L'ultimo scatto di Camille
Con coraggio, sensibilità e professionalità quattordici fotoreporter ci aiutano a capire, a non dimenticare, a fermarci a pensare.
Palazzo Madama a Torino ospita, fino al 13 novembre 2016, In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra, mostra di 70 immagini scattate da 14 giovani donne fotoreporter che lavorano per le maggiori testate internazionali. Provengono da diverse nazioni: Italia, Egitto, Usa, Croazia, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Spagna. Si muovono in atroci e rischiosi campi di battaglia per documentare e denunciare una «terza guerra mondiale» in corso in Africa e in Medio Oriente.
Ciascuna delle fotografe presenta cinque foto emblematiche del proprio lavoro e della propria capacità di catturare non solo un'azione, ma anche un'emozione, denunciando una violenza che, il più delle volte, ricade sui più deboli, sugli indifesi.
Le 70 fotografie sono bellissime, pur nella durezza dei contenuti. A colori e in bianco e nero, il più delle volte sono scattate con macchine digitali. Anche se c'è chi preferisce ancora la vecchia pellicola e, senza quasi mai elaborare con programmi computerizzati l'immagine, utilizza computer e internet solo per spedire il più velocemente possibile a quotidiani e organi di stampa quegli «articoli» scritti con la fotocamera. Per i quali non c'è bisogno di aggiungere parole superflue, se non una didascalia che precisa il dove e il quando.
Storia di Camille
Nella foto, una coppia cammina sopra le ceneri della propria casa distrutta da un bombardamento, in Sud Sudan. A scattarla, a fine 2013, la fotografa francese Camille Lepage. Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2014, Camille viene uccisa, a soli 26 anni, in un'imboscata nella Repubblica Centrafricana mentre svolge il suo lavoro nell'area di Amada-Gaza, accompagnata dalle milizie cristiane Anti-balaka.
Camille aveva studiato giornalismo e fotogiornalismo nel Regno Unito, Olanda e Danimarca. Un giorno decise di partire con lo zaino e la sua macchina fotografica per andare in quei Paesi di cui i media non parlano abbastanza, per documentarne i conflitti e mostrare la realtà sul campo. Ha vissuto nel Sudan del Sud insieme alla popolazione locale per 14 mesi, poi nella Repubblica Centrafricana, per 8 mesi, fino alla sua morte.
Voleva fraternizzare con le persone, vivere la loro stessa quotidianità, e mostrare al mondo le loro condizioni di vita. Attraverso il contatto e la fiducia ha potuto comprendere meglio. E catturare, nelle sue fotografie, gli sguardi e le vite. Camille conosceva rischi e pericoli del suo lavoro. Ma questa è stata la sua scelta: l'impegno nel voler informare il mondo su ciò che stava accadendo in quelle nazioni.