Io, l’altro, Dio. E viceversa
Chi, seppur informato sui fatti, si sia ritrovato a scriverne la vita, ha indicato in vari snodi esistenziali il clou, il momento topico, lì dove la vocazione di san Francesco si è espressa con evidente chiarezza. Tutte ipotesi con un loro fondamento, e non è nemmeno detto che in parte non siano anch’esse vere. Ma se andiamo a chiedere al diretto interessato, ogni nostro dubbio è fugato: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo». Francesco d’Assisi attacca il suo Testamento proprio con queste esatte parole. Poi è venuto tutto il resto: il vangelo, i fratelli, la povertà. O, assai più probabilmente, un po’ di tutto il resto c’era già, ma aveva bisogno di una password che lo liberasse, un’occasione. Che se rende l’uomo ladro, può renderlo anche santo.
L’incontro con il lebbroso ha rappresentato per Francesco detta occasione. Egli va quasi letteralmente a sbattere contro il lebbroso, mentre è a cavallo nella piana di Assisi. Probabilmente non era nemmeno la prima volta che gli capitava, dato che questi, considerati il peggio dell’umanità, erano numerosi nel Medioevo. Se ancora un briciolo di umanità la possedevano. Questa volta, però, Francesco non riesce a scansare quel poveraccio, non fa in tempo a voltarsi dall’altra parte e a turarsi il naso. Improvvisamente quell’uomo ricoperto di piaghe diventa un «tu»! E nella profondità dei suoi occhi Francesco non intravede solo un fratello o quel Dio che è ugualmente padre di entrambi. Vede se stesso. Vede che solo una vita vissuta nell’amore ha senso. Intuisce come ci sia più bellezza negli abissi del mistero di ognuno di noi che non nelle stoffe nella bottega del padre Bernardone…
«Se c’è una cosa che mi stupisce sempre, è constatare l’infinita creatività e pazienza del Signore, che costruisce legami in infiniti modi e chiama a sé particolarissimamente, ognuno secondo un progetto unico, spesso stravagante», confida fra Gianluca. Lo fa voltandosi indietro, contemplando con gratitudine l’ appassionante anche se a volte misterioso itinerario di ricerca vocazionale. Dove tutti gli accadimenti, le esperienze, gli incontri, ben intrecciati tra di loro compongono un meraviglioso ordito: il progetto d’amore che Dio tesse per ognuno di noi! L’esperienza parrocchiale, i campiscuola ad Assisi, persino un lutto familiare, tutto contribuisce a scaldare il cuore, a far intravedere un orizzonte di senso e di realizzazione della propria vita.
Pian piano, però, si delinea per fra Gianluca una specie di filo rosso, un basso continuo, una costante che si insinua tra le pieghe di questa ricerca. Una recidiva che ne definisce non solo le tappe o le scelte di volta in volta, ma anche il risultato. O, almeno, il particolare esito. Dapprima è un’esperienza di volontariato in una realtà francescana, un anno con ragazzi in difficoltà. Alla fine va da sé una laurea come educatore, il lavoro in una comunità terapeutica. Finché anche il volto del lebbroso di fra Gianluca rivela dei lineamenti ben definiti.
«Era la notte di Natale, mentre andavo a messa. Mai visto prima, ma a partire da quella notte di Natale molto inquieta per me, lui si è fatto compagno di viaggio stabile per inaspettate reciproche grazie, e di più: porta di un “mondo” nel quale, gradatamente, ho preso a “viaggiare” parecchio, abitualmente, fino a coinvolgermi totalmente, da pellegrino. È il mondo della strada, del degrado, dei poveri, degli sbandati, dei “pericolosi”, dei dimenticati, di quelli che neppure più chiedono aiuto, spesso non più in grado. La Sua voce dentro: “Vai! Prenditi cura! Vai oltre! È la priorità della carità! Io sono con te. Io sono in loro e soffro con loro!”».