Laurearsi, perché?

02 Novembre 1997 | di

Se la laurea fosse una canzone, sceglieremmo quella del giovane cantautore Nearco, dal titolo inconfondibile Il laureato, che ha un inizio baldanzoso: 'Ora che sono laureato, mi sento più erudito, mi sento altolocato... la mia vita è in discesa, la carriera è in ascesa...', e una fine, ahimè, piuttosto nota tra le file dei giovani laureati del nostro paese: 'Ora sono disoccupato, eppure ho studiato...'.

I laureati, quelli veri, confermano. Marco, dottore in scienze politiche da più di due anni, afferma: 'Non ho ancora un lavoro fisso: nei periodi del 740 aiuto un commercialista; ho fatto anche del marketing telefonico. Se ho bisogno di soldi non disdegno di servire ai tavoli in pizzeria. Per ora non posso dire che la laurea mi abbia aiutato, ma ho speranze'. Più negativa è Paola, laureata in lingue: 'Ho fatto più di un colloquio in ditte di abbigliamento molto famose del Nordest. Ero sicura che un titolo accademico, per giunta coronato da un 110 e lode, mi avrebbe agevolato, e invece mi rispondevano che in certi posti preferivano i diplomati: li formavano dalla base, avevano meno pretese di carriera e costavano meno'. Al Sud va peggio. Angela, laureata in economia e commercio da cinque anni, non ha mai avuto uno straccio di lavoro. 'M'impegno - dice - , ma l'unica cosa che trovo sono collaborazioni saltuarie, per giunta gratuite, con la scusa che devi imparare. Più passa il tempo più mi convinco che l'unica via per trovare lavoro è emigrare'.

Eppure l 'Italia ha una quota di 'dottori' molto inferiore rispetto agli altri paesi occidentali: solo il 7 per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni arriva alla laurea contro il 12 per cento di Francia, Inghilterra e Germania, il 16 per cento della Spagna e il 23 per cento degli Stati Uniti. A cosa si deve questa distanza tra università  e lavoro?

Al primo posto c'è l'inadeguatezza del nostro sistema accademico: totale mancanza di controllo della qualità  e dei contenuti dell'insegnamento; arbitrarietà  dei sistemi di valutazione degli studenti; arretratezza della ricerca; sovraffollamento. 'Ricordo con un certo disagio la vita universitaria - afferma Riccardo, laureato in ingegneria elettronica - . Mi alzavo alle sei per trovare posto, le aule erano superaffollate, per di più il professore spesso mancava all'ultimo momento'. Oggi Riccardo è un affermato libero professionista, soddisfatto del proprio lavoro ma l'università  proprio non la manda giù: 'C'ero andato con l'idea di affinare le mie conoscenze: devo dire di aver trovato pochi professori che mi hanno aiutato nel mio processo di crescita; i più mi insegnavano cose che reputavo fuori dal mondo, arroccate ai loro esclusivi interessi accademici. Il titolo mi è servito più per ragioni formali'.

Anche Adriana Galgano, consigliere incaricato per la scuola, la ricerca e la formazione del gruppo giovani imprenditori della Confindustria, conferma le difficoltà  del laureato: 'Vi è una eccessiva separazione tra quello che viene insegnato nelle università  e la realtà  dell'azienda italiana; soprattutto della piccola azienda, che non ha molte risorse e non è in grado di offrire al laureato la formazione aggiuntiva che sarebbe necessaria. Il 110 è comunque ancora un valore perché è un indicatore d'impegno; le caratteristiche personali del candidato fanno il resto: la flessibilità  e la disponibilità  ad aggiornarsi sono particolarmente apprezzate'.

L'inadeguatezza della formazione non è, comunque, l'unica causa del distacco con il mondo del lavoro; vi è anche una scarsa attenzione, tutta italiana, nella scelta del corso di laurea, che è spesso casuale, non aiutata dai professionisti dell'orientamento, dettata da generici interessi e poco collegata agli sbocchi lavorativi. Basti pensare che i lavori ancor oggi più ambiti dai giovani sono, in ordine decrescente, l'ambasciatore, il magistrato 'modello Di Pietro', il direttore di banca o di giornale, l'imprenditore; seguono le professioni come: medico, avvocato, architetto, ingegnere, e quelle artigiane: elettricista, idraulico, mobiliere, ecc; il fanalino di coda spetta ai cosiddetti 'lavori manuali': colf, bidello, custode, lavavetro e sguattero. La distanza con il lavoro ideale è ancora più smaccata se la si pone in confronto con le offerte di lavoro che compaiono sui quotidiani italiani: la vera superstar è il venditore.

Bisogna, dunque, scegliere una facoltà  cedendo ai dictat del mercato? 'Assolutamente no - risponde Walter Passerini ideatore del 'Corriere Lavoro', l'inserto del venerdì del 'Corriere della Sera' e autore del libro Il trovalavoro (Francoangeli, lire 26.000) - . Nella valutazione della scelta dovrebbero concorrere diversi fattori. Innanzitutto, i propri interessi e passioni: non si può riuscire in qualcosa che non si ama; poi, la valutazione delle proprie reali attitudini. È bene, in questo caso, servirsi di un esperto dell'orientamento e non limitarsi all'autogestione. Il terzo fattore importante è la revisione delle proprie conoscenze per colmare eventuali lacune, per esempio: migliorare la lingua straniera, l'uso del computer, la conoscenza della materia in cui si intende specializzarsi. Solo alla fine questi tre fattori vanno armonizzati con le richieste del mercato, cercando anche di informarsi su quali siano le aree più promettenti per i prossimi quattro o cinque anni. Insomma, la professione di domani è l'esito di un progetto, tenacemente perseguito'.

Se consideriamo le statistiche delle scelte fatte dalle matricole per l'anno accademico 1994-1995 troviamo una netta preferenza per le materie umanistiche: la palma d'oro va al gruppo letterario (21,4 per cento), segue il gruppo giuridico (20,7 per cento), quello economico (16 per cento), il gruppo di ingegneria (13,9 per cento), il gruppo scientifico (12,2 per cento), quello politico-sociale (10,6 per cento); infine, il gruppo medico (2,8 per cento) e quello agrario (2,3 per cento). In Italia la percentuale di laureati in materie scientifiche tra i 25 e i 34 anni non arriva al 3 per cento, contro il 6 per cento degli Stati Uniti e il 9 del Giappone.

C'è da chiedersi se in una società  tecnologica laurearsi nelle materie umanistiche abbia ancora un senso. Sicuramente questo tipo di laureato avrà  più difficoltà  a trovare lavoro rispetto a un laureato in materie scientifiche; ma ultimamente si registra un aumento del loro impiego nelle aree marketing, della gestione del personale, nelle relazioni esterne, nella pubblicità  e in quei settori che richiedono una certa creatività . 'Molti manager e consulenti aziendali - conferma Adriana Galgano - sono laureati in filosofia o in lettere. Certo, per i laureati in scienze umanistiche è importante pensare a sbocchi lavorativi innovativi, perché quelli tradizionali sono saturi'. A questo proposito, è utile fare delle esperienze di lavoro già  durante gli studi, magari solo estive o temporanee per prendere contatto col mondo del lavoro. 'Direi anche - aggiunge Passerini - di accettare il lavoro dopo la laurea anche se esso non corrisponde perfettamente al proprio ideale professionale'.

La diffidenza verso un lavoro che non corrisponde ai propri studi nasce da una mentalità  che sta per essere superata dai fatti. Un tempo il primo lavoro durava fino all'età  della pensione, oggi un giovane deve aspettarsi di cambiare lavoro almeno sette volte nel corso della vita. Si è visto, inoltre, che un neolaureato impiega circa tre anni per trovare un lavoro più strutturato. Vista la necessità  di 'farsi sul campo', è chiaro che il filo che lega il lavoro al titolo di studio è molto esile. 'È sempre più facile che si studi una materia e si vada a fare tutt'altro - afferma Passerini - . La società  dei servizi, cioè la nostra società  postindustriale, è caratterizzata dal cambiamento veloce: la flessibilità  diventa una dote importante. La corrispondenza laurea-lavoro aveva senso nella società  industriale quando le mansioni erano più codificabili e i laureati erano pochi. Oggi, invece, è importante avere la capacità  di aggiornarsi costantemente perché lo stato sociale è in crisi, il lavoro non è né sicuro né continuativo, la pensione non è più una certezza'.

Ma allora ha ancora un senso laurearsi? 'Conviene solo se si ha interesse e impegno per la facoltà  che si sceglie di frequentare. La laurea da sola senza caratteristiche personali non serve a trovare lavoro', afferma Adriana Galgano.

Anche il rettore della Terza università  di Roma, la professoressa Tedeschini Lalli, non crede alla garanzia fornita dal 'pezzo di carta': 'Credo, piuttosto, alla necessità  di un'istruzione superiore adeguata ai tempi, cioè un'istruzione che non duri solo i quattro o cinque anni di una laurea, ma continui per tutto l'arco di una vita di lavoro'. Passerini è d'accordo: l'università  deve dare di più, e soprattutto deve dare meglio; ma sull'importanza della laurea non ha dubbi: 'La laurea dà  una buona base culturale su cui innestare certe specializzazioni. Indubbiamente agevola, fa vivere meglio e alla lunga dà  più prospettive. Se scelgo di abbandonare gli studi e lavorare a 15 anni, restringo il campo delle mie possibilità  di lavoro, rischio di dover sempre volar basso e di arrivare a odiare quello che faccio. Se invece questo zoccolo duro io ce l'ho, verificando le mie attitudini e le mie conoscenze, posso costruirmi un progetto professionale ed essere in grado di trovare i mezzi per perseguirlo'.

   
   
I settori del futuro      

E cco le sette aree, individuate da 'Corriere Lavoro', in cui è previsto uno sviluppo dell'occupazione.

     

· Protezione dell'ambiente e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

     

·   Salute. Si avrà  bisogno non tanto di medici, ma di tecnici della salute, infermieri professionali, ortottisti, logopedisti, fisioterapisti, ecc.

     

·   Finanza e assicurazioni per le famiglie.      

     

·   Multimedialità  della comunicazione e della telematica ai fini della comunicazione globale.

     

·   La grande distribuzione. Si chiudono i piccoli negozi, ma proliferano i grandi punti vendita che richiedono competenze e professionalità  nuove.

     

·   Servizi alle famiglie e alle imprese. Per esempio richiesta assistenza qualificata per bambini ed anziani. Le imprese necessitano, invece, di diversi tipi di consulenze.

     

·   Turismo e beni culturali. Quest'ultimo si sta privatizzando: le richieste arriveranno, quindi, non soltanto dagli enti pubblici. Il turismo, invece, potrà  davvero diventare una risorsa importante solo se sarà  organizzato e seguito in modo professionale, senza improvvisazioni e dilettantismi.

 

La critica Titoli a perdere

Università  inospitale, difficile rapporto studenti-professori, scarsa qualità  dell'insegnamento: una crisi profonda attanaglia gli atenei italiani.
Ne parliamo con Raffaele Simone, professore universitario e autore di due libri sui mali dell'università .

Non si può dire che l'università  sia una 'cuccagna' per chi la frequenta con determinazione e serietà : orari di lezione e di ricevimento dei professori incoerentemente sparpagliati; burocrazia; aule sovraffollate; laboratori chiusi; professori assenti; corsi arroccati agli interessi e alle conoscenze di singoli professori, magari poco aggiornati... Ma anche esami passati con un nonnulla e altri non passati 'perché il professore non era di luna', come ha riferito Chiara, studentessa di diritto. Rapporto professori-studenti pressoché nullo: 'Per fargli rivedere la mia tesi prima della laurea, ho dovuto mandargliela negli Stati Uniti: in Italia non aveva avuto tempo', si lamenta Gianni, laureando in Lingue.

Dall'esterno, l'università  appare un coacervo di facce, orari e materie dove chi si impegna, ha idee ed e all'avanguardia si confonde col mediocre, il vecchio, l'obsoleto. Lo studente è lasciato solo a autogestirsi la propria preparazione. L'abbandono universitario, altissimo in Italia (entrano all'università  più di 300 mila giovani l'anno, ma se ne laureano solo 90 mila), è dovuto a una cattiva interpretazione del diritto allo studio: tutti all'università  a tutti i costi, anche chi non ne ha le capacità ; ma anche al fatto che lo studente preparato e volenteroso, ma psicologicamente più debole, rischia di perdersi.

Gettiamo uno sguardo sulla crisi del mondo accademico insieme a Raffaele Simone, professore ordinario di Linguistica generale nella Terza Università  di Roma, che ai problemi dell'università  ha dedicato due libri editi da Laterza: L'università  dei tre tradimenti (1993) e Idee per il governo. L'università  (1995).

Msa. Leggendo i suoi libri si prova un certo scoramento: appare chiaro come la politica abbia sempre trascurato l'università , salvo usarla come serbatoio di posti per gli amici degli amici. Da qui la scarsa qualità  dell'insegnamento, l'incomunicabilità  studenti-professori, la disorganizzazione, gli abusi, le mafie accademiche... In questi ultimi tempi non è cambiato nulla?

Simone. C'è più interesse per i problemi dell'università . Il dibattito universitario è ricorrente e raggiunge gli onori delle cronache. Oltre a ciò, non ho visto miglioramenti effettivi. L'ultimo ministro è sicuramente più attivo, ma lo vorrei più coraggioso e determinato.

Se lei dovesse fare da consigliere a un politico, quali provvedimenti adotterebbe subito per migliorare lo stato delle università ?

Ne adotterei tre simultaneamente. Innanzitutto, allontanerei i professionisti dall'università . È uno scandalo tutto italiano quello che permette a un grande avvocato, a un ricco notaio, a un famoso architetto o a un medico miliardario di essere anche professore universitario. Se il tempo diventa letteralmente denaro, quale interesse c'è a dedicarsi all'insegnamento, agli studenti e alla ricerca? Negli Stati Uniti o nella vicina Olanda, ad esempio, non è così: se il professionista insegna, perché l'università  reputa che la sua esperienza sia utile agli studenti, lo fa per un periodo e a volte gratuitamente. Da noi alcuni professori usano il marchio dell'università  per fare i propri affari, e pretendono pure di 'replicarsi' con gerarchie accademiche.

Passando agli altri due punti...

Come seconda cosa ridurrei drasticamente le cariche elettive all'università . Si vota decine di volte all'anno per una miriade di organi e di commissioni, per cui ci sono vere e proprie campagne elettorali, quando non patti e scambi di favori... Questo rende impossibile prendere misure drastiche: un preside non prenderà  mai provvedimenti contro un professore assenteista, perché diventerebbe impopolare e magari perderebbe la carica. Dovrebbero essere eletti, a mio parere, soltanto i rettori, i quali dovrebbero stabilire quali siano le persone più adatte a ricoprire questa o quella carica, allontanando chi non è all'altezza o non agisce correttamente.

La terza importante misura da adottare è quella di chiedere periodicamente agli studenti il loro parere sul servizio che ricevono, e adoperare questi giudizi, opportunamente elaborati, per decidere l'impiego dei finanziamenti assegnati annualmente all'università . Oggi, per il nostro sistema accademico, l'opinione degli studenti è totalmente indifferente, tanto che io definisco l'università  un posto a 'utente in ostaggio'.

Perché tutte queste resistenze a riformare l'università  nel senso della qualità ?

Teniamo presente che da sempre molti parlamentari sono professori universitari, per lo più di basso rango, e quindi, come ho scritto più volte, l'università  costituisce una lobby trasversale molto difficile da sorpassare.

Cosa vuole dire, che siamo in un Far west dove i buoni non esistono?

I buoni esistono, eccome. Ci sono molti professori che dimostrano un impegno encomiabile, date le condizioni di lavoro. È anche per loro che bisogna lottare, altrimenti i migliori rischiano di andarsene all'estero. Lo stato della nostra ricerca è inaccettabile. Bisogna anche dire che nelle facoltà  strettamente scientifiche, come matematica, astronomia, ecc., i fenomeni di corruzione sono quasi assenti. Ci sono, poi, molti giovani motivati che vorrebbero entrare all'università , ma l'accesso è sbarrato. Perché non ricominciare da loro?

Se lei fosse una matricola, in base a che cosa sceglierebbe una sede universitaria che le assicuri una migliore qualità  dell'insegnamento?

È difficile scegliere. Diversamente dall'Inghilterra, Stati Uniti e Olanda, in Italia le graduatorie nazionali di qualità  degli atenei non vengono pubblicate dai giornali, cosa che aiuterebbe moltissimo i ragazzi. Allo stato dei fatti, cercherei una sede poco affollata, con un numero ridotto di fuori corso, dove i professori non sono pendolari e dove esistono strutture ricettive per gli studenti. Sono tre condizioni difficili da trovare perché, per esempio, molte università  periferiche sono poco affollate ma hanno professori pendolari: secondo l'uso comune, il professore 'importante' non resta a lungo in una università  minore.

Se le cose non dovessero cambiare, quali potrebbero essere i danni?

Sarebbe una catastrofe. L'università  non è solo un parcheggio, è un luogo dove si distillano invenzioni, brevetti, scoperte, si accumula sapere, si mettono in circolazione elaborazioni culturali... Tutto questo ha una ricaduta sull'intera società . L'università  è la bandiera del grado di civilizzazione di un paese.

Nonostante il degrado dell'università  italiana, è comunque conveniente laurearsi?

L'università  non è una scuola obbligatoria. Essa dovrebbe essere una scuola per i più bravi e i più portati agli studi, siano essi poveri o ricchi. Se essa si priva di giovani che non la vogliono frequentare, è un vantaggio reciproco. Sarebbe, invece, un peccato che venissero dispersi giovani talenti o perché non hanno la forza psicologica per arrivare alla fine - l'impatto con l'università  può essere traumatico - o perché non hanno i mezzi economici per frequentarla.

(Ha collaborato Fabrizio Condò)

   
   
La replica      

I ntervista al senatore Adriano Ossicini, presidente della Commissione istruzione pubblica del Senato.

     

Msa. Senatore, a suo avviso, quali sono i principali problemi che affliggono le università  italiane, come intende affrontarli?

     

Ossicini. Il problema principale riguarda l'affollamento degli atenei, che devono essere riorganizzati in base a principi di razionalità  ed efficienza. Inoltre, abbiamo dedicato la nostra attenzione ai concorsi per l'assegnazione delle cattedre e all'esigenza di una migliore regolamentazione dell'accesso. In questo senso, abbiamo sollecitato la suddivisione dei mega atenei in diversi poli e strutture, così da rendere più adeguato l'esercizio del diritto allo studio. Le nostre direttive vengono poi accolte dalle singole università , che agiscono in piena autonomia ma con il dovere di rendere un servizio più moderno e più articolato.

     

Cosa si può fare concretamente per far funzionare meglio i nostri atenei?

     

L'università  è come un appartamento. Ci si vive bene finché non è sovraffollato. Altrimenti diventa praticamente impossibile sia studiare che trovare lavoro. È un problema aperto. Una maggioreinformazione aiuterebbe intanto a evitare i disagi più gravi. Applicare il numero chiuso non basta. Più che una serie di interventi particolari, occorre un piano nazionale organico, pur nel rispetto dell'autonomia delle singole università . Solo ragionando in grande, si può legare in modo efficace la scuola all'università  e l'università  al mondo del lavoro. Il       governo sta lavorando in questo senso, e la speranza è che questo impegno possa dare presto i primi frutti.

     

C'è chi accusa l'università  di essere la culla del clientelismo politico. Cosa risponde?

     

Quanto al tema del clientelismo politico nelle università , dico innanzitutto che le accuse vanno sempre provate. È facile generalizzare. Nel mondo universitario certi fenomeni sono presenti nella misura in cui lo sono in qualunque altro segmento della società . Comunque,  non mi sembra che la questione morale sia più forte all'università  che altrove. Alcuni fatti di corruzione ci sono e vanno combattuti, ma non è un problema prevalente. Il vero problema è togliere migliaia di studenti dall'università -parcheggio e renderli beneficiari e protagonisti di un       grande progetto attento al progresso culturale e tecnologico e ai continui mutamenti della società .

     

Gianni Maritati  

 

Per saperne di più

Sull'orientamento universitario:
Guida per la scelta della facoltà  e della laurea breve
di Felice Froio,
edizioni Mursia, lire 26.000.

Scegli la tua facoltà 
di Cesare Boga,
edizioni Utet, lire 38.000.

Sulla crisi dell'università :
Le mani sull'università 
di Felice Froio,
Editori Riuniti, lire 16.000.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017