La Festa Piccola senza Faraaz
Faraaz Ayaaz Hossein non festeggerà la luna nuova. Non riceverà, né farà regali. Non indosserà gli abiti migliori per andare a trovare parenti e amici. È finito Ramadan, il mese del digiuno, il mese sacro dell’Islam. Per i musulmani è Aid al-Fitr, la Festa dell’Interruzione, la Festa Piccola. Ma Faraaz non ci sarà. È un giorno di dolore, la gioia è stata cancellata dalla ferocia. Faraaz, venti anni, giovane musulmano, buoni studi negli Stati Uniti, è stato ucciso da un suo coetaneo, forse dal coltello di Nibras Islam, anche lui buoni studi in Malesia. Nibras faceva parte del gruppo di assassini che hanno compiuto l’eccidio nel ristorante di Dacca.
Nibras avrebbe risparmiato Faraaz, era musulmano, conosceva la professione di fede. Ma avrebbe ucciso le sue amiche, Tarishi Jain e Abinta Kabir. Due ragazze ventenni, musulmane anche loro, ma che, agli occhi di Nibras, hanno la colpa di vestire «all’occidentale». Faraaz non le ha lasciate, non se n’è andato. È rimasto con loro. Lo hanno ucciso, assieme a Tarishi e ad Abinta. Non ci sarà Aid al-Fitr per loro. E il giorno della grande festa, simile al Natale dei cristiani (i regali, la visita ai parenti, un’aria di serenità), è diventato il giorno del lutto, del dolore.
Eppure, io sono ostinato: voglio ricordare un Aid al-Fitr di alcuni anni fa. Nella casbah di Algeri. Jasmina, una ragazza che avevo conosciuto solo il giorno prima, con le mani dipinte di henné per la festa, mi aprì una porta e mi guidò fino a una grande stanza. Donne di Algeri nei loro appartamenti: il grande vassoio dei dolcetti, i sorrisi, le chiacchiere, il sole del Mediterraneo dalle finestre. Che bella giornata, fu un «sentirsi a casa». Ahmed, un ragazzino della casbah, mi disse: «In questo giorno bisogna trattenere la fratellanza». Parlava un italiano strano e forbito, Ahmed, ma quelle parole mi sembrarono perfette.
La saggezza da adolescente di Ahmed avrebbe fermato i tagliagole di Dacca. Non c’è riuscito il coraggio di Faraaz. Non si sono fermati, poche ore dopo, gli assassini di Bagdad (i corpi delle donne, dei bambini…). Non hanno fermato i torturatori di Giulio Regeni al Cairo. Ma noi siamo davvero ostinati: torneremo nella casa di Jasmina ad Algeri, siederemo di nuovo in un ristorante di Dacca, ci fermeremo nella redazione di Charlie Hebdo a parlare con Wolinski, andremo a un concerto al Bataclan, prenderemo aerei per Bruxelles, pregheremo nella moschea di Istanbul come ha fatto Papa Francesco.
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