La ricchezza nelle nostre mani
Noi francescani apparteniamo a quella fioritura religiosa duecentesca chiamata degli «ordini mendicanti». Ma anche per il fatto che la stessa condizione umana è di «mendicità esistenziale», l’appartenenza a un ordine mendicante non genera questuanti: in tale ambito, infatti, ognuno è promotore di autonomia anche sul piano della propria sussistenza.
Forse, «mendicante» all’epoca significava «itinerante», indicava cioè una piena immersione tra gli «altri», una relazione di dare/avere umile e diretta, di reciprocità. Il termine rappresentava bene l’uomo del basso medioevo: mai fermo, affascinato da tutti gli aspetti della realtà, spirituali e materiali. Mercanti, professori di università, pellegrini, clerici vagantes tessevano la rete di civiltà europea sulla quale ancora «balliamo».
Anche i nostri Francesco e Antonio sono in questo flusso, che essi accettano e contestano nello stesso tempo. Sant’Antonio lascia la sua vita nel sistema abbaziale agostiniano ed entra nel movimento del Poverello, realtà mobile e nobilmente «mendicante», che va oltre lo schema economico delle «società perfette» rappresentate dai monasteri. I frati non possiedono niente di personale ed è la condizione del nuovo «stare bene», senza pesare su nessuno. San Francesco vuole che i frati lavorino, imparino un mestiere e dispongano degli attrezzi necessari.
È un argomento molto attuale anche tra noi frati del 2021: dalla pulizia del nostro convento a una onesta professione che assicuri il pane per le fraternità. Per Francesco i frati possono stendere la mano solo se viene riconosciuto il loro lavoro; a pieno diritto, sempre con umiltà, devono chiedere un pezzo di pane che allora non sarà «carità» ma giusta «restituzione».
I frati mandati nel mondo da Francesco non abitano grandi realtà claustrali, ma pervadono il territorio in piccoli gruppi, sono tra la gente, condividono il bello e il cattivo tempo, vivendo del lavoro delle proprie mani. Hanno voluto essere pauperes, che al tempo indicava chi viveva del proprio lavoro, e non amano per nulla essere «miseri», cioè dipendenti dalla beneficenza, e chi non lavora è per loro «frate mosca».
Ecco perché da molti anni ormai la nostra Caritas sant’Antonio – che è anche la vostra Caritas! – provvede a sostenere progetti di riscatto dalla povertà, attraverso quel «microcredito» che si è dimostrato un motore molto efficace, specie dove sono le donne e i giovani a farsene carico.
San Francesco aveva appreso in famiglia il gusto dello sviluppo attraverso il lavoro, ma ha rifiutato presto l’ascesa economica «capitalistica» della propria famiglia e della borghesia mercantile di Assisi, ormai senza più anima. Così pure sant’Antonio aveva ben capito la differenza tra l’onesto guadagno frutto di lavoro per il bene comune di tutti e la speculazione di vario tipo giocata sulle spalle di chi suda la vita.
Il Santo ha vissuto in un Comune di Padova in cui cresceva la forbice tra ricchi e poveri a causa della corsa feroce al profitto a qualunque costo; ha conosciuto uno a uno gli usurai della città che amava, e non ha lesinato per loro parole di durissima condanna. Io, frate ormai anziano, ricevo mensilmente dallo Stato un assegno sociale molto esiguo e se fossi solo non saprei davvero come campare: ma noi frati mettiamo tutto insieme e rompendo, come si dice, «il porcellino» ce la facciamo: è anche questa una piccola parte di quella economia del prendersi cura che sta tanto a cuore al Francesco di oggi, il nostro Papa.
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