L’Europa cerca un’anima

01 Novembre 1999 | di

È Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, la sorgente di speranza per l'Europa.

Nel mese scorso, dall'1 al 23 ottobre, i delegati dei vescovi hanno celebrato in Vaticano la seconda assemblea speciale per l'Europa (la prima si era tenuta nel 1991, all'indomani del crollo del muro di Berlino), l'ultima della serie voluta da Giovanni Paolo II in preparazione al Giubileo del 2000. Il Papa aveva anche indicato un tema che guidasse i dibattiti e le riflessioni, questo: «Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa». Di fatto, la parola speranza è stata tra le più ascoltate nell'aula sinodale. Perché, in fondo, il compito del Sinodo, al di là  dei tanti problemi affrontati ai quali sarà  pur data una risposta, era di ridare speranza a un'Europa che ha ancora tante paure.

 Paure che affondano radici nella storia passata del Vecchio Continente, fatta di valori fondamentali condivisi, ma anche di laceranti divisioni religiose (scismi e riforma protestante), di cruenti conflitti (le due guerre), di inconcludenti nazionalismi. Ma paure anche che nascono da un presente opaco, dominato da insicurezze (migrazioni inarrestabili, delinquenza, conflitti irrisolti); da un presente dove sono rari gli slanci, incisiva la perdita di valori, che produce poi quella realtà  definita dal cardinale Eyt, arcivescovo di Bordeaux, «apostasia debole», praticata soprattutto dai giovani, nel senso che nelle loro decisioni fondamentali essi non fanno più riferimento alla fede, mentre avanza l'omologazione culturale e di costume che annulla la ricchezza della diversità ...

L'unità  della moneta e i comuni interessi di mercato non potranno certo garantire al Vecchio Continente un futuro di dignità . Ci vuole qualcosa di più, un'anima che alimenti la speranza. Per i vescovi la speranza è Cristo, e il suo messaggio, da porre a fondamento della comune casa europea. Poiché sembra che i valori cristiani non animino più di tanto la vita degli europei, i vescovi si chiedono se in questo non vi siano anche delle loro responsabilità : per non essere stati apostoli efficaci e credibili.
Motivi per sperare non mancano. Per questo si tratta - come ha detto il cardinale di Milano Carlo Maria Martini - di trovare le strade più opportune per annunciare il Vangelo di Cristo ai cittadini del Vecchio Continente: «Molti in Europa - ha detto - sono in cammino verso la fede, sono alla ricerca di un significato, da dare all'esistenza... Bisogna essere pronti a rispondere a questa domando di senso».

Il Sinodo non ha il compito di prendere provvedimenti, ma di formulare indicazioni e proposte da consegnare al Papa, il quale trarrà , poi, le sue conclusioni. Nella discussione sinodale ci sono state prese di posizione che ci sembrano ricche di significato (anche se bisognerà  attendere il documento ufficiale per una valutazione completa): quel mea culpa, ad esempio, che i vescovi hanno pronunciato per non avere dato alle donne il posto che loro compete nella Chiesa, per averle sempre discriminate, mea culpa unito al proposito di riparare il torto aprendo loro le porte, «favorendo in tutti i modi possibili l'accesso della donna alle funzioni pubbliche nella Chiesa...». Eccellente proposito che, se tradotto in pratica, servirà  ad abbattere quella montagna di pregiudizi che hanno sempre relegato la donna nella Chiesa a ruoli subalterni.

A proposito, infine, di ecumenismo e di dialogo con le altre religioni (uno degli argomenti - e delle speranze - più dibattuti al Sinodo), hanno fatto riflettere le dichiarazioni del vescovo di Smirne, Giuseppe Germano Bernardini, sui problematici rapporti con i musulmani. «A un incontro ufficiale sul dialogo cristianesimo-islam - ha riferito il vescovo - un autorevole personaggio musulmano rivolgendosi ai cristiani presenti ha affermato: 'Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo, grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo'». «I petrodollari - sostiene ancora il vescovo - non verrebbero usati per creare lavoro nei paesi poveri del Nordafrica o del Medioriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei paesi cristiani dove emigrano gli islamici... come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista?».

Timore condiviso da molti altri, come diciamo anche nell'inchiesta di avvio di questo numero, e reso ora pubblico non per ingenerare paura o per bloccare qualsiasi dialogo, ma per invitare alla prudenza nella scelta della controparte (neppure l'islam è un monolite) e ad approntare strategie comuni, nel segno della chiarezza e della condivisione di alcuni principi di fondo, che vanno affermati e vissuti con grande decisione e convinzione.

Siamo solo agli inizi di un dialogo e di un confronto che durerà  a lungo.

Il direttore editoriale fra Luciano Bertazzo

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017