Mai più guerre in nome di Dio

Ma davvero la Bibbia, il Vangelo e il Corano invitano i fedeli alla guerra santa per imporre una sola fede al mondo intero? Su quali basi gli ideatore dell’attentato alle Torri Gemelle dicono di aver agito «in nome di Dio»? Quanto incidono nelle «guerre d
01 Gennaio 2002 | di

 L`€™11 settembre 2001 ci ha cambiato la vita. Lo vediamo ogni giorno, anche nelle piccole cose. Lo scorgiamo dal sospetto con cui scrutiamo una donna con il chador o un uomo dalla pelle un po`€™ più scura.

Musulmano, dall`€™11 settembre, è sinonimo di nemico, terrorista, violento. E per molti, quella in corso, è una guerra dell`€™avanzato Occidente contro il nemico musulmano retrogrado e integralista. In realtà , non stiamo combattendo una «guerra di religione» né tanto meno una guerra voluta da Dio. Ci sono tanti, troppi elementi all`€™origine di questa drammatica situazione, in primo luogo le gravi disuguaglianze e le ingiustizie sociali ai danni dei Paesi del Sud del mondo.

Abbiamo voluto pubblicare questo dossier (che prende spunto da un convegno organizzato dall`€™associazione Biblia, a Torino, il 12, 13 e 14 ottobre scorsi) proprio per sottolineare, ancora una volta, che il Dio delle tre grandi religioni monoteistiche, quelle maggiormente coinvolte in questo conflitto, non predica la sopraffazione di un popolo sull`€™altro, non vuole odio né violenza.

Per dimostrare questa nostra tesi siamo andati a scrutare, con l`€™aiuto di studiosi ed esperti, i testi sacri delle tre religioni. Abbiamo così potuto verificare che nell`€™Antico e nel Nuovo Testamento così come nel Corano ci sono sì parole di violenza ma anche di pace, così come troviamo espressioni di odio e di amore, di vendetta e di perdono. Tutte le sfumature dell`€™umano sentire sono presenti in questi libri, perché è all`€™uomo che essi parlano ed è umano il linguaggio che utilizzano. Però, al di là  del linguaggio, il messaggio che trapela vivo dalle Scritture è, sempre e comunque, un messaggio di pace.

Troppo spesso, però, delle Scritture si fa un uso strumentale, per esempio citandone un versetto isolato dal suo contesto. Un esempio? Possiamo affermare, dicendo il vero, che nella Bibbia cristiana c`€™è scritto che «Dio non esiste». In realtà , come si può ben immaginare, la citazione è parziale. Il brano completo, infatti, dice esattamente il contrario: «Lo stolto pensa: `€œDio non esiste`€» (Salmo 53,2). La stessa lettura parziale e decontestualizzata, viene spesso data anche delle Sure o dei versetti coranici, con gli esiti che tutti ben conosciamo.

Ma troppo forte è la tentazione di ribadire le nostre ragioni tirando Dio dalla nostra parte. Enzo Bianchi, priore della comunità  di Bose, sull`€™«Avvenire» dello scorso 20 novembre scriveva: «Sappiamo, non da oggi, che è presente nella vicenda umana la tentazione di dare un volto perverso al Dio che si confessa, per poterselo accaparrare e così strumentalizzarlo. (`€¦) Dio non ama che si uccida per lui, Dio non vuole che si demonizzi il nemico, né che si divinizzi ad oltranza una causa da difendere». Sono parole che il Papa stesso ha ripetuto più volte negli ultimi mesi e che ripeterà  ancora il prossimo 24 gennaio ad Assisi, quando si incontrerà  con i rappresentanti delle principali religioni per pregare per la pace. Una pace che deve partire dalla consapevolezza che una presenza diversa accanto a noi, come quella musulmana per esempio, non rappresenta un allarme ma una occasione di confronto e di riscoperta della nostra identità .

 

Ebraismo

Solo Dio degli eserciti?

Nell`€™immaginario collettivo di molti cattolici, il Dio dell`€™Antico Testamento è il Dio giudice e guerriero, in contrapposizione al Dio d`€™amore presentato nei Vangeli. Ma il dialogo tra ebrei e cristiani ci dice che le cose stanno in maniera diversa`€¦

a cura di Vittoria Prisciandaro

Il nuovo capo della comunità  ebraica di Roma veste il camice bianco dei medici in prima linea e la kippa (il cappello tondo, tradizionale) dei rabbini. Primario di radiologia dell`€™ospedale San Giovanni, Riccardo Di Segni è a suo agio tra le barelle del pronto soccorso, così come tra il complesso delle norme ebraiche. 52 anni, sposato, padre di tre figli, il successore di Elio Toaff sa di raccogliere un`€™eredità  difficile: «L`€™impegno a proseguire su questa strada è gravoso, anche per tutto quello che succede nel mondo», ha dichiarato a caldo dopo la sua elezione, avvenuta all`€™unanimità  il 21 novembre scorso. Tra i compiti che lo aspettano la promozione della cultura ebraica, la presenza nei luoghi di culto, l`€™aiuto alle famiglie e alle persone più bisognose e l`€™insegnamento della Torah. Proprio partendo da quest`€™ultimo punto gli chiediamo di aiutarci a leggere l`€™esperienza e l`€™idea di guerra e di pace che vengono fuori dalla Bibbia ebraica.

Di Segni: «Non esiste un solo tipo di conflitto. Ci sono lotte tra fratelli (Caino e Abele per esempio) che finiscono con l`€™omicidio; ci sono i conflitti nell`€™ambito della famiglia, le guerre fratricide tra tribù, quelle tra il regno di Israele e quello di Giuda`€¦ Le guerre con i nemici a loro volta si dividono in guerre di conquista o di difesa, ci sono le guerre subite, le invasioni dei regni vicini. A mano a mano che evolve l`€™immagine della guerra evolve anche la tipologia. Quella cananea è una guerra di conquista, espressione che mette in imbarazzo la nostra sensibilità  di uomini contemporanei. Già  nel libro dei Giudici, esaurita la fase della conquista, ci sono guerre di difesa dal nemico che invade. Il discorso si capovolge con Davide, che allarga il territorio in maniera enorme, come mai fu nella storia ebraica».

Da questa classificazione che messaggi vengono fuori? Quale giudizio si dà  del conflitto?

La Bibbia trasmette messaggi differenti: non esiste la guerra santa, ma c`€™è quella obbligatoria, e sono riportate tutte le norme relative al comportamento in guerra: la proibizione di recidere gli alberi da frutto durante gli assedi, le regole sulla spartizione del bottino, quelle sul comportamento con le donne, con i renitenti alla leva, e così via. La cosa fondamentale, comunque, è la parte teologica della rappresentazione: un messaggio centrale è che nella logica biblica ciò che conta non è la potenza militare, ma l`€™unica forza è quella del Signore; è lui che decide chi deve vincere e chi deve perdere, tutto il resto è un gioco.

Poche persone possono sconfiggere un esercito se hanno il sostegno divino. Un tema che viene ripetuto è la contrapposizione tra la presunzione delle forze umane e quella di Dio: il Signore non desidera la forza dell`€™uomo, il suo corpo, i suoi cavalli, perché i destini dei popoli sono determinati e la guerra in questo senso è solo un`€™espressione diversa della volontà  di Dio.

E la pace? La letteratura profetica nei testi biblici prefigura un`€™immagine di pace che non è l`€™irenismo (un orientamento che invita alla riunione delle diverse confessioni cristiane, in base ai loro punti in comune, ndr), la pace a tutti i costi. I conflitti esistono e non sono neppure condannati, perché l`€™idea centrale è che un mondo nella pace è basato sulla giustizia, anche imposta. Il riferimento è soprattutto Isaia 2. C`€™è una prospettiva rivoluzionaria: l`€™accordo delle nazioni, che conduce alla pace, è basato su un riferimento di giustizia. Solo in questa prospettiva potranno essere spezzate le lance ed eliminati gli strumenti di guerra.

Spesso nell`€™immaginario collettivo dei cattolici quando si pensa al Dio della Bibbia di Israele lo si interpreta con le categorie del Dio giudice e guerriero, mettendolo in contrapposizione al Dio d`€™amore presentato nei Vangeli. Un`€™interpretazione che resiste nel tempo, anche se il dialogo ebraico cristiano ci dice che le cose stanno in maniera diversa`€¦

Questa distinzione, tecnicamente definita marcionismo (da Marcione, teologo vissuto tra il I e il II secolo, che separava nettamente il dio cattivo e materialistico dell`€™Antico testamento, da quello buono e spirituale nel Nuovo, ndr), è una malattia infantile del cristianesimo. L`€™opposizione tra la giustizia iniziale da una parte e l`€™amore successivo dall`€™altro è inventata. Il Dio della Bibbia ebraica è giusto e amoroso quanto quello successivo. Il fatto che figurino molto frequentemente immagini come il Signore delle schiere, `€“ che poi è presente anche nella liturgia cristiana, nel «santo» preso da Isaia 6 `€“ non vuol dire che Dio è soltanto quello degli eserciti o il condottiero («uomo di guerra») di cui parla nell`€™Esodo.

Queste espressioni, nel linguaggio antropomorfico (cioè in un linguaggio simile a quello umano) della Bibbia, indicano come viene vissuta dal popolo ebraico l`€™immagine di Dio in un determinato momento. Dio è amoroso, misericordioso, ma anche giusto, è colui che conduce la storia umana. Nel momento in cui determina le sorti di una battaglia è chiamato uomo di guerra, ma è soltanto uno dei numerosi aspetti attraverso i quali il messaggio biblico ci segnala un concetto tra l`€™altro difficile da definire.

Venendo all`€™attualità , quale riflessione teologica è stata sviluppata sulle situazioni di conflitto contemporanee? L`€™attualità  è complicata. Nella storia ebraica ci sono 19 secoli nei quali non c`€™è stato un esercito ebraico, nei quali le guerre sono state soltanto subite. Oggi, invece, esiste un esercito che difende una parte considerevole del popolo ebraico, e le prospettive sono quindi diverse. C`€™è un ampio ventaglio di opinioni: da una tipologia estremista e minoritaria, che sostiene la legittimità  del possesso e della conquista, a una tipologia, maggioritaria, che sostiene la prevalenza del messaggio profetico, il che non vuol dire che è contraria alla guerra in assoluto, ma che il messaggio deve stabilire dei valori fondamentali di convivenza tra le nazioni e le società  basate sul diritto. Infine, ci sono gli estremismi pacifisti.

 

Cristianesimo

La pace è un bene da costruire

Fra le beatitudini di Gesù una riguarda gli operatori di pace, uomini capaci di costruire la concordia partendo dal conflitto. I conflitti fanno parte della storia dell`€™uomo, ma Gesù indica una strada per la loro risoluzione.

di Piero Stefani

Nel «discorso della montagna», Gesù pronuncia nove beatitudini. Di esse, una proclama beati gli operatori di pace «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Nel linguaggio biblico questa formula (espressa con un verbo al passivo in cui è sottinteso il complemento di agente, cioè colui che compie l`€™azione) è un modo per indicare un`€™attività  propriamente divina. Sarà  dunque Dio stesso a chiamare propri figli operatori di pace.

Certo, Dio è padre di tutti, ma rispetto a coloro che fanno la pace egli manifesta un`€™intimità  del tutto particolare.

Ma chi sono costoro, definiti fin da ora beati in quanto costruttori di pace? Si tratta di persone che vivono nella pace o piuttosto di chi si trova ad abitare in mezzo al conflitto? Se la pace va costruita vuol dire che essa è ancora da edificare. Questa beatitudine si riferisce perciò a chi si impegna a stabilire la concordia tra uomo e uomo, partendo da una situazione di inimicizia. Essa si riferisce a coloro che, a prezzo di sofferenza, cercano di instaurare pace là  dove prima c`€™era la contesa, a chi cioè si frappone tra i due contendenti e cerca di porre concordia dove c`€™è scontro. In questo senso la beatitudine è «realistica», perché non nega la presenza e la portata dell`€™ostilità : essa guarda a un mondo da pacificare, non a un mondo già  pacifico.

Queste parole evangeliche si riferiscono dunque a una situazione di contesa. Dio chiamerà  un giorno i costruttori di pace suoi figli, perché essi sono coloro che trascrivono nella pratica in modo più incisivo quanto è comune a tutte le creature umane: essere fatte a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,27). Gli operatori di pace sono coloro che riescono a inserirsi nel cuore del conflitto mutandone il segno.

Vi è una singolare tradizione ebraica di epoca postbiblica secondo cui sognare una pentola rappresenta un buon auspicio di pace. I commentatori si sono a lungo domandati quale potesse essere il legame tra una comunissima pentola e il bene prezioso, e mai definitivamente conseguito, della pace. Infine uno di loro è giunto a proporre un`€™interpretazione molto persuasiva: il fondo della pentola, facendo collaborare due elementi tra loro in perenne contrasto, il fuoco e l`€™acqua, attua ogni giorno il miracolo di accordare i discordi.

Si tratta, per molti motivi, di un`€™interpretazione particolarmente efficace. Innanzitutto, perché è un esempio calato nella vita quotidiana e da ciò si può facilmente concludere che, se ogni giorno occorre che si siano «pentole» capaci di costruire la pace, ciò significa che in ogni momento vi è, sullo sfondo, il pericolo che di nuovo possano insorgere dei conflitti e ciò vale sia per gli ambiti più ristretti della famiglia e del gruppo sia per gli ampi contesti della società  o degli stati. In secondo luogo, fuoco e acqua possono collaborare tra loro solo perché vi è qualcuno disposto a interporsi e a pagare il prezzo connesso a tale scelta. Infine, la pentola fa collaborare gli elementi contrapposti solo perché non li rende uniformi; se il fuoco e l`€™acqua per riconciliarsi perdessero le loro caratteristiche, la loro collaborazione non porterebbe a nulla. Al contrario, sono proprio le loro qualità  antitetiche a consentire, grazie alla mediazione della pentola, di raggiungere un esito positivo. Grazie alla sua «interposizione non violenta», il fondo della pignatta conserva, anzi tutela, le diversità , annullando però l`€™ostilità .

La mediazione compiuta dal fondo della pentola è preziosa in quanto indica il primato della mitezza (e anche i miti sono annoverati tra i beati, Mt 5,5), la quale si dimostra a un tempo attiva e ardua, appunto perché capace di subire. Per far ricorso a un`€™espressione alquanto banale, chi «sta in mezzo» rischia di «prenderle dagli uni e dagli altri»; ma è anche vero che questa scomoda posizione resta l`€™unica possibilità  per chi vuole interporsi tra gli avversari al fine di riconciliarli. I fondi delle pentole, dopo aver compiuto tanti quotidiani miracoli, sono destinati prima o poi a logorarsi, ma sarebbe bene conservare un po`€™ di riconoscenza nei loro confronti.

Nel «discorso della montagna» Gesù propone ai suoi discepoli di non resistere al malvagio (Mt 5,39) e di pregare per i propri persecutori (Mt 5,43). La mitezza è la scelta di non opporre violenza a violenza, andando oltre il principio dell`€™«occhio per occhio» (Es 21,4), regola, quest`€™ultima che, intesa nel suo senso autentico, non tende affatto a innescare una inarrestabile spirale vendicativa; al contrario, essa vuole stabilire una misura umanamente equilibrata volta a tenere a freno il dilagare del sopruso reciproco.

Eppure, Gesù propone un`€™altra via: «Avete inteso che fu detto: `€œOcchio per occhio e dente per dente`€, ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l`€™altra» (Mt 5,38-39). La specificazione che si tratti della guancia destra non è superflua; essa sta a indicare che si è stati colpiti da un manrovescio (la maggioranza delle persone non è mancina), gesto particolarmente offensivo e violento che rende il porgere al prepotente pure la guancia sinistra atto davvero disarmato e disarmante.

Di fronte a simili inviti, ci si può però chiedere quale azione politica possa articolarsi lungo le linee che propongono la non resistenza al malvagio. Infatti, quale umana tutela del debole può compiersi facendo appello solo a questo primato del subire e del patire? Eppure, si può aggiungere, è possibile camminare davvero sulla via di Gesù rinunciando al primato della mitezza? Si tratta di interrogativi veri e profondi; tuttavia, la risposta a essi va cercata assai più nelle pagine della vita che in quelle degli scritti.

 

Islam

Nel Corano il nome di Dio è pace

L`€™islam è proprio quella religione bellicosa che l`€™immaginario collettivo dipinge? È ancora possibile un dialogo con i musulmani? L`€™islam contemporaneo è tollerante o integralista? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Ventura, docente di islamistica all`€™Università  di Napoli.

a cura di Sabina Fadel

L`€™islam, benché discenda dal ceppo abramitico da cui derivano pure ebraismo e cristianesimo, appare oggi come una religione bellicosa che attinge le ragioni di questa sua bellicosità  dal Corano stesso. Eppure, «pace» è uno dei nomi di dio per l`€™islam. E jihad, prima ancora di essere una «guerra santa», è lo sforzo che il credente deve compiere per camminare lungo i sentieri di Dio. Esiste un islam tollerante, pacifico, che spesso viene zittito dalle grida di un islam radicale e integralista che trova sempre più spazio nei mezzi di comunicazione. Ma quali sono le reali posizioni dell`€™islam tradizionale e, soprattutto, qual è oggi il filone prevalente, l`€™integralista o il tollerante? Ne abbiamo parlato con Alberto Ventura, docente di islamistica presso l`€™Università  orientale di Napoli.

Msa. Secondo l`€™opinione comune quella musulmana è una religione aggressiva, intransigente. Eppure, chi con l`€™islam ha familiarità , gli riconosce un volto pacifico, almeno quanto il cristianesimo. Dove sta la verità ?

Ventura. È sempre molto difficile dire che una religione è aggressiva o pacifica in assoluto. Se diamo uno sguardo, mediato dalla storia, possiamo affermare che nel corso dei secoli l`€™islam è stato abbastanza tollerante rispetto altre religioni. Però, il giudizio cambia a seconda del periodo storico o dell`€™area dell`€™islam presi in considerazione: l`€™India musulmana, per esempio, ha una storia diversa rispetto a quella dell`€™impero ottomano o dell`€™islam arabo. Anche il cristianesimo ha avuto fasi aggressive, a seconda delle epoche e delle aree geografiche in cui la sua storia si è svolta.

Qual è la corretta interpretazione di quei versetti del Corano (come per esempio il 2, 191 e 193) da molti incriminati, perché inciterebbero alla guerra contro i non musulmani?

Un musulmano risponderebbe con una frase araba, il cui significato è pressappoco: «Dio lo sa». Insomma, lo sa solo Dio qual è la corretta interpretazione del suo discorso. È molto difficile stabilire l`€™esatto significato di questi o altri versetti simili. Sono stati sparsi fiumi di inchiostro proprio su queste tematiche nell`€™islam. Le scuole giuridiche non si sono messe d`€™accordo, le prospettive teologiche sono differenti. Non esiste una dottrina della guerra o del rapporto guerra-pace nell`€™islam. E questo perché, non essendovi un magistero unico che possa formulare principi dogmatici validi per tutti e per sempre, le soluzioni e le posizioni possono essere molto differenti.

Quali conseguenze può avere il fatto che nell`€™islam non ci sia un magistero come noi lo intendiamo, soprattutto rispetto al diffondersi di atteggiamenti radicali?

Nell`€™islam esiste il «consenso». Si tratta di un dato giuridico e istituzionalizzato, determinato con precisione e consiste nella registrazione di un lento convergere dell`€™opinione comune su alcuni temi dominanti, dei quali si sta discutendo. Quando l`€™islam deve prendere posizione su una determinata questione sociale, religiosa o politica, tende a registrare questa opinione. E quella che poi diventerà  l`€™opinione prevalente fa dottrina, diventa quasi una «posizione ufficiale», anche se, ripeto, non essendoci un magistero non esiste mai una sola posizione.

Nel Corano si parla di pace?

«Pace» è addirittura uno degli appellativi di Dio. Il Corano dice che Dio è colui che ha fatto discendere la sua presenza pacificatrice nel cuore dei credenti. Per il Corano la pace è lo stato naturale dell`€™uomo, non è privazione di guerra, ma è la guerra che è privazione di pace. Può sembrare una banalità , ma invece è importante comprendere che per l`€™islam la guerra è uno stato innaturale, frutto delle imperfezioni di questo mondo. Il fedele musulmano, quindi, deve darsi da fare per restaurare la situazione naturale di pace.

È vero che l`€™islam non conosce la distinzione tra temporale e spirituale, ovvero che nell`€™islam, come si sente spesso ripetere, «religione e politica coincidono»?

È un luogo comune. È vero che all`€™epoca del profeta c`€™è stata un sorta di unione tra una comunità  che era al tempo stesso comunità  spirituale e comunità  di credenti organizzata come stato, e quindi il Profeta era il rivelatore della parola di Dio e al tempo stesso anche il capo militare della comunità . Con il tempo, però, questa unità  si è rotta e di fatto le funzioni religiosa e temporale si sono divaricate. Purtroppo una parte dell`€™integralismo islamico contemporaneo sta cercando in modo artificioso di ricostituire quell`€™antica unità . L`€™islam classico, invece, e soprattutto quello sunnita (la corrente islamica maggioritaria, ndr) ha sempre mantenuto separati i due aspetti.

Spesso si sente dire che per i musulmani gli ebrei e i cristiani sarebbero infedeli o miscredenti: è vero?

No, direi di no. Il problema dei miscredenti o infedeli è complesso. Le esatte traduzioni di «infedeli» e «miscredenti» sono rispettivamente «associatori» e «negatori». Associatore è chi compie l`€™atto di associare a Dio qualcun altro nella sua sovranità , che deve essere invece assoluta: sono i politeisti, in sintesi. Questa è la categoria peggiore, perché il peccato di associazione è l`€™unico che l`€™islam considera assolutamente irremissibile. Negatore è invece chi ostinatamente e pervicacemente si oppone alla verità : un ateo convinto, in definitiva. Questi due termini, quindi, non solo non equivalgono ai nostri «infedele» e «miscredente», ma non possono neppure tecnicamente essere attribuiti agli ebrei e ai cristiani, dal punto di vista del pensiero islamico. Solo oggi c`€™è questa tendenza a confondere le cose, a causa delle mistificazioni di un certo islam integralista che tende ad annoverare anche le religioni del Libro (ebraismo e cristianesimo) fra le miscredenze e le infedeltà .

Secondo lei un dialogo aperto con l`€™islam oggi è possibile, oppure predominano le componenti integraliste?

Secondo me è possibile, e in molte sedi lo si fa abitualmente. Non sono certo gli eventi più recenti che possono interrompere questa corrente di dialogo. È indubbio che ci sono delle preoccupazioni, è evidente un certo scivolamento di parte della società  musulmana verso posizioni più «rigoriste», anche se non proprio integraliste. Io, però, continuo a ritenere che queste posizioni nel mondo musulmano siano ancora minoritarie, anche se negli ultimi decenni hanno fatto progressi sensibili.

Una previsione: quale sarà  il futuro dell`€™islam, l`€™integralismo o la tolleranza?

Molto dipenderà  dalla volontà  comune, di musulmani e cristiani, di non restare arroccati su vecchie posizioni. Non possiamo aspettare che solo l`€™islam cambi: anche il mondo occidentale deve assumere atteggiamenti diversi dal passato. E così pure i musulmani non devono aspettarsi che solo l`€™Occidente modifichi i suoi atteggiamenti. L`€™islam oggi ha la grande occasione di cancellare le posizioni rigoriste che l`€™hanno oppresso negli ultimi tempi e che hanno guadagnato consensi non da un punto di vista religioso o etico, ma semplicemente come bandiera in cui identificarsi in funzione antioccidentale. Se i musulmani capiranno che questo tipo di islam è solo la bandiera dell`€™ignoranza, allora avranno compiuto un importante passo avanti.

 

L`€™opinione di Fouad Allam

Alle origini del radicalismo islamico

Quando è nato, da che cosa è stato originato e soprattutto quale sarà  il futuro dell`€™integralismo islamico che tanti guai sta provocando nel mondo? Lo abbiamo chiesto a Khaled Fouad Allam, sociologo del mondo musulmano.

a cura di Paola Comauri

Khaled Fouad Allam è nato in Algeria, ma vive nel nostro Paese da diciassette anni, insegna sociologia del mondo musulmano e storia e istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà  di Scienze politiche dell`€™Università  di Trieste ed è editorialista de «La Stampa». A lui abbiamo chiesto di chiarire le origini storico-sociologiche dell`€™attuale conflitto.

Msa. Dottor Allam, quali sono le origini sociali del fondamentalismo islamico?

Allam. Sono legate a diversi fattori. Storicamente, il primo è stato il rifiuto del processo di occidentalizzazione, riconducibile alla nascita del gruppo dei «Fratelli musulmani», agli inizi degli anni `€™30 in Egitto. Allora c`€™era un contesto politico internazionale di transizione, che vedeva da un lato la nascita dei nazionalismi arabi e dall`€™altro la caduta dell`€™impero ottomano (1924), con la conseguente perdita di un centro politico, culturale e spirituale dovuta all`€™esilio in Svizzera dell`€™ultimo califfo. Alla struttura imperiale che aveva retto il mondo musulmano per secoli e secoli si sostituirono allora gli stati, nati sotto l`€™influsso dei nazionalismi arabi e delle politiche mandatarie dei paesi europei, in particolare della Gran Bretagna e della Francia. Il nazionalismo ebbe dunque un doppio ruolo: la creazione di una struttura politica inedita nel mondo arabo islamico, che non conosceva l`€™idea di uno stato-nazione, e l`€™idea di farne il luogo dell`€™emancipazione e della modernità  politica e culturale. Come reazione a questo processo, nell`€™islam si è innescata una dialettica feroce tra tradizione e modernità , che ha caratterizzato tutto il Novecento.

Altri fattori che hanno contribuito alla nascita del radicalismo sono poi il contesto internazionale, parte in causa nella questione mediorientale, e la crescita tra gli anni `€™60 e `€™80 delle campagne di alfabetizzazione che hanno favorito l`€™accesso all`€™università  di importanti masse giovanili. La successiva crisi petrolifera internazionale ha determinato però nel mondo arabo una crisi strutturale che non ha permesso a molti ragazzi laureati di trovare lo spazio pubblico di integrazione che l`€™ideologia nazionale prometteva. E la forte disillusione ha orientato molti verso il radicalismo islamico.

Fondamentalismo e radicalismo indicano fenomeni diversi?

Nel lessico politico-religioso, «fondamentalismo» è un termine mutuato

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017