L’acquedotto delle meraviglie
Tutto remava contro: falde troppo profonde, temperature oltre i 40 gradi, assenza di strade asfaltate e costi esorbitanti. Eppure padre Joseph credeva fermamente che un giorno l’acqua sarebbe arrivata a Louanga.
25 Febbraio 2009
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La storia cominciò con un paio d’asini indispettiti, una lunga corda e un otre nero pece ricavato dalla camera d’aria della ruota di un camion. Pochi l’avrebbero sospettato, ma questo era il primo nucleo dell’acquedotto di Louanga, un villaggio dell’interno, nella regione del Kaolack, in Senegal, a 350 chilometri dalla capitale Dakar e a 45 dalla prima strada asfaltata. In questa zona secca e desolata l’acqua è il più grande problema. I pochi pozzi sembrano budelli scavati dritti nel cuore dell’inferno, avari d’acqua e profondissimi, anche più di settanta metri. Impossibile estrarre l’acqua a mano o usare comuni pompe elettriche.
E allora, ecco la soluzione. Prendere un paio di buoi nerboruti o i due asini più robusti del villaggio, assicurarli a una lunga corda alla quale è legata la camera d’aria; gettare corda e camera d’aria dentro il pozzo fino a percepire il tonfo in acqua e poi convincere le bestie ad avanzare, ogni passo faticoso e lento, sotto il peso crescente dell’otre ricolmo.
E poi tirare, spingere, incitare gli animali, metro dopo metro, mentre la corda tesa taglia l’aria e il pozzo s’allontana; e, finalmente, in uno strattone finale l’otre emerge, brilla sotto il sole bollente, spruzzando dai fori ribelli. Rivoli preziosi si disperdono mentre l’acqua giallastra, sporcata dal fango e dai detriti, finisce nelle taniche da portare a casa. È così tutti i giorni. Le donne perdono ore e camminano chilometri con pesanti contenitori in testa, gli uomini armeggiano con asini, corde e otri neri per abbeverare i loro magri animali di allevamento, unico apporto di cibo nei nove mesi di stagione secca, quando i campi diventano cimiteri di sterpi e la crosta della terra è dura come il marmo.
«Quando ho visto quella scena ho pensato che non era umano sopravvivere così. Tanta fatica e tempo per portare ai figli acqua sporca, mentre io tiro un sospiro di sollievo pensando alla mia bottiglia di minerale»: si esprime così Joseph N’Dong, quarant’anni circa, padre oblato di Maria Immacolata, senegalese anche lui, sfoderando un mix originale di coinvolgimento, compassione e ironia che ben si accoppia al suo sorriso largo e intelligente. Un bell’esempio dell’Africa che prende in mano se stessa e cerca soluzioni, con grande senso pratico e senza pietismi. Joseph ha un lungo passato da missionario e parla un discreto italiano vagamente romanesco, eredità degli anni di teologia, trascorsi in una parrocchia popolare della capitale. Viene a Louanga periodicamente, perché la missione degli oblati è a Koungheul, a 90 chilometri di distanza. Il villaggio è un’anomalia in territorio senegalese: è abitato al 90 per cento da cattolici, mentre il resto del Paese è per il 90 per cento musulmano. Una stranezza legata alla storia di Louanga. Nel 1966 un vescovo missionario propose ai cattolici, che si stavano disperdendo a causa di una carestia, di trovare un luogo, Louanga appunto, in cui ci fosse acqua per poter rimanere insieme e avere la possibilità di professare la propria fede. Il sogno dell’acqua fu al centro anche di quella prima comunità, ma rimase sempre un sogno e basta.
La sete d’acqua e di fede della gente di Louanga è arrivata fino a Joseph: «Sono il loro pastore ma anche il loro “trasportatore” d’acqua buona, soprattutto per i bambini, che ogni giorno con quest’acqua putrida rischiano la vita. Qui non c’è neppure un medico, manca anche la scuola. O meglio ci sono le prime classi ma poi devi andare a Koungheul per completare il ciclo. La mancanza d’acqua porta i giovani ad abbandonare i villaggi e a finire emarginati nelle bidonville di Dakar. L’acqua porterebbe speranza, vita, gente. E i piccoli si salverebbero».
Joseph non può tollerare questo scempio di bambini e ragazzi. Sono sempre stati i giovani il cuore della sua missione, quelli più abbandonati, più problematici, più soli. È stato così da sempre, da quando ha iniziato a fare il missionario in Senegal a quando ha chiesto di fare il viceparroco a Roma. E loro, i piccoli, lo riconoscono, al di là delle differenze culturali, quasi fosse un fratello maggiore o uno zio un po’ speciale.
Il sogno di padre Joseph
E lo zio Joseph ha le idee chiare su cosa si dovrebbe fare a Louanga: «Ci vorrebbero un nuovo pozzo e un acquedotto che raggiunga tutti i villaggi vicini. Ma questa gente è troppo povera per permettersi di affittare e far venire fin qui una trivella, e io da solo non posso aiutarli. Però... sarebbe un sogno bellissimo».
Un sogno che padre Joseph consegna a Caritas Antoniana nel settembre del 2006, con un progetto calibrato fino al dettaglio, che stupisce i nostri operatori. S’inizia a parlare, si discute, si chiedono pareri tecnici. E il sogno prende forma: un pozzo profondo più di 90 metri, un serbatoio di mille metri cubi, un gruppo elettrogeno, una grande vasca di abbeveraggio per gli animali e 17 chilometri di tubature per raggiungere Louanga e gli altri cinque villaggi della zona. Un beneficio enorme per più di 2 mila persone, senza contare i tanti pastori che passano in questa zona per la transumanza con le bestie assetate. Un’opera mastodontica in piena brousse, difficile da realizzare in questa terra dura, senza strade, con temperature che superano i 40 gradi. Difficile da realizzare con un costo così esorbitante: circa 280 mila euro.
Joseph non si dà per vinto, bussa alle porte dei suoi amici romani e chiede aiuto anche alla Conferenza episcopale italiana; i tasselli si uniscono e il sogno diventa possibile: Caritas Antoniana compartecipa al progetto con 139 mila euro, insieme agli altri partner.
I lavori iniziano subito, grazie a un grande processo di coinvolgimento della popolazione. Nella seconda metà del 2007 la trivella raggiunge una vena d’acqua abbondante e di ottima qualità. Un miracolo per questa zona, dicono gli esperti. All’inizio del 2008 segue la costruzione del serbatoio: un fungo di cemento alto 15 metri. Ma la fase più dura è lo scavo dei 17 mila metri di canali per posare le tubature in pvc della rete che porta l’acqua ai villaggi: «Il raccolto del 2008 è stato scarso – racconta padre Joseph – e gli uomini emigravano in cerca di lavoro per sfamare i propri figli. Non c’erano più braccia a disposizione. Allora la Caritas di Kaolack, la diocesi di cui facciamo parte, ha proposto una soluzione geniale: avrebbe dato a ogni lavoratore un chilo di riso per ogni metro scavato». Ciò risolve il problema della sopravvivenza e nello stesso tempo fa progredire i lavori per l’acquedotto. La prospettiva dell’acqua a Louanga apre altri rivoli di bene: le suore francescane dei poveri decidono di istituire una scuola. La felicità di Joseph e della sua gente è davvero un fiume in piena. Che si esprime in tutta la sua forza il 28 dicembre scorso, giorno dell’inaugurazione dell’acquedotto, il più bel giorno di Louanga. «È stata la festa più commovente che io ricordi, una festa di comunione anche con i fratelli musulmani. Vorrei potervi trasmettere tutta la gratitudine di questa povera gente. Grazie davvero, grazie per aver creduto nel nostro sogno».
il progetto in breve
2007
- scavo pozzo mt. 90
2008
- costruzione serbatoio mt3 1.000
- gruppo elettrogeno
- km 17.000 di rete idrica
- 7 fontane in 6 villaggi
Contributo euro 139.000,00
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017