La pietà popolare riprende quota

Un nuovo decreto della Congregazione per il culto divino fa il punto su pietà popolare e liturgia, valorizzando le devozioni popolari che, se conformi alle leggi della Chiesa, possono essere il naturale frutto di nuove forme di vita cristiana, di nuove fo
08 Febbraio 2002 | di

Si può affermare, senza timore di esagerazione, che il terzo millennio cristiano si è avviato anche nel segno delle devozioni popolari. Con il Direttorio su pietà  popolare e liturgia, appena reso noto dalla Congregazione per il culto divino, giunge di fatto a conclusione un cammino iniziato durante il concilio Vaticano II, con la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nella quale i padri conciliari avevano affermato con decisione che «i pii esercizi del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, sono vivamente raccomandati».

Ma anche il grande Giubileo del Duemila ha permesso di compiere un passo significativo nella riappropriazione ecclesiale di espressioni di preghiera `€“ sia personali che comunitarie `€“ dall`€™indubbio valore per la crescita spirituale dei fedeli di ogni età  e condizione. Spiegando i criteri utilizzati per la stesura del programma giubilare, il comitato organizzatore precisò infatti che, sebbene non fosse usuale che un calendario liturgico contenesse indicazioni relative ai pii esercizi, nel Calendario dell`€™Anno santo 2000 si era invece stabilito di inserirli, per la consapevolezza che «non pochi esercizi dell`€™anno giubilare `€“ processioni, celebrazioni penitenziali, adorazioni eucaristiche `€“ hanno una matrice popolare».

È stata in qualche modo la definitiva presa di coscienza di ciò che Paolo VI aveva sottolineato nel 1975, spiegando che la pietà  popolare «se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori», in quanto «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere ... comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità , la provvidenza, la presenza amorosa e costante [e] genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».

 Una storia lunga duemila anni

 I pii esercizi che pratichiamo oggi hanno un`€™origine relativamente recente, ma le espressioni di devozione verso il trascendente affondano le proprie radici in un passato lontano, che precede di molto l`€™avvento del cristianesimo. Sia in quelle epoche remote, sia nei primi secoli cristiani, tali pratiche di pietà  furono però molto diverse dalle forme strutturate che sono attualmente consuete. Si può anzi dire che soltanto con papa Gregorio Magno (590 - 604) si iniziò a prestare attenzione affinché almeno alcune modalità  liturgiche `€“ come le preghiere di rogazione o le litanie processionali `€“ corrispondessero meglio alla sensibilità  popolare.

A partire dal VII secolo, e fino alla metà  del XV, si determinò, con una progressione sempre più accentuata, un evidente dualismo fra la liturgia, officiata in latino, e la pietà  popolare, espressa in lingua volgare. Nel contempo, le diverse aree geografiche svilupparono forme variegate di pii esercizi e di espressioni devozionali, che consentirono alle differenti comunità  di conservare e di esprimere il proprio particolarismo nel quadro della religione comune. Nel `€™400 si erano ormai consolidate anche le confraternite, che rappresentavano lo strumento più importante per la propagazione della pietà  popolare.

Nel XVI secolo, in seguito alla riforma avviata dal concilio di Trento (1545 - 1563) anche per contrastare lo sviluppo del protestantesimo appena avviato da Martin Lutero, la pietà  popolare si rivelò un importante strumento per la difesa della fede cattolica. Fra il `€™600 e il `€™700 la pietà  popolare dovette fronteggiare un duplice fronte: sul versante esterno il razionalismo illuminista, che l`€™avversava in quanto la considerava pervasa da superstizione e fanatismo; sul versante interno il giansenismo, che le contestava una dannosa esteriorità  in luogo del vero raccoglimento interiore.

Nell`€™Ottocento, al risveglio della liturgia corrispose un incremento della pietà  popolare: così il rifiorire del canto liturgico coincise con la creazione di nuovi canti popolari, mentre la diffusione di messali liturgici si accompagnò alla proliferazione di libretti devozionali. Sul finire del XIX secolo si vide però un accentuarsi della sovrapposizione fra pratiche devozionali e azioni liturgiche. Questo fatto accelerò la nascita e lo sviluppo del cosiddetto «movimento liturgico», che si proponeva di favorire nei fedeli la comprensione e l`€™amore per la celebrazione dei divini misteri e che rappresentò uno dei fulcri di quel rinnovamento liturgico affermatosi con il concilio Vaticano II.

È toccato proprio al primo testo approvato dai padri conciliari, la costituzione Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), il compito di definire nei giusti termini il rapporto fra la liturgia, cui spetta un indiscutibile primato, e i pii esercizi, validi ma subordinati. Nel tempo attuale, come ha puntualizzato il Direttorio, occorre dunque «evitare di porre la questione del rapporto fra liturgia e pietà  popolare in termini di opposizione, come pure di equiparazione o di sostituzione», in quanto «la coscienza dell`€™importanza primordiale della liturgia e la ricerca delle sue più genuine espressioni non devono condurre a trascurare la realtà  della pietà  popolare e tanto meno a disprezzarla o a ritenerla superflua o addirittura dannosa per la vita cultuale della Chiesa».

 I termini della questione

 Qualche precisazione appare a questo punto necessaria a proposito della terminologia che stiamo utilizzando, poiché non di rado vengono intese come equivalenti espressioni che sono invece concettualmente differenti. Ci aiuta in tale chiarimento il citato Direttorio, che definisce con precisione i termini più importanti.

La locuzione «pio esercizio» (ma anche «esercizio» o «pratica di pietà ») designa «quelle espressioni pubbliche o private della pietà  cristiana che, pur non facendo parte della liturgia, sono in armonia con essa, rispettandone lo spirito, le norme, i ritmi; inoltre dalla liturgia traggono in qualche modo ispirazione e ad essa devono condurre il popolo cristiano».

Per «devozioni» si intendono «le diverse pratiche esteriori che, animate da interiore atteggiamento di fede, manifestano un accento particolare della relazione del fedele o con le Divine Persone, o con la beata Vergine nei suoi privilegi di grazia e nei titoli che li esprimono, o con i santi, considerati nella loro configurazione a Cristo o nel ruolo da loro svolto nella vita della Chiesa».

La «pietà  popolare» indica «le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell`€™ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura».

La «religiosità  popolare», invece, designa un`€™esperienza più universale: «Ogni popolo infatti tende a esprimere la sua visione totalizzante della trascendenza, e la sua concezione della natura, della società  e della storia, attraverso mediazioni cultuali, in una sintesi caratteristica di grande significato umano e spirituale».

 Gesù, la Madonna e i santi

 Se, come ha sintetizzato il teologo Eliseo Ruffini, la funzione degli esercizi di pietà  è «di esplicitare simbolicamente i significati più profondi della storia della salvezza e di essere il punto simbolico di partenza per la sua attuazione», è evidente che il primo riferimento di ogni devozione è Cristo, il quale rappresenta simultaneamente «la piena manifestazione e la totale realizzazione sia della pietà  di Dio verso gli uomini, che della pietà  degli uomini verso Dio».

L`€™amore dei fedeli per il Redentore dell`€™umanità  nutre anche la venerazione verso la Madre di Dio, percepita come madre di tutti gli uomini madre della Chiesa. La devozione mariana si manifesta dunque come un opportuno completamento che implicitamente corregge anche le possibili deviazioni di una spiritualità  intesa come rapporto privatistico tra il fedele e Cristo.

Quasi tutti i pii esercizi mariani sono collegati a una festa del calendario liturgico, evidenziando così lo stretto rapporto esistente fra la liturgia e la pietà  popolare. Nello stesso alveo si collocano le devozioni relative ai santi e agli angeli (in particolare gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, commemorati il 29 settembre, e gli angeli custodi, celebrati il 2 ottobre).

 Gli obiettivi del rinnovamento

 Nel corso dei secoli, gli esercizi di pietà  hanno spesso sostenuto e corroborato la vita di fede del popolo cristiano, che era tenuto lontano dalle sorgenti della Bibbia e della liturgia. È dunque naturale che i fedeli vivessero con maggiore incisività  le pratiche devozionali (le quali coinvolgevano attivamente, con preghiere e gesti, ed erano espresse nella lingua parlata ordinariamente), rispetto alle celebrazioni liturgiche dove l`€™unico protagonista era il sacerdote, che si esprimeva in un latino aulico e solenne, ma incomprensibile ai più.

Con il rinnovamento attuato dal concilio Vaticano II, uno dei principali obiettivi è stato quello di promuovere la partecipazione dei fedeli alla liturgia, favorendo `€“ come hanno spiegato gli esperti della Congregazione per il culto divino `€“ «modi e spazi (canti, coinvolgimento attivo, ministeri laicali...) che, in altri tempi, hanno suscitato preghiere alternative o sostitutive dell`€™azione liturgica». Per il futuro resta comunque aperto un problema: quello, come ha puntualizzato il liturgista Jésus Castellano, «di creare nuovi spazi di celebrazioni che, ispirandosi alla liturgia, possano diventare veramente `€œliturgiche`€ pur partendo dalla religiosità  popolare».

La sfida per il terzo millennio cristiano è dunque riassumibile nella triade proposta da Massimiliano Zupi al convegno organizzato nel novembre 2000 dalla Conferenza episcopale sul tema «Cattolicesimo popolare, devozioni e progetto culturale»: «A) c`€™è bisogno di nuove forme di devozione cristiana: esse saranno il naturale frutto di nuove forme di vita cristiana, di nuove forme di sequela di Gesù. B) Per comprendere il futuro delle devozioni popolari cristiane, occorre tener presente il cambiamento graduale, ma irreversibile, che sta interessando la nozione di `€œpopolare`€: `€œpopolo`€ infatti in seno alla Chiesa indicherà  sempre meno il mondo laico e illetterato, e sempre più la Chiesa tutta. C) Conseguentemente, come non c`€™è autentica lectio senza devotio, così sempre meno ci potrà  essere una devozione cristiana che non sia almeno ispirata e nutrita dalla Parola».

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Per premio un`€™indulgenza

 Molte delle pratiche devozionali rientrano nel gruppo delle preghiere che godono di indulgenze: per esempio, la partecipazione alla Via crucis, all`€™adorazione eucaristica, ad alcune novene; la recita del rosario, dell`€™Angelus Domini, delle litanie approvate; l`€™utilizzo di un oggetto di pietà  convenientemente benedetto (crocifisso, corona, scapolare, medaglia...).

L`€™indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già  rimessi quanto alla colpa, che il fedele ottiene per intervento della Chiesa. L`€™indulgenza, che può essere applicata come suffragio per i defunti, è parziale o plenaria secondo che libera in parte o totalmente dalla pena temporale dovuta per i peccati. Per ottenere l`€™indulgenza plenaria, oltre l`€™esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale, è necessario eseguire l`€™opera indulgenziata e adempiere le tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice (recitando un Padre nostro e un`€™Ave Maria).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017