Lebbra: l’ultima battaglia

La lebbra è quasi vinta, ma c’è il rischio di abbandonarsi a facili entusiasmi e di non sferrare l’ultimo attacco, quello decisivo. Per questo motivo padre Giorgio Abram ci chiede aiuto dal Ghana.
11 Luglio 1997 | di

Le cifre parlano chiaro: in vent'anni di lotta decisa è stato dimostrato che la lebbra può essere vinta; nel mondo dai 20 milioni di casi del 1980 si è passati ai 2 milioni di oggi. Stando ai parametri dell'Organizzazione mondiale della sanità , con una percentuale di malati sotto il 2 per cento su 10 mila persone, il morbo di Hansen non è più una emergenza. L'entusiasmo è legittimo, ma c'è il grande pericolo di abbassare la guardia proprio quando basterebbe poco per vincere la guerra una volta per tutte.

La vittoria sulla lebbra è dovuta al successo dei programmi sanitari, al progressivo miglioramento delle condizioni di vita, ma anche all'impegno di tante persone. Ne segnaliamo una, perchè più vicina a noi: padre Giorgio Abram, trentino, frate minore conventuale, in Ghana da vent'anni, la cui storia missionaria e umana s'intreccia con la lotta alla lebbra. Pochi come lui conoscono la natura di questa malattia e sanno quanto è stato difficile combatterla.

'Quando arrivai in Ghana, la situazione era disastrosa - racconta padre Abram - . I lebbrosi erano 50 mila, venivano raccolti nei lebbrosari, la gente li emarginava; non esistevano strutture e organizzati programmi sanitari. Molti morivano abbandonati a se stessi'. Aveva trent'anni e un fervido spirito missionario: gli venne naturale prendersi a cuore la loro condizione. Il governo era assente, la gente nutriva forti pregiudizi, nessuno credeva nell'efficacia dei farmaci. 'Nonostante i miei sforzi - ricorda - dopo due anni ero punto e accapo. La tentazione di lasciare tutto era grande. La mia vita sarebbe stata più semplice, ma avrei abbandonato tanti malati alla mercé di quanti speculavano sulla loro malattia'.

La tenacia del trentino e lo spirito francescano hanno la meglio. Padre Giorgio ricomincia la sua lotta con la coscienza che il problema va affrontato in modo più sistematico. C'è da ricostruire il tessuto sanitario per curare sul nascere la malattia e toglierle subito la contagiosità , ma c'è soprattutto da combattere l'ignoranza e riabilitare i malati. Le chiavi di volta sono: la chiusura dei lebbrosari, l'informazione della gente e la preparazione del personale sanitario. Padre Abram diventa prima coordinatore per il Ghana delle iniziative di lotta alla lebbra dell Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follereau), poi coordinatore del programma nazionale antilebbra. Vengono creati piccoli centri sanitari sparsi in tutto il territorio, in modo che anche le zone più abbandonate, dove nessun medico laureato si sognerebbe di trasferirsi con la famiglia, abbiano un infermiere o almeno una persona con nozioni basilari. Si sceglie di curare i lebbrosi a domicilio, e i malati vengono reintegrati nei villaggi.

'Oggi in Ghana abbiamo solo 2500 nuovi casi di lebbra ogni anno - afferma padre Abram - pochissimi per tenere in piedi i costosi programmi di un tempo. Ma la lebbra è una malattia subdola, ha una incubazione che va dai tre ai dieci anni, ed è molto difficile da diagnosticare. Quando iniziai questa avventura molti medici, pur esercitando in un paese dove la lebbra è una malattia endemica, non avevano mai visto un lebbroso, altri curavano la malattia come se si trattasse di dermatosi o reumatismi: e intanto il male dilagava'.

Oggi i 2500 malati sono sparsi in un territorio pari a due terzi dell'Italia. Per contenere i costi si potrebbero riabilitare i vecchi lebbrosari? 'Sarebbe un errore grottesco - controbatte padre Abram - , perché noi abbiamo combattuto vent'anni per dimostrare alla gente che con la lebbra si può convivere e che non ha senso emarginare i malati. Per cui è necessario mantenere l assistenza a domicilio, anche se ora facciamo centinaia di chilometri per visitare un solo malato'.

Man mano che i casi di lebbra diminuivano anche le organizzazioni specializzate nella cura alla lebbra, come gli 'Amici di Raoul Follereau', hanno cominciato a riconvertire il personale verso altri progetti, diminuendo progressivamente i fondi per la lotta alla lebbra. 'È importante non fermarsi proprio ora che il più è fatto - spiega padre Abram - . C'è ancora bisogno che la leprologia si fissi nel patrimonio di conoscenze di tutto il personale sanitario perché sempre sia presente il sospetto che sintomi non bene identificati possano nascondere la lebbra. Abbiamo fatto dei corsi anche per le infermiere che si recano nei villaggi con la loro borsa di ghiaccio per fare le vaccinazioni: il risultato è stato sorprendente. Esse hanno segnalato la presenza di macchie sulla pelle di alcune madri e bambini: molti erano casi di lebbra allo stato iniziale. Per questo chiedo alla Caritas antoniana e ai lettori del 'Messaggero di sant'Antonio' un aiuto per portare avanti, per altri tre anni, i corsi di specializzazione in leprologia a tutti i livelli: dai medici, agli infermieri, al personale non qualificato'.

La preoccupazione che possa riprendere il contagio non è solo di padre Abram. In un recente convegno ad Orlando in Florida, un leprologo di fama internazionale ha ironicamente affermato: 'Mentre noi brindiamo alla sconfitta della lebbra entro l'anno duemila, in qualche parte remota della terra i bacilli della lebbra sono anch'essi riuniti in festa, contenti che dopo il duemila nessuno più si curerà  di loro'.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017