Il vecchio pastore e il miracolo dell'acqua
L'anno scorso, la carestia s'è abbattuta sull'Eritrea come un tifone su una città terremotata. Trent'anni di guerre con l'Etiopia, un governo dittatoriale e un'agricoltura di sussistenza hanno trasformato un mancato raccolto nella tragedia di un popolo: tre milioni di persone, quasi tutta la popolazione eritrea, rischiava di morire di fame. Di fronte ai bambini che reclamavano cibo, la cosa più urgente da fare era chiedere l'aiuto umanitario internazionale. E monsignor Luca Milesi, vescovo dell'Eptarchia di Barentu a Sud Ovest dell'Eritrea, l'aveva già fatto, unendosi all'appello degli altri vescovi locali. Ma sapeva che far sopravvivere la sua gente fino al prossimo raccolto era una cura palliativa. Per questo, nel novembre del 2002, alla Caritas antoniana scriveva: Vi chiedo appoggio per poter realizzare iniziative di aiuto immediato che siano allo stesso tempo occasioni di sviluppo. Altrimenti il male si sarebbe ripetuto, come aveva già fatto nel 1986.
Monsignor Milesi nutriva particolare preoccupazione per i villaggi delle etnie Cumana e Nara dell'entroterra di Ebaro, il centro più importante della zona, ad appena 20 chilometri da Barentu: Sono popolazioni poverissime. Vivono prevalentemente di pastorizia. Nella zona l'analfabetismo è totale. I bambini diventano pastori già a cinque anni. Difficile raggiungere i villaggi, per mancanza di strade e mezzi. Tutti elementi che rendono queste popolazioni più esposte in caso di carestia e siccità .
Strategia contro la fame
Ma la via per uscirne c'era: Con la diocesi stiamo pensando a un programma che dia a queste popolazioni la possibilità di avere riserve di cibo e di acqua, scriveva il presule. Si trattava di un progetto in tre punti: 1. Costruzione di cinque pozzi d'acqua in zone strategiche, di quindici metri di profondità per poter attingere a falde molto profonde e quindi difficilmente esauribili (la Caritas antoniana ne ha realizzato uno). 2. Riforestazione di un'ampia zona. Per questi progetti, il governo è disposto a regalare mille piante di nime, specie di albero particolarmente adatto al clima e al terreno del luogo. Lo sviluppo veloce di questa pianta offre, in breve tempo, foraggio per gli animali e legna per la costruzione delle capanne, spiega monsignor Milesi. 3. Avvio della coltivazione di ortaggi: Queste popolazioni non li conoscono e non li usano, privandosi d'importanti nutrienti. Ma abbiamo constatato che stanno imparando a utilizzare il pomodoro come intingolo per condire il tukuscia, la loro tradizionale polenta di sorgo.
Il ringraziamento di Lula Kasa
Il costo per tutto il progetto era di 12 mila 800 euro. Una cifra modesta per una grande rivoluzione. Ce la racconta in prima persona, in una lettera del 21 ottobre 2003, Lula Kasa, un anziano, scelto dalla popolazione indigena per esprimerci il pensiero di tutti: Hanno incaricato me per scrivervi. Mi sono fatto aiutare dal nostro vescovo, perché io non so né leggere né scrivere. Troppo tardi ho capito l'importanza della scuola. Viviamo isolati e soddisfatti delle nostre tradizioni di vita primitiva. Vi è però tanta miseria. Ce ne rendiamo conto quando diventiamo anziani e ci ammaliamo. Ma per i nostri bambini sarà diverso. L'acqua che ci avete donato ci rende orgogliosi perché ci dà la possibilità di attuare i progetti e migliorare la nostra vita.
L'anno scorso eravamo costretti ad abbandonare i nostri villaggi perché non c'era acqua per noi e per il bestiame. Il nostro vescovo allora vi ha scritto. Subito avete mandato l'aiuto. Abbiamo scavato con picconi e badili alcuni pozzi e in tutti abbiamo trovato acqua abbondante. Una meraviglia mai vista!
I missionari ci avevano detto che sant'Antonio di Padova è il Santo dei poveri. Li aiuta nelle difficoltà più grandi. Per questo ora a Ebaro e a Mardami vi sono gruppi di cristiani riuniti nell'Associazione Sant'Antonio. Ogni mese s'incontrano per la messa. Poi mangiano e discutono assieme dei problemi della comunità per aiutarsi a risolverli.
Noi Cumara e Nara non conoscevamo piante da frutto e verdure. Parecchi di noi vivono di latte di mucca, di cammello, di capra... Nei tempi di carestia troviamo aiuto nel mangiare piante che crescono sulla montagna. Ora ci stiamo organizzando per sfruttare l'acqua dei pozzi per coltivare verdure e piante da frutto. Fatto nuovo nella storia del nostro popolo. Grazie a Caritas antoniana!
I miei due principali consiglieri, Scefalì e Abbate, mi incaricano di ringraziarvi tanto, tanto. Il mese venturo vi sarà la giornata del ringraziamento. I cristiani parteciperanno alla messa nella chiesa di Ebaro. Parecchia gente ha chiesto di fare sui pozzi il sacrificio tradizionale di una capra. Poi, giorno e notte, le danze. Quest'anno il raccolto è abbondante. Le nostre donne prepareranno aifa (la birra locale). Sarà grande festa in onore di sant'Antonio e di Caritas antoniana.