La pace necessaria
Ho vissuto un’esperienza commovente, nella notte di Capodanno, per iniziare l’anno nuovo nel segno della pace. Abbiamo scelto di metterci sotto la grande campana della pace di Rovereto, realizzata con il bronzo fuso dei cannoni delle nazioni partecipanti alla prima guerra mondiale.
Una sede più eloquente di altre, per far memoria, nella preghiera, della fine di quella inutile strage. Milioni di morti, che non produssero, poi, nemmeno una nuova coscienza di pace. Anzi! Le durissime condizioni poste nell’armistizio, specie contro la Germania, furono i bacilli che produssero il veleno per la seconda guerra mondale, a soli vent’anni di distanza. Un secolo di guerre.
Anche oggi, la riflessione sulla pace è sempre più necessaria. Siamo di fronte a una terza guerra mondiale, spezzettata in diversi continenti, suddivisa in aree geografiche contrapposte. Per questo il Papa, ancora una volta, ci ha dato una parola chiara, nel suo messaggio del primo gennaio per la Giornata mondiale della pace: «La buona politica come fonte della pace!».
È necessario procedere per gradi. Prima di tutto, occorre comprendere che non esiste una guerra giusta! Per questo mi sono indignato, in visita pastorale a un paese della mia diocesi, quando sul monumento ai caduti ho visto scritto "Onore a chi è caduto combattendo una guerra giusta contro i nostri nemici".
Ho subito oscurato quella parola, utilizzando un nastro adesivo a portata di mano, perché i ragazzi comprendessero la stupidità di quella scritta. Già papa Giovanni aveva ironizzato su questa espressione quando, nella famosa Enciclica Pacem in terris, usò una sferzante valutazione.
Con una colorita espressione latina affermò: "Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum essere ad violata iura sarcienda". Cioè: "è pazzesco pensare che, in un mondo che possiede le armi atomiche, la guerra possa essere uno strumento di pacificazione, per sanare le contese".
È una pazzia pensare che la guerra sia strumento di pacificazione! Tanta strada si è fatta da quella riflessione. Le coscienze si sono mobilitate. E, ogni anno, le marce per Capodanno ne sono l’esempio eloquente.
Come la preghiera fatta ai piedi di Maria dolens, l’enorme campana di Rovereto, che invia i suoi dolenti rintocchi in tutta la vallata, per raggiungere il mondo intero. In essa sono i cannoni di tutte le nazioni che rimbombano. Per ammonire. E per dire alle nuove generazioni che il nazionalismo, la difesa dei propri interessi egoistici, portano soltanto chiusura e morte.
Ecco perché decisivo è il superamento delle frontiere. Allargarle, non restringerle, come sta invece avvenendo ora in Gran Bretagna. Il nazionalismo è il virus della guerra. Le frontiere rialzate porteranno sempre fame, paura, stanchezza. La Brexit ne è il segno, negativo, eloquente!
Proprio come diceva don Mazzolari, cappellano militare nella prima guerra mondiale. Parte sicuro, certo di servire la Patria. Quel sacerdote vive la guerra con tutte le sue atrocità, nel fango delle trincee. Sperimenta i fallimenti, le contraddizioni attorno alla parola «Patria». E torna, torna stanco e deluso. Ma anche convintissimo che la guerra è solo atrocità. Non gloria.
E scrive, sul concetto di nazionalismo, questa riflessione: «Dove ci sono troppi soldi in poche mani, dove i più furbi, se non i più intelligenti, decidono le cose di tutti, dove i più forti piegano le cose comuni a proprio vantaggio, dove i primi non sentono gli ultimi, in quel Paese non c’è libertà!».
È proprio il rischio che vive la nostra nazione italiana, in questo triste momento politico. Dove i primi non sentono gli ultimi, i più forti piegano le cose comuni a loro vantaggio e ci sono troppi soldi in poche mani.