L’azienda secondo il Vangelo

Un’azienda a misura d’uomo, competitiva e di successo non è più un’utopia. L’economia di comunione, promossa dal movimento dei focolari, dimostra che l’etica non uccide il profitto.
03 Maggio 2002 | di

Aveva 29 anni, una laurea in economia e un buon posto in una grande azienda informatica quando Giorgio Del Signore, oggi imprenditore di successo, fece quello che molti avrebbero considerato un salto nel buio: rinunciò all`€™impiego e alla tranquillità  economica, per fondare l`€™Unilab informatica. Era il 1992. Non ci sarebbe stato nulla di strano, se non ci fossero stati tre significativi particolari: il mercato era in piena crisi, lui aveva poca esperienza e l`€™azienda che aveva in mente contraddiceva tutte le pratiche della gestione aziendale corrente. Escluso che fosse impazzito, la verità  è che covava un sogno: un`€™azienda a misura d`€™uomo, che rispecchiasse la dottrina sociale della Chiesa e fosse aperta al mondo.

Verso un`€™azienda diversa

Il sogno aveva una musa ispiratrice: Chiara Lubich, la fondatrice del movimento dei focolari. Appena un anno prima, in occasione di una visita alla Mariopoli Araceli, ora Ginetta, la cittadella brasiliana del movimento, Chiara era rimasta colpita dal contrasto tra i ricchi palazzi del centro di San Paolo e le favelas delle periferie. Gli stessi focolarini brasiliani, nonostante la comunione dei beni praticata nel movimento, non riuscivano ad avere il necessario per vivere.

Ispirata dalla Centesimus annus appena uscita `€“ l`€™enciclica papale che invocava la necessità  di un nuovo ordine economico mondiale dopo la caduta del comunismo e l`€™avvento del capitalismo selvaggio `€“ Chiara espresse all`€™assemblea che l`€™ascoltava un`€™idea profetica: unire le forze per far nascere, accanto alla cittadella brasiliana attività  produttive per creare utili e posti di lavoro.

Nacque così l`€™economia di comunione. Chi avesse aderito al progetto, avrebbe liberamente ripartito i profitti su tre obiettivi: l`€™aiuto dei poveri, la formazione di «uomini nuovi» alla cultura del dare e la crescita dell`€™azienda.

«Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico `€“ spiegò Chiara in quel primo discorso `€“, ma non è così perché l`€™uomo, fatto a immagine di Dio, che è amore, trova la propria realizzazione nell`€™amare, nel dare. Credente o non credente che egli sia». Poi indicò la risorsa immediatamente a disposizione del progetto: «Siamo poveri ma tanti». Iniziò, in quello stesso istante, un azionariato diffuso, aperto anche a chi aveva l`€™equivalente di qualche dollaro, per trovare le risorse necessarie ad avviare le aziende del Polo produttivo «Spartaco», sorto vicino alla cittadella brasiliana e oggi punta di diamante dell`€™economia di comunione.

Oggi, dopo appena dieci anni, le imprese di economia di comunione sorte in tutto il mondo sono 764: 246 in Italia, 235 nel resto d`€™Europa, 176 in America Latina e le restanti sparse negli altri continenti. La vera novità  è che, pur non avendo il profitto come primo obiettivo, queste aziende sono competitive e rispondono a canoni di alta professionalità . Sbalorditivi i risultati. Basti l`€™esempio della Femaq S.A., azienda siderurgica brasiliana, la quale, dopo la conversione all`€™economia di comunione, ha raggiunto una produttività  di 70 tonnellate per uomo per anno, contro le 35 tonnellate della media brasiliana e le 66 della media statunitense.

«Queste aziende non combattono il mercato `€“ spiega Alberto Ferrucci, imprenditore genovese e tra i principali coordinatori del progetto di economia di comunione `€“ ma cercano di farlo diventare luogo di condivisione, di benessere reale e di autentico incontro tra persone». Per questo, gli imprenditori si sono dati anche uno stile diverso: «Se un progetto è ispirato da un carisma che deriva da Dio `€“ continua Ferrucci `€“ esso deve mettere al centro l`€™uomo. Non basta fare utili e ridistribuirli, bisogna rispettare tutte le persone coinvolte nell`€™agire aziendale: lavoratori, clienti, fornitori, concorrenti, amministratori pubblici». Ciò ha diversi significati: trattare tutti con giustizia, offrire buona qualità  a un equo prezzo, instaurare rapporti positivi, salvaguardare l`€™ambiente, pagare le tasse. E, non ultimo, essere attenti ai problemi e alle esigenze della comunità  internazionale.

Se l`€™eccezione diventa norma

Comportamenti che dovrebbero essere la norma, ma la competitività  esasperata delle aziende «normali» li fa sembrare utopia. Come si fa a rispettare tutti, a vivere nella legalità  e, nello stesso tempo, a stare sul mercato che spesso applica logiche opposte a quelle dell`€™economia di comunione?

«La legalità  e la professionalità  alla fine pagano `€“ chiarisce Giorgio Del Signore `€“. Così come paga la trasparenza. Se tu porti alla luce del sole il tuo agire e il perché delle tue scelte, la gente è disposta a condividere. Anche chi è fuori dal movimento, anche chi non crede. Il lavoratore si sentirà  parte di un progetto e darà  il meglio di sé; il cliente si sentirà  tutelato dalla tua correttezza e ti preferirà  ad altri; la comunità  locale ti vedrà  come una risorsa sociale e sarà  disposta ad aiutarti a risolvere i problemi».

Un esempio concreto: «Un anno fa abbiamo avuto delle perdite impreviste per cause esterne a noi, proprio in un momento in cui avevamo pianificato forti investimenti per adeguare il personale alle esigenze di un nostro grosso cliente. Si trattava di una multinazionale, che ha fama di essere spietata in fatto di riduzione delle tariffe. Nonostante le peggiori condizioni, abbiamo portato avanti gli investimenti. La multinazionale se ne è accorta. Ha rialzato le tariffe che ci aveva abbassato, dichiarando che da quel momento non eravamo più fornitori, ma partner».

Importantissimo il ruolo dei lavoratori che non sono meri esecutori, ma parti attive del progetto. È la stessa Unilab `€“ che oggi ha 40 dipendenti `€“ a offrirci uno spaccato di vita all`€™interno di un`€™azienda di economia di comunione: «I lavoratori sono messi a conoscenza di ogni decisione `€“ continua Del Signore `€“ e le loro idee e le loro proposte sono prese in considerazione». Cambia in questo modo anche il clima tra colleghi: «Appena arrivata `€“ racconta Angela `€“ ho subito trovato la disponibilità  dei colleghi più esperti a farmi crescere professionalmente. Quotidianamente avviene tra noi uno scambio di conoscenze che diventano patrimonio comune. C`€™è un bel clima di condivisione». Come per contagio, cambiano le persone. Giuseppe, responsabile della formazione, veniva da altre esperienze; educato alla regola della produttività , non tollerava mancanze ed errori: «Quando sono arrivato in azienda ho creato non poche tensioni. Osservando il nuovo stile aziendale mi sono accorto che potevo ridefinire la mia concezione del lavoro, per migliorare la qualità  della mia vita e quella dei colleghi. Sto imparando a recuperare i rapporti tra le persone senza stancarmi». Cambiano persino le logiche: «Durante un colloquio `€“ racconta Luciano, amministratore `€“ mi sono reso conto che la persona intervistata riceveva una paga molto bassa. Per me sarebbe stato facile offrire un livello di retribuzione più basso di quello offerto in Unilab a dipendenti di pari mansione. Questo però, anche se comprensibile in una logica di mercato, non sarebbe stato eticamente giusto».

Un partner chiamato provvidenza

Nonostante la forza delle motivazioni, non mancano i momenti bui, quelli in cui si fa fatica a mantenere la speranza. Indicativa l`€™esperienza della banca rurale filippina Kabayà n che in 5 anni era passata dal 123° posto al 3° posto per volume di depositi tra le banche rurali del paese, aveva aperto 8 filiali per un totale di 150 dipendenti. Quando le cose ormai sembravano andare bene, si trovò sull`€™orlo del tracollo a causa della bufera finanziaria asiatica. «Riuscì a sopravvivere `€“ racconta Ferrucci `€“ solo grazie al clima di fiducia che era riuscita a creare dentro l`€™azienda e attorno ad essa». L`€™apertura e la logica della comunione agiscono da ammortizzatori e fanno superare le crisi. Lo dimostra l`€™esperienza dell`€™azienda torinese Ridix che commercia in macchine utensili, riportata da «Città  Nuova», mensile del movimento dei focolari: «Anni fa abbiamo avuto un periodo di forte crisi `€“ racconta Michele Michelotti, il direttore amministrativo e finanziario `€“. Dai calcoli fatti, avremmo dovuto licenziare almeno tre persone; abbiamo, invece, pensato di ridurre tutti assieme i nostri orari di due ore al giorno e, conseguentemente, gli stipendi... Dopo pochi mesi la situazione è migliorata e abbiamo potuto ripristinare stipendi e orari`€¦».

Ma è proprio nei momenti di crisi che molti imprenditori intravedono un partner occulto che risolve la situazione con un introito inatteso o la genialità  di una soluzione tecnica o l`€™idea di un prodotto vincente. Loro non hanno dubbi, si tratta di Provvidenza: «Date e vi sarà  dato, c`€™è scritto nel Vangelo `€“ spiega Ferrucci `€“. Noi credenti leggiamo un aiuto gratuito o una soluzione imprevista come la risposta del Padre per chi cerca di agire a suo nome. Il `€œcentuplo`€ è una novità  per l`€™economia aziendale, che si manifesta in particolare quando si adottano scelte aziendali difficili, che significano maggiori costi o rinuncia a facili guadagni. Esse si rivelano capaci, nell`€™esperienza di ognuno di noi, di indurre sviluppo economico e una tenuta aziendale fuori dall`€™ordinario».

Non si pretenderà  che un imprenditore for profit, magari non credente, possa accettare una spiegazione soprannaturale ai successi dell`€™economia di comunione?

«Un fatto che un imprenditore sperimenta come centuplo `€“ conclude Ferrucci `€“, come l`€™irruzione del divino nella sua azienda per aver creduto nella logica evangelica, può essere spiegato, a un livello diverso, ricostruendo l`€™iter di atti di fiducia e di rapporti umani che lo ha prodotto. Che la fiducia sia fondamentale per l`€™economia è un dato di fatto».                      

 

Le ragioni del successoVALORIZZARE L`€™UOMO

Intervista a Stefano Zamagni, professore di Economia politica all`€™università  di Bologna.

Msa. Le aziende di economia di comunione esistono e sono fiorenti, ma avranno anche un futuro?

Zamagni. Se rimarranno fedeli all`€™identità  del progetto, io credo di sì. E per almeno due motivi. Primo. Questo modo di fare impresa rafforza quei legami che oggi vanno sotto il nome di «capitale sociale». Ormai è risaputo che il successo economico d`€™impresa non è più legato, come al tempo del fordismo, al modo di produrre le merci ma alla capacità  di ottenere il massimo sforzo da tutti coloro che operano nell`€™impresa. Ciò è possibile solo se chi lavora si sente partecipe del progetto e vi trova una realizzazione personale.

Sì, ma per coinvolgere maggiormente i lavoratori ci sono anche gli incentivi economici.

Ma non è detto che funzionino e per di più sono molto costosi per l`€™azienda.

E la seconda ragione?

È legata al lato della domanda. Sono sempre più frequenti i casi di cittadini consumatori che per ragioni etiche, politiche o culturali pretendono di conoscere non solo le qualità  intrinseche dei prodotti ma il modo in cui tali prodotti sono stati ottenuti. Pensiamo alle campagne di boicottaggio fatte contro le multinazionali che non rispettano, per esempio, i diritti umani. Ecco, dunque, il secondo punto di forza dell`€™economia di comunione: quello di rendere trasparente, di far capire che si può produrre, e quindi generare ricchezza, senza tagliare la testa alla gente, senza negare i diritti fondamentali. Ormai il consumatore non è più un soggetto passivo e lo sarà  sempre meno.

Insomma, la trasparenza non è più solo una questione etica.

È diventato un fatto di rilievo economico. Basti pensare al decollo della finanza etica, impensabile solo fino a qualche anno fa. Il motivo? È semplice: il risparmiatore vuole sapere come vengono utilizzati i suoi soldi e non sopporta più di andare a foraggiare attività  produttive criminose o guerre.

Vuole una controprova? Le fondazioni sorte accanto ai grandi gruppi. Pensiamo alla Fondazione Agnelli, alla Fondazione Olivetti; la Ras, la grande compagnia di assicurazioni, ha da poco creato la Fondazione «Umanamente». Come mai oggi le grandi imprese for profit avvertono l`€™esigenza di destinare parte dei propri utili per finanziare la solidarietà  o la cultura? La ragione è la seguente: oggi fare solo profitto non è più legittimante dal punto di vista sociale. Questa è la grande novità  che purtroppo in Italia si stenta ancora a capire. Per questo motivo, l`€™economia di comunione è un`€™idea vincente, che ha giocato d`€™anticipo.

Vuole dire che all`€™estero c`€™è una presa di coscienza maggiore?

È avvenuto un fatto straordinario che in Italia ha avuto poca risonanza o meglio non è stato spiegato a sufficienza. A New York, il 4 febbraio scorso, per la prima volta nella storia dell`€™umanità , 36 presidenti e amministratori delegati delle più grosse multinazionali mondiali hanno firmato un documento in cui s`€™impegnano a dare una svolta sociale alle loro imprese. In due pagine praticamente sottoscrivono che non è legittimo il profitto a tutti i costi ma che nel produrre devono essere soddisfatti i requisiti etici minimi.

Non potrebbe essere un`€™operazione di belletto?

Sta di fatto che lo hanno dovuto dichiarare. In passato nessuno se lo sarebbe neppure sognato. L`€™importante è che davvero versino dal 10 al 20 per cento del loro utile per fini sociali e che s`€™impegnino a cambiare i comportamenti. Se poi interiormente non sono convinti, a noi poco interessa.

L`€™economia di comunione mette al centro l`€™uomo, le relazioni, la creatività , le motivazioni e ha successo. Eppure la ricetta che ci viene di frequente propinata per rilanciare l`€™economia sembra essere quella di una flessibilità  del lavoro intesa come precarizzazione.

È una sciocchezza. La propongono solo coloro che non capiscono nulla di economia. Dai veri imprenditori non verrà  mai questa proposta, perché il vero imprenditore sa che se vuole ottenere la lealtà  del proprio dipendente, lo deve coinvolgere, altrimenti rischia addirittura di essere boicottato. Ormai tutti conoscono i processi produttivi, anche i lavoratori, e la conoscenza dà  potere. Vuole un altro esempio analogo? L`€™immigrazione. Lei ha mai sentito un imprenditore del Nord-Est fare discorsi del tipo «chiudiamo le porte agli immigrati?» Mai. Perché l`€™imprenditore sa che se non ci fossero immigrati molte imprese dovrebbero chiudere baracca. Quando sentite fare discorsi di economia chiedetevi chi c`€™è dietro: chi pretende di sapere di economia o chi ha davvero le mani in pasta?             

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017