L’economia con l’anima

Intervista a Amartya Sen, premio Nobel per l’economia 1998.
03 Marzo 2001 | di

Importante senza l' aura dell' importante, profondo senza la spocchia dell' intellettuale. Anzi hai quasi l' impressione che per Amartya Sen, bengalese, premio Nobel per l' economia 1998, la popolarità  sia un peso necessario.
Un modo di essere che non è un caso. Un filo rosso lo lega a un altro celebre connazionale, Rabindranath Tagore, primo indiano a vincere un premio Nobel (per la letteratura) nel 1913. Fu proprio questo fine scrittore, poeta e musicista, amico della famiglia Sen, a scegliergli il nome «Amartya», che significa «colui che non può morire». Un privilegio da pochi, toccato prima di lui a un altro grande, Gandhi, soprannominato da Tagore «mahatma», cioè «grande anima». Un battesimo, per Amartya, che ha segnato un destino, quello che lo ha portato, a vincere il secondo Nobel indiano. Una svolta epocale non solo per il suo paese ma per il mondo intero.
Si perché, per la prima volta, il Premio ha disertato i baroni dell' economia mondiale per incontrare questo professore ultrasessantacinquenne, che teorizza e dimostra, con fare pacato e con scientificità  ineccepibile, la necessità  di un' economia a misura d' uomo. I detrattori l' hanno deriso come «la madre Teresa dell' economia», eppure oggi la Banca Mondiale s' inchina alle sue teorie sullo sviluppo umano, quando fino a pochi anni fa lo guardava con diffidenza e promulgava una politica di sviluppo, basata su tagli alle spese sanitarie e scolastiche e sull economia orientata solo alle esigenze dell' esportazione. Una vera catastrofe per i paesi poveri.
Sono seduta accanto a lui. Ci sono altri giornalisti. Aspetto il mio turno per le domande. Tengo sospeso nella mano il registratore. Passano i minuti. D' improvviso s' interrompe. Mi afferra il polso indolenzito. Mi legge in faccia la sorpresa e dice: «Il mio braccio non ce la farebbe più». Inizia così la mia prima intervista mano nella mano.

Msa. La circolazione globale dei capitali è compatibile con la libertà  di scelta di tutte le persone, fondamento delle sue teorie?
Sen. Se qualcuno fa transazioni finanziarie ovviamente si aspetta un beneficio. L' analisi economica ci dimostra che il perseguire un guadagno individuale può spesso essere utile anche per gli altri. Le crisi economiche mondiali, come quella asiatica, hanno però dimostrato che i movimenti di capitali, specie quelli a breve termine, possono diventare destabilizzanti. Altre economie, come quella cinese hanno invece evitato la crisi.
A prima vista diremmo che ai cinesi è andata meglio, ma se consideriamo il futuro a lungo termine, le economie che hanno affrontato la crisi sono riuscite a ristrutturarsi, mentre per le altre il problema è solo rimandato. Voglio dire che per evitare le crisi finanziarie, non è necessario eliminare i movimenti di capitale ma è necessario arrivare a migliorare l' architettura finanziaria del mondo.

Agli occhi dell' uomo comune, il neoliberalismo sembra una forza dominante a cui tutto è soggetto, a dispetto di tante sofferenze umane che questo sistema economico sta provocando. Sarà  sempre così?
Il termine «neoliberalismo» non è un termine definito con precisione. Se per «neoliberalismo» s' intende affidarsi solo all' economia di mercato, ignorando il ruolo delle istituzioni non legate al mercato come gli stati, le organizzazioni non governative, la democrazia, il sistema giuridico, i giornali e via dicendo allora dico che il neoliberalismo è negativo. Sarebbe però un errore anche il contrario, cioè sopprimere l' economia di mercato: quando ciò è successo i risultati sono stati disastrosi. Di conseguenza, la soluzione è una sola: la complementarità  di tutte le istituzioni. A questo dobbiamo arrivare.

Lei già  vede segni di miglioramento per i paesi del Terzo mondo?
Vedo di già  almeno tre elementi positivi, due dei quali hanno anche un rovescio della medaglia.
Primo: molti paesi poveri hanno visto in questi ultimi anni un rapido sviluppo economico. Per esempio la Cina. Ma, nello stesso tempo, molti altri paesi, per esempio in Africa, non hanno ottenuto gli stessi risultati.
Secondo: in molti paesi c' è stato uno sviluppo sociale considerevole nell' educazione, nella salute, nella circolazione di giornali. Ma in altre società  questo non è successo. Ci sono ancora troppe dittature militari e in Africa l' Aids sta diventando una catastrofe.
Terzo: la democrazia oggi è universalmente riconosciuta come l' unica forma legittima di governo. È forse il cambiamento culturale più importante dello scorso secolo, anche se molti di noi lo considerano scontato.
Solo negli anni ' 60 non era così.

Il microcredito e l' economia etica in genere si stanno diffondendo in tutto il mondo. Sono la dimostrazione dell' esigenza, ormai condivisa da molti, di restituire umanità  all' economia. Si tratta di utopie?
Sono chiari segni di un miglioramento. Qualcuno li critica ma a torto. Possono essere l' inizio di un grande cambiamento per più motivi. Faccio l' esempio del microcredito. Esso offre opportunità  concrete ai poveri di avere denaro in prestito, rendendoli economicamente capaci. Attraverso il microcredito, soggetti deboli ma fondamentali allo sviluppo come le donne possono conquistare non solo un peso economico ma anche un peso politico. Il sostentamento dei figli o la cura degli anziani è affidata a loro: ecco che la loro emancipazione andrebbe a migliorare la vita dei poveri. Infine, il microcredito è un movimento creativo: è contro la tradizionale economia di mercato - che non presta denaro senza garanzie - ma non è contro l' utilizzo del mercato. È un cambiamento importante del modo di pensare.

Ci sentiamo piccoli di fronte allo scacchiere del mondo. Che cosa possiamo fare da singoli cittadini per contribuire al cambiamento?
Ognuno di noi, che se ne renda conto o meno, partecipa alle decisioni e ha la capacità  di farlo. Siamo liberi. Interagiamo con il mondo non solo attraverso gli affari o il lavoro ma anche parlandoci l' un l' altro, difendendo certe istituzioni e attaccandone altre. Siamo cittadini. Quindi non possiamo abdicare alle nostre responsabilità . Non possiamo, per esempio, ignorare i poveri, gli abbandonati e gli handicappati ovunque essi si trovano. La nostra libertà  ci offre la possibilità  di diventare cittadini del mondo.

Il discorso non suona nuovo. Da un' altra cultura ci giunge l' eco di parole eterne. La storia siamo noi.


   
   
  I SETTE PECCATI SOCIALI SECONDO GANDHI      
           
  • Ricchezza senza lavoro        
  • Commercio senza moralità         
  • Scienza senza umanità         
  • Culto senza sacrifici        
  • Piacere senza coscienza        
  • Conoscenza senza carattere        
  • Politica senza principi

 

(India 1925)

 

   
   
  IL NOSTRO PUNTO DI VISTA      

U  N ECONOMIA DIVERSA DIPENDE ANCHE DA NOI

     

O                  ttenere il massimo profitto da un' impresa economica o finanziaria è sempre stata la regola aurea di ogni imprenditore. Altre considerazioni, come i riflessi sociali o gli impatti ambientali della faccenda sono considerati solo fastidi da scacciare come un pensiero cattivo, o da valutare quando proprio non se ne può fare a meno, per evitare danni maggiori. È in questo modo, all' incirca, che le tre persone più ricche del mondo - senz' altro brave, ma anche fortunate e vogliamo sperare anche con qualche scrupolo - hanno potuto mettere insieme una fortuna che supera la somma del prodotto interno lordo dei 48 paesi meno sviluppati. Ancora a causa di ciò un numero esiguo di paesi nuota nell' abbondanza e tutti gli altri faticano a uscire dalla soglia della fame. Profitto, dunque. A tutti i costi e senza troppa pietà  per le eventuali vittime (l' operaio licenziato, le città  soffocate dallo smog, i paesi poveri strozzati dai debiti...), perché un' impresa non è un' opera pia e una banca non à  la San Vincenzo...
       Stiamo semplificando le cose, ovviamente. La realtà , come sempre, è più complessa e diversificata. La semplificazione ci serve per accentuare, sintetizzandola, l' idea che è alla base di tutto il dossier. E cioè che il profitto non può essere la sola regola dell' economia, accanto a esso deve esserci anche la comprensione dei problemi della povertà , della fame, del sottosviluppo, del rispetto dell' ambiente. Un' economia che arricchisca solo pochi, sfruttando e riducendo altri alla fame non ha ragione di esistere.
           Anche recentemente Giovanni Paolo II si chiedeva se non fosse giunto il momento «di una nuova e approfondita riflessione sul senso dell' economia e dei suoi fini», per avviarne una diversa, umanizzata, che abbia come fine la persona umana e la sua crescita; che non rinunci al profitto, ma che non ne faccia neppure un idolo e disposta a rimetterlo in circolo con programmi di sviluppo e di crescita per quanti in nessun altro modo potrebbero godere dei più elementari diritti alla vita, alla salute, all' istruzione, al lavoro...; pronta infine a «impegnarsi - come ha scritto il cardinale Martini, arcivescovo di Milano (Sulla giustizia    , Mondadori, Milano 1999) - a cercare un equilibrio tra paesi del mondo, che non lasci più posto per gente svantaggiata o impoverita, analogo a quello che Dio ha predisposto per la Terra».
Che un' economia diversa non sia un' utopia lo dimostrano le innumerevoli iniziative messe in cantiere negli ultimi anni, e in parte descritte nel dossier.
                    È solo una goccia d' acqua che non metterà  certo in ginocchio il potente sistema economico e finanziario globalizzato sempre più aggressivo e che, lungi dal sanare le disparità , le accentua. Non lo scalfirà  neppure. Ma è un segno profetico che, con le sue concrete ed efficaci realizzazioni, dice che la strada della solidarietà  non solo non è un' utopia, ma non è neppure perdente. Perché i suoi effetti siano però maggiori e più incisivi nel quadro generale, le iniziative devono espandersi facendo presa sulla coscienza della gente. Questo dossier non lo abbiamo fatto solo per fare conoscere quel che bolle nella grande pentola della solidarietà  (ed è già  un buon risultato), ma anche per suscitare una sensibilità  nuova: se i miei risparmi anziché affidarli a una banca tradizionale che li investe in imprese di dubbia socialità , li affido, ad esempio, alla Banca etica che li utilizza in progetti di sviluppo e di solidarietà  garantendomi comunque i tradizionali interessi, aggiungo una pietra alla costruzione di una finanza solidale e così via. Le opportunità  sono tante come indica il dossier.
di   Luciano Bertazzo

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017