Invocando il dono della pace

Solo coinvolgendo nel processo di pace anche il mondo arabo, partendo da quello moderato, si potrà uscire dalla spirale della violenza e del terrorismo.
27 Aprile 2004 | di

Mi pare bello, cari amici, aprire questo editoriale con una informazione importante. Nel mese di marzo abbiamo offerto ai nostri lettori la possibilità  di un cammino comune, attorno a determinati valori, in preparazione alla festa di sant'Antonio. Concretamente, li abbiamo invitati a scriverci: i loro problemi, le difficoltà , le attese, le richieste... Un'opportunità  di condivisione e di rafforzamento dei legami esistenti. Per noi, ogni lettore non è semplicemente un abbonato, quanto piuttosto una persona associata a un mondo di valori, di significati, di domande.
Siamo rimasti sorpresi dalla grande quantità  di risposte che continuano a pervenire. Sono lettori che rivolgono domande, che chiedono aiuto, che domandano preghiere, che attendono una presenza.
Abbiamo sempre pensato il nostro compito non solo in una prospettiva editoriale, di comunicazione giornalistica, ma di relazione e di ascolto. La massiccia risposta alla nostra iniziativa ci incoraggia a essere ancora più attenti e a crescere in questa dimensione.

In moltissime lettere è costante la richiesta del dono della pace. Da anni la pace non è più oggetto di una generica invocazione, ma s'è fatta quasi un grido, spesso strozzato dalla tragicità  degli avvenimenti che stiamo vivendo, in un crescendo di inquietudine e di angoscia. Dalle stragi di Madrid fino alle barbare esecuzioni di ostaggi in Iraq, ultimo atto di una guerra che doveva essere preventiva - per scovare, cioè, e neutralizzare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, poi di fatto mai trovate - che ha innescato invece un incontrollabile processo di violenza sull'onda di un sempre più feroce e determinato fondamentalismo islamico.
Sono avvenimenti che ci toccano da vicino, non solo perché siamo implicati direttamente e onorevolmente in Iraq con i nostri soldati in missione di pace, ma per l'emozione e l'indignazione provocate dall'uccisione a sangue freddo e con vigliacca crudeltà , di ostaggi, tra cui il nostro Fabrizio Quattrocchi, morto con grande dignità  e fierezza. E dall'ansia per la sorte di altri, ancora nelle mani dei sequestratori e anch'essi vilmente minacciati di morte.

Su questo scenario di dramma e di grande confusione è tornata ad alzarsi la voce del Papa. Forte della certezza cristiana del sepolcro rimasto vuoto e della morte vinta da Gesù Risorto, parlando a fatica, ma con assoluta fermezza, il giorno di Pasqua, Giovanni Paolo II ha condannato ancora un volta il fenomeno disumano del terrorismo, invitando l'umanità  a trovare il coraggio solidale per opporvisi.
Ma ha poi chiamato a raccolta tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell'uomo, con queste parole: Ascoltate uomini e donne di buona volontà ! La tentazione della vendetta ceda il passo al coraggio del perdono; la cultura della vita e dell'amore renda vana la logica della morte; la fiducia torni a dar respiro alla vita dei popoli. Se unico è il nostro avvenire, è impegno e dovere di tutti costruirlo con paziente e solerte lungimiranza.
Lotta al terrorismo sì, ma non come pretesa per affidarsi alle scorciatoie della forza e della guerra, anziché alla pazienza operosa della ragione. È necessario abbattere, attraverso il dialogo e la comprensione - come annota Jean Vanier in un suo libro in uscita in questi giorni, Costruire la pace (Emp, 2004) - i nuovi muri di razzismo, pregiudizio e paura innalzati dopo terribili tragedie come quelle dell'11 settembre 2001 alle Torri gemelle e dell'11 marzo scorso a Madrid. Perché se non si riuscirà  a coinvolgere nel processo di pace anche il mondo arabo, partendo da quello moderato, sarà  difficile uscire dalla spirale della violenza e del terrorismo.
A maggio Giovanni Paolo II compirà  84 anni: auguri, Santità .

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017