che hanno risposto, solo 1510 avevano un presidente donna, mentre per 3657 tale carica era occupata da un uomo. «Dalla mia esperienza - afferma Paola Tonellato, volontaria del Comitato di sostegno alle forze e iniziative di pace in ex Jugoslavia, voluto da Alex Langer - ho constatato che spesso un gruppo di volontariato a fini sociali nasce spontaneamente per raccogliere un bisogno, e si basa su azioni concrete. In questa fase le donne hanno un ruolo preponderante. Man mano che il gruppo si struttura, inizia a creare contatti con associazioni di volontariato a livello internazionale, nascono cariche che sono puntualmente assegnate agli uomini».

 

Caratteri del volontariato al femminile

 

Si ripropone la divisione di compiti tradizionale, e la donna rischia di trasformarsi da angelo del focolare in angelo del privato sociale, senza alcun riconoscimento. «Il riconoscimento viene, eccome - controbatte Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino - . La gente non è sciocca, alla lunga sa cosa è concreto e cosa non lo è. Al Sermig cerchiamo di lavorare insieme uomini e donne, senza tanto guardare chi porta i pantaloni. Devo ammettere, però, che il contributo maggiore, sia in termini quantitativi che qualitativi, è delle donne. Le trovo meno egotiste, più sagge; hanno capito qual è la parte migliore della vita».

Certo, è importante avere un potere decisionale, ma grande importanza ha anche valutare e offrire a tutti l'esperienza fatta in tanti secoli di servizio agli altri. Il saper organizzare la vita dei propri familiari, dalla cena al bottone della camicia, mantenendo il proprio ruolo materno e spesso coniugandolo con un lavoro esterno, portano la donna a gestire più livelli dell'esperienza, e ad avere una concretezza maggiore. Tutto questo si riversa nel volontariato. «Quando preparavamo i pacchi per le famiglie dell'ex Jugoslavia - racconta Paola - le donne razionavano ogni cosa tenendo presente il numero dei componenti, la presenza di anziani, bambini o malati. Gli uomini non potevano far altro che eseguire le loro indicazioni. L'organizzazione dal basso, gestita in gran parte dalle donne, ha fatto sì che gli aiuti italiani nella ex Jugoslavia abbiano subìto meno sciacallaggi e compromessi: un funzionario di una grande associazione non avrebbe avuto pari senso di responsabilità  e determinazione».

 

Il dovere di contare di più

 

Ma il fatto di rimanere più spesso nella retrovie della storia, non può anche rivelare una scarsa fiducia in se stesse, o l'incapacità  di assumere il potere?

«Dopo secoli in cui si affermava che le donne non erano idonee a coprire delle responsabilità  nella vita sociale - risponde Tina Anselmi - molte hanno finito col crederci. Per cui ci vuole un cambiamento culturale che investa l'intera società , donne comprese». Poi il sistema per arrivare al potere è troppo brutale, tanto che molte donne se ne astengono e preferiscono dedicarsi a ciò che realmente le interessa: la persona, la condizione, il concreto. «Il loro ritirarsi aiuta un uso scorretto del potere - afferma Tina Anselmi - che dovrebbe essere servizio ma che oggi è asservimento dell'uomo all'uomo, come dimostrano le vicende di tangentopoli. Quindi, prendersi delle responsabilità  direttive nel sindacato come in politica, nei partiti come nel volontariato non è tanto un diritto delle donne quanto un loro dovere. Nel volontariato, in special modo, l'impossibilità  delle donne di prendere decisioni toglie potenzialità  enormi al volontariato stesso, perché affida le redini a chi il servizio lo conosce di meno. Inoltre - conclude Anselmi - la scarsa partecipazione delle donne impoverisce la società , perché la priva di quel 'genio femminile' di cui ha parlato di recente anche il pontefice».

Ma non è che sottolineando troppo la particolarità  del «genio femminile» si finisca col ristabilire vecchi ruoli, e assegnare alle donne ciò che dovrebbe essere cura dell'intera società ?

«Questo equivoco - spiega suor Tiziana Longhinato, francescana dei poveri - deriva dal fatto che da tempo si dice che donne e uomini siano complementari, per cui a ognuno spetta un ruolo sociale definito. Ma se fossimo dei pezzi da comporre, la donna dovrebbe appoggiarsi all'uomo perché in sé non avrebbe l'energia per essere persona intera, e noi religiosi saremmo uomini e donne a metà . Ma Dio ha creato interi e non mezze cartucce, per cui ogni essere umano ha entrambe i carismi pur sviluppandone maggiormente uno: ecco perché tutto appartiene a tutti, anche il disagio e la sofferenza degli altri».

 

Disparità  nella chiesa

 

C'è da domandarsi se almeno la chiesa sia riuscita a prendere una via diversa dal mondo, accogliendo nei fatti la particolarità  del genio femminile. Anche in questo caso i numeri tradiscono la realtà . I gruppi di volontariato a prevalenza femminile sono per il 70 per cento di matrice cattolica, ma le donne per lo più rimangono nell'ombra. «Capita spesso nelle strutture cattoliche -Ernesto Olivero - che alcuni preti tendano a essere accentratori e a non aprirsi democraticamente alla parte femminile, che pure dà  un grande contributo al loro lavoro. La crisi odierna dovrebbe indurre a maggior saggezza e far riscoprire la parità  come valore».

Anche le suore, che costituiscono tanta parte del volontariato, dimostrano da tempo il disagio di una eccessiva dipendenza dagli ordini maschili, e rivendicano una propria specificità : «Conserviamo lo spirito materno nel senso dell'accoglienza piena all'altro, chiunque esso sia, senza volerlo cambiare - spiega suor Tiziana - . Per esempio, lavorando con i barboni, incontriamo spesso individui violenti e burberi, e la tentazione di cambiarli è grande. Ma poi pensiamo che il loro comportamento non è voluto, ma deriva dall'incapacità  di gestire la propria persona. Ci limitiamo a diventare il loro punto di riferimento, senza condizioni. La disponibilità  all'accoglienza piena è il nocciolo del carisma femminile, un modo di essere, che si traduce in un modo diverso di agire».

La congregazione delle suore francescane dei poveri, a cui suor Tiziana appartiene, ha però una storia diversa rispetto a quella di molti altri ordini femminili. La fondatrice non si è mai appoggiata a congregazioni maschili, e l'indipendenza è sempre stata un dato di fatto.

Quali vantaggi ha questa condizione? «Quello essenziale di collaborare alla pari con tutti: ordini maschili, associazioni laiche, preti diocesani, rimanendo comunque libere nel nostro modo di agire». Anzi, questa esperienza diversificata può arricchire la chiesa di una qualità  fondamentale: una maggiore concretezza. «Oggi - afferma suor Tiziana - non c'è più bisogno di maestri ma di testimoni, di persone che parlino con la vita, e quando pronunciano una parola essa subito prenda significato e consistenza grazie al dono della propria esperienza».

È, dunque, sulla concretezza dell'esperienza che il dualismo maschio-femmina nella chiesa potrà  trovare una sintesi? «Sull'esperienza, ma non solo. Occorre che ciascuno abbia chiaro che la propria relazione non va stabilita con il maschio o con la femmina, ma con Gesù Cristo, in cui ognuno di noi trova il suo intero».

 

 

Esperienze di volontarie

STORIE DI ORDINARIA GRANDEZZA

 

Paola e le altre: momenti di dedizione, di solidarietà , di scambi reciproci che arricchiscono entrambi, vissuti nel cuore del disagio.

 

Paola, 35 anni, sposata, un figlio, è nel volontariato da più di vent'anni e in modo quasi naturale. Già  a undici anni seguiva la sorella che lavorava in un centro per disabili. «È stato facile diventare amica di queste persone. Da loro ricevo moltissimo. Tuttora il rapporto e molto spontaneo, tanto che il mio volontariato s'intreccia con la vita quotidiana e non ha particolari giorni od orari». Paola ha scelto di lavorare mezza giornata per poter essere più presente in famiglia.

«Con loro si è instaurato un bellissimo rapporto alla pari. Molto spesso si esce, si va in montagna. Non sento la diversità  - spiega Paola - . Quando si sta insieme viviamo come se il limite non esistesse. Esistono, piuttosto, persone che hanno delle difficoltà  che potrei avere anch'io. Non ho fatto una scelta economica, né solo di autorealizzazione - aggiunge Paola - . Tutto questo favorisce indirettamente anche mio figlio, perché ho più tempo per lui e perché è un esempio di vita».

Il volontariato al femminile si concretizza anche nell'Anno di volontariato sociale (Avs), che coinvolge centinaia di giovani donne, dai 18 ai 28 anni, che hanno deciso di impegnare un anno della loro vita al servizio degli ultimi.

Promosso all'inizio dalle Caritas, oggi l'Anno di volontariato sociale trova realizzazione anche in altre realtà . Viene fatto sul territorio ed è rivolto a diversi settori di disagio e povertà . Le giovani lavorano a favore di minori e disabili - per lo più in cooperative sociali e strutture pubbliche convenzionate con la Caritas - con gli anziani nelle case di riposo, nelle associazioni e nei centri diurni. Gli elementi principali di questa esperienza sono: il servizio, la formazione e la vita comunitaria. Per dodici mesi, infatti, le giovani si staccano dalle loro famiglie.

L'aspetto comunitario è molto importante, assicura Luisa, 19 anni: «Oltre a gestire la casa: cucinare, lavare, stirare... si mette in comune il proprio vissuto, la propria storia, i propri progetti, qualità  e difetti, con la fiducia di essere accolti reciprocamente e nel tentativo di intrecciare assieme le diverse abitudini di vita, i caratteri, le aspettative. Lo scopo è riuscire a superare l'individualismo, pensare e agire nell'interesse di tutti».

Luisa ha vissuto in una comunità  con altre sei ragazze: «Per due pomeriggi alle settimana - spiega - andavo a trovare una ragazza ritardata mentale. Il resto del mio tempo lo trascorrevo con gli zingari: prima a scuola e poi nei luoghi dove abitualmente vivono». L'atteggiamento con il quale ci si accosta a queste persone è la condivisione nel loro ambiente di vita, al di là  dei pregiudizi e delle diversità . Spesso le giovani volontarie fungono da mediatrici fra gli zingari e le istituzioni: assistenza sanitaria, scuola, comune. Oppure offrono il loro aiuto per la ricerca di un lavoro o di una casa.

Rosaria, a 24 anni, ha svolto l'anno di volontariato rinunciando al lavoro. «Non potevo usufruire di un anno di aspettativa, dato che la nostra esperienza non è riconosciuta. Poi per una serie di coincidenze me lo hanno concesso, ma con il mio bravo buco pensionistico». Nel 1990 è diventata responsabile di una comunità . Per cinque anni ha vissuto con le ragazze dell'Avs, continuando di giorno a lavorare. Attualmente è responsabile del settore Avs della Caritas ambrosiana, che comprende sei comunità .

Spesso chi svolge l'Anno di volontariato sociale decide di proseguire gli studi, con un nuovo spirito. È il caso di Ivana, 24 anni: «Volevo impegnarmi in qualcosa di utile e nello stesso tempo mettermi alla prova per vedere se ero adatta a fare l'educatrice». Nel periodo di volontariato ha seguito diverse persone: un bambino con problemi caratteriali, un ragazzo autistico, tre anziani, una ragazza spastica e una con la sclerosi multipla. «Ho imparato a rapportarmi con loro, e a capire che le cose più banali possono diventare importantissime. Malvina, l'anziana che assistevo, mi ha insegnato la gioia di vivere momento per momento, nonostante l'età  avanzata».

Luisa è piena di entusiasmo quando racconta di questa sua scelta. Certo, non sono mancate le difficoltà . «Inizialmente era difficile lavorare a scuola con i bambini zingari. Loro non accettavano la struttura scolastica fatta di regole lontanissime dalla loro cultura. Poi, quando sono andata a trovarli nelle loro famiglie, si sono aperti e il rapporto è migliorato».

Anche il volontariato in carcere ha spesso il volto della donna. Da più di dodici anni, Renata entra nel carcere per aiutare le detenute. Due, tre volte la settimana ha colloqui con loro e organizza animazione culturale. Parte importante del suo lavoro è fungere da tramite con il mondo esterno. Va a trovare o telefona ai parenti delle detenute per poi trasmettere notizie di loro alle recluse, o a sbrigare per loro delle pratiche negli uffici pubblici. Alla sera, poi, si mette al telefono e comincia a contattare i loro parenti per ottenere informazioni sui propri cari, tanto importanti quando si è recluse.

«Mi piace fare le cose che mi vengono al momento, e usare la mia creatività  per rendere significativo il mio ruolo. Chi vuole fare il volontario in carcere deve adattarsi alla realtà  che è sempre mutevole:cambiano di continuo le detenute e con esse i loro bisogni e interessi. Giro per le celle e raccolgo stimoli e suggerimenti, procuro alle detenute dei libri, anche servendomi della biblioteca di quartiere. Sto portando in carcere dei ragazzi di una scuola, sia per favorire lo scambio con l'esterno, sia per informare l'opinione pubblica sui problemi della detenzione».

Ma qual è il ruolo di una volontaria in carcere? «Cercare, senza sottovalutare le ingiustizie e le sofferenze, di rendere il carcere umanamente più accettabile, mettendo in evidenza le debolezze di quanti operano nell'ambiente. Ho fatto poi di tutto per tenermi lontano dal potere, ed essere davvero una di loro. Ciò mi ha mi ha reso credibile e mi permette di agire più efficacemente a loro favore».

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017