La voce del popolo?
In molti sono rimasti storditi e sconvolti dai risultati delle elezioni negli Stati Uniti. Giornali, sondaggisti, establishment politico e finanziario puntavano sulla vittoria di Hillary Clinton, democratica, progressista, la prima donna che avrebbe rotto quel tetto di cristallo che impedisce al «sesso debole» di raggiungere posizioni di potere. Donald Trump – si pensava – era forte, ma non ce l’avrebbe fatta. Rozzo, volgare, machista, xenofobo – dicevano – non poteva rappresentare la nazione delle libertà e delle opportunità. È invece avvenuto il contrario. Hillary Clinton ha perso e Donald Trump ha vinto.
Una notizia che potrebbe però avere la funzione di aprirci gli occhi e di farci vedere quel che ci ostiniamo a ignorare.
Negli ultimi vent’anni la globalizzazione è intervenuta sulla vita di milioni di persone e l’ha cambiata. Molti, anche nelle nazioni più ricche, ne sono stati colpiti; molti hanno visto peggiorare la loro condizione di vita; molti hanno perso la speranza nel progresso e nel possibile cambiamento della loro collocazione sociale.
Al centro di questa crisi ci sono i lavoratori. Oggi si preferisce chiamarli «working class» ma di lavoratori si tratta. Di coloro che vivono e cercano di far vivere le loro famiglie con uno stipendio. E che sperano col lavoro di migliorare la loro vita e quella dei figli. Di loro si parla poco, ma sono molti e in questi anni sono stati colpiti e umiliati. Hanno visto le loro aziende chiudere i battenti, i loro figli nella precarietà totale, spesso hanno perso, insieme al lavoro, la dignità; hanno temuto l’arrivo dei più deboli – gli immigrati – perché avrebbero potuto togliere quel che loro restava: identità e un minimo di sicurezza sociale.
In questi anni, mentre l’establishment internazionale cercava di ignorarli, hanno covato odio, rancore, rabbia per chi – partiti e sindacati – non si accorgeva di loro. E alla prima occasione hanno votato e votano per chi riconosce la loro esistenza e le loro paure. O, perlomeno, dice di riconoscerle. Questo è successo nelle elezioni Usa. Trump ha promesso loro di far rimanere le aziende negli Usa e di cacciare gli immigrati. Ci hanno creduto e lo hanno votato.
Questo è accaduto in Europa. Questo possiamo prevedere nelle tante elezioni che si svolgeranno nel 2017 nel vecchio continente.
Sarebbe bene che i gruppi dirigenti, l’establishment, le élites europee e mondiali, dopo la lezione che viene dagli Usa, smettessero di pensare che il popolo, i lavoratori sono «brutti, sporchi e cattivi». Smettessero di bollare col termine «populista» chi non si vuole adeguare a una modernità che lo elimina. Sarebbe bene riflettessero un po’ sul perché quel popolo e quei lavoratori sono contro di loro e pronti a votare Trump o Marine Le Pen. Il messaggio è chiaro: non basta governare la globalizzazione così com’è, con i suoi carichi di sofferenza e di diseguaglianza, occorre intervenire con coraggio, correggere, rigettare. Se il messaggio non viene compreso è bene si sappia che tutto può accadere.