Il sorriso dell'anima

Parole come foto, che fermano istanti, sorrisi, silenzi. I grandi silenzi del popolo tibetano, avvolto in una spiritualità soffusa. In attesa di un’alba, forse prossima.
15 Giugno 2021 | di

Si uniscono le mani chinando il capo, nel tempo in cui il corpo e la mente si fondono elevando lo spirito all’estrema qualità divina. Pellegrini rivolti agli dei, accattoni e mendicanti, viaggiatori in cammino, gente comune nella routine del quotidiano: «Mi inchino a te», Namasté. Un percorso che porta all’anima tra profumi d’incenso e odori della città. Il viandante si lascia trasportare nel cammino che conduce alla porta d’Oriente, l’unica frontiera aperta tra il Tibet e l’Occidente.

La «Friendship Highway» – che prende forma nella periferia di Kathmandù – non è solo una via di comunicazione. Si sale lentamente verso il cielo sfiorando le nuvole, mentre la natura, ignara dei sentimenti umani, mantiene la sua incredibile aria di innocenza. I polmoni faticano a pompare il poco ossigeno di questo altipiano «spirituale» che porta al Kailash – la montagna sacra venerata dal popolo tibetano – e al Palazzo del Potala di Lhasa, un tempo dimora del Dalai Lama e simbolo dello Stato autonomo teocratico del Tibet. 

Nel «calore» del gelo

Gli orizzonti infiniti accompagnano i pensieri, mentre la neve accarezza la brulla pianura di un mondo che vive abbracciato al sorriso degli uomini. Quassù la strada è la casa di tutti: i bambini giocano con palle improvvisate fatte di stracci, i più grandicelli e le donne accudiscono il bestiame, i più anziani passeggiano nel nulla ruotando mulini di preghiera e recitando litanie. Avvolti in pesanti pastrani, i pellegrini vivono la gioia della fede: si sdraiano sul terreno gelido per l’orazione, mentre il tempo non scandito dall’orologio accende l’eterno fluire della vita. Le bandierine di preghiera si lasciano trasportare dal vento, verso l’ignoto. 

Lungo la strada sterrata che porta al Jokhang – il luogo spirituale più importante del Tibet – si incontrano villaggi senza nome. Modeste costruzioni in muratura dal tetto in lamiera, locande che accolgono viandanti in cammino verso una meta immateriale. Nell’ampio cortile di una taverna, una ragazza vestita con una camiciola di cotone stretta in vita da una vistosa cintura, richiama lo sguardo curioso degli sconosciuti. Intirizzita dal freddo e incurante della temperatura prossima allo zero, la giovane donna imbastisce una esuberante comunella con alcune amiche del villaggio. Una vivace visione fatta di attimi di luce rubati a un pallido tramonto, per un sorriso e uno sguardo che diventeranno indelebili. Il volto emana frammenti di spontanea purezza, un dono per anime occidentali inquinate. Sguardi fatti da occhiate prive di filtri, linee di impalpabile energia dirette al cuore.

Nel «calore» di quel gelo che arrossa il volto, ci sono sorrisi ingenui velati di timidezza. Silenzi infiniti in un’intesa non scritta che, nonostante tutto, prendono forma nella speranza di un dialogo. Si sentono sassolini rotolare nelle scarpe, quando la ragazza – con un ultimo sorriso – allarga le braccia per unire le nostre anime alla sua. Il breve istante di un batter d’ali di farfalla, l’attimo indefinito di una speranza che prende spunto per una sincera felicità. Abbassa il capo la giovane donna, mentre s’incammina per chissà dove. Nell’eternità appena donata percorre una via in controluce, seguendo il ciglio della sua esistenza.

Cambiamento come necessità

Orfani di un destino affogato che qualcuno ha scritto per noi, si odono gemiti di un pensiero vagabondo che prende forma nella mente. Offerte arroccate nella fatalità della vita. Ci sono sogni che prendono il sopravvento e invadono l’intimità: mulini di preghiera, mistici pellegrini, volti scavati dal vento, giubbotti North Face, autobus affollati, carretti sgangherati, insegne pubblicitarie, grandi negozi. Monasteri. Profumi d’incenso, canti e litanie religiose, canzoni di Neil Young. Ricchezza e disagio. Rassegnazione e speranza. Strette di mano. Contrasti per capire, o semplicemente necessità di cambiare.

Si cammina a testa bassa. Si cammina e basta, mentre le città in cima al mondo si spengono. Il sole fugge verso occidente: c’è l’immediato bisogno di una riflessione, di una comprensione. Gli occhi si chiudono avvolti da un senso di vuoto: si sente il grande silenzio di un popolo. Il Tibet dorme nella sua spiritualità, ma è quasi l’alba: il sorriso dell’anima.

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Data di aggiornamento: 17 Giugno 2021
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