Marco Guzzi

La profonda crisi economica ha messo in luce crisi ancora più profonde, culturali e spirituali. Da dove ricominciare? In quale modo l’uomo può superare uno smarrimento che è anche individuale? Dialogo con il professor Marco Guzzi, poeta e filosofo.
01 Ottobre 2013 | di

Capire la crisi per uscirne. Da dove nasce? Perché si è arrivati a quello che sembra un punto di non ritorno? Quali motivi l’hanno generata? Davvero, come sostengono in tanti, guru e non dell’economia, «questa fase di difficoltà può rappresentare un’occasione di ripensamento: per le persone dei loro stili di vita; per i governi di politiche finalmente più efficaci e sostenibili» come ha dichiarato, tra gli altri, persino Bill Gates, fino a un anno fa l’uomo più ricco del mondo? Una cosa è certa: questa crisi economica ha messo il dito sulla piaga. Ad andare in tilt è stato, infatti, il nostro intero sistema di sviluppo. Il fatto è che, sotto il coperchio della crisi economica, allignavano da tempo, silenti, ben altre crisi. Ne è convinto Marco Guzzi, poeta e filosofo, docente all’Università Pontificia Salesiana di Roma, autore di numerosi libri, in particolare sulla necessità di una nuova coscienza spirituale capace di porsi come vera e propria rivoluzione del secolo.  

Marco Guzzi, poeta e filosofo.

Msa. Professor Guzzi, davvero i periodi bui portano a cambiamenti che si rivelano quasi provvidenziali sul lungo termine? Non è la solita scusa per rendere la pillola meno amara? Guzzi. Quella che stiamo vivendo è una crisi economica globale. Come concordano gli economisti, non passerà facilmente. Essa ha il pregio di aver messo a nudo altre crisi, più profonde e radicali. Per esempio, quella della politica. Le democrazie europee, ma anche altre, come quelle degli Stati Uniti e dei Paesi emergenti, stanno dimostrando di non saper governare le sfide imposte dalla globalizzazione.

Mancano idee, mancano visioni per dare un orientamento a questo processo straordinario di unificazione planetaria. La crisi economica è il sintomo ultimo, fisico, di una crisi più profonda che non riusciamo ancora ad analizzare bene. Difficile, allora, fare una diagnosi appropriata e stabilire, di conseguenza, tappe appropriate per uscirne.

La crisi ci ha messo di fronte, in maniera quasi brutale, al nostro declino. L’Occidente ha perso la sua centralità, e questo ha messo in discussione la nostra stessa identità. Sono ormai decenni che l’Occidente, e ancor più l’Europa, stanno vivendo un profondo declino. Quello che manca, purtroppo, è la memoria storica di ciò che ci ha preceduto. Ogni sforzo per capire la portata e l’ampiezza di questa crisi risulta, puntualmente, vano, se non abbiamo un minimo di memoria storica, che vada a ritroso di almeno un secolo. Questa fase di decadenza parte da molto lontano e ha inizio già tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Tutto il XX secolo, i suoi pensatori, filosofi, teologi, psicanalisti e artisti, da Spengler a Heidegger e a Nietzsche, riflettono sulla civiltà cristiana occidentale che sta tramontando, che non sa rigenerarsi, che non sa trovare l’energia spirituale dentro di sé. La depressione economica è l’effetto ultimo della depressione culturale e spirituale che sta vivendo la società contemporanea. I nostri popoli? Come dicono anche i dati sociologici, sono privi di emozioni, di eros, di passione e dedizione. Non c’è voglia di fare figli, di fare impresa, di rimboccarsi le maniche e ripensare un modello di sviluppo che, prima di essere economico, sia culturale e spirituale.

Il momento particolare impone di guardare oltre i nostri confini. Viviamo, in Europa, una grande realtà monetaria e basta? Oppure c’è dell’altro?  L’Europa non è mai stata un’entità geografica precisa. Erodoto pensava finisse sull’Adriatico e Benedetto Croce riteneva che la Germania appartenesse all’Europa solo per metà. Non è mai stata un’entità geo­grafica ma nemmeno un’entità storica altrettanto definita. L’Europa è un’idea, l’idea della libertà che nasce a Maratona (dove ha inizio l’Occidente, dove prende avvio la libertà delle polis greche) e si va consolidando dopo pesanti conflitti con potenze esterne: gli arabi nell’VIII secolo, i turchi nel XVII secolo. La stessa Europa monetaria nasce già debole perché non si fonda su un’idea rinnovata di Europa. Se vogliamo un continente europeo forte, che sappia unificarsi politicamente, che sappia darsi una costituzione, che sappia costruire un demos, un popolo europeo che non esiste, ci vuole una nuova idea di fondo che metta insieme le varie realtà. È necessario un rinnovamento in cui l’Atene filosofica, la Roma universalistica e la Gerusalemme della fede si uniscano in una sintesi straordinariamente potente. Una sintesi che, oggi, va rinnovata per aiutare l’Europa a continuare a esistere.

Crolli in Borsa, spread, numeri come impazziti: oggi tutto è in mano ai tecnici. Mani buone per i conti, forse, ma non c’è bisogno anche di un pensiero e di una politica capaci di partire dalle cifre per spiccare il volo? La tecnica è un modo di organizzare un progetto. Ci vogliono far credere che esista una tecnica economica pura, ma questa non esiste. Esistono, invece, delle visioni economiche ben precise – in difesa di interessi altrettanto precisi –, che i tecnici stanno applicando. Essi stanno mettendo in pratica una certa visione economica delle cose, che sta facendo acqua da tutte le parti. Il motivo? Continuano a proporci modelli di sviluppo che sappiamo non essere sostenibili. La grave crisi culturale che sta vivendo l’Occidente è dovuta alla mancanza di visioni filosofiche. Non saranno i tecnici a farci uscire da questa empasse, ma nuove visioni antropologiche. Ciò di cui abbiamo bisogno è un nuovo progetto di umanità.

È in atto anche una profonda crisi d’immagine della Chiesa. I media vanno all’attacco, la gente si interroga. Come interpretare quanto sta accadendo? Leggo in modo positivo questa crisi e, insieme con essa, tutte le crisi perché sono sintomo di crescita. Non ci dobbiamo stracciare le vesti se l’istituto del matrimonio o se la nostra democrazia entrano in crisi, perché si tratta di momenti di crescita, di cambiamento. Le forme in cui abbiamo vissuto fino a oggi (matrimonio, Stato nazionale, Chiesa) non sono più sufficienti. La Chiesa è ben consapevole di tutto ciò. In fondo, il Concilio Vaticano II ha colto la sfida di un grande rinnovamento che, non solo non è finito, ma è appena cominciato. Come dice il Papa, è la fedeltà alla nostra tradizione che ci spinge a una trasformazione continua. La Chiesa come istituzione storica sta vivendo un immenso, dolorosissimo travaglio di rigenerazione in cui si cerca di capire quali siano le cose veramente essenziali della fede e quali, invece, gli elementi da lasciare andare. Ci stiamo chiedendo, come diceva il cardinale Walter Kasper, quali siano gli elementi ancora pregni di futuro nella nostra liturgia, nella nostra catechesi, nel modo di vivere la vita consacrata. Tutto è in fermento oggi, soprattutto dentro la Chiesa, per capire e recuperare l’essenziale.

Crisi collettiva e crisi esistenziale individuale, come interagiscono tra loro? Questa profonda crisi antropologica diventa, in contemporanea, una grave crisi biografica, della propria identità. Abbiamo bisogno di luoghi in cui essere ascoltati nella nostra sofferenza, luoghi nei quali capire che questo travaglio può essere evolutivo. Come, a livello globale, la crisi può portare a una grande conversione culturale, così, a livello personale, questo smarrimento della propria identità può portare a rivedere profondamente la propria vita e a cercare prospettive inedite di sviluppo. Nei nostri gruppi «Darsi pace» (vedi scheda) mettiamo sempre in dialogo il livello macro con il micro, la crisi del mondo con le crisi personali. Perché io capisco meglio ciò che sto vivendo sulla mia pelle se alzo lo sguardo e cerco di capire ciò che sta accadendo nel pianeta.

In tempi di crisi si è ancor più portati a credere che la vita spirituale poco abbia a che fare con l’economia, la finanza, il lavoro. È proprio così? È un pregiudizio. Solo il senso comune, alquanto banale, derivante da un materialismo d’accatto che sta dominando in Europa negli ultimi trent’anni, vuol farci credere che l’economia sia soltanto una questione pratica, che non ha nulla a che fare con lo spirito, la cultura, l’arte, l’intraprendenza dei popoli. Al contrario, tutti i grandi economisti, a cominciare da Max Weber, hanno sempre affermato che la vitalità economica di un popolo dipende dalla sua forza morale e spirituale. I popoli nella storia sono stati forti economicamente quando lo erano anche culturalmente e spiritualmente. La stessa crisi della politica occidentale è sintomo di una più profonda crisi culturale. Non dimentichiamoci che la politica, da Platone in poi, non è altro che una branca del pensiero filosofico. Essa sembra essere diventata una tecnica amministrativa, in realtà è una visione antropologico-filosofica che si traduce poi nell’organizzazione della polis.

Quali sono i temi capaci di ridar vita, e speranza, al presente? Da che parte ricominciare?  Nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI parla di una grande povertà del pensiero, del bisogno urgente di un nuovo slancio del pensiero. Anche questa crisi culturale è spirituale. Manca l’energia della speranza. Il filosofo Nietzsche avrebbe detto: «Manca un senso, un “a che scopo”». Non abbiamo più la percezione di andare in una direzione. Dobbiamo chiederci, a livello culturale prima e politico poi, che tipo di umanità vogliamo sviluppare nel prossimo futuro. Dovremmo, quindi, darci da fare per educarci a questo nuovo tipo di umanità che sentiamo necessaria non solo in ambito strettamente cristiano, ma anche laico. Dovrà essere un’umanità meno «egoica», meno chiusa nei propri interessi egoistici, sia individuali che nazionali, un’umanità più relazionale. Ognuno di noi, a livello individuale e collettivo, dovrà comprendere che la vera realizzazione non avviene contrapponendosi agli altri o perseguendo interessi che vanno contro gli altri. Tanto meno facendo dell’economia un fine e non un mezzo e dei beni economici gli unici valori su cui misurarsi.  

La scheda

 

Non solo filosofo Marco Guzzi (1955), è laureato in Giurisprudenza e in Filosofia. Ha sempre affiancato alla ricerca poetica e filosofica un’intensa attività di comunicazione culturale. Dal 1985 al 1998 ha condotto alcune trasmissioni di dialogo col pubblico di Radio Rai. Dal 2004 dirige per le Edizioni Paoline la collana «Crocevia».Dal 2005 tiene corsi presso il Claretianum, Istituto di teologia della vita consacrata dell’Università Lateranense. Dal 2008 è professore invitato nella facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università Pontificia Salesiana. Nel 2009 Benedetto XVI lo ha nominato membro della Pontificia accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. L’esperienza di ricerca creativa e di elaborazione di linguaggi comunicativi è confluita nell’attuale sperimentazione di gruppi di auto trasformazione («Darsi pace», www.darsipace.it), in cui si tenta di integrare i livelli culturale, psicologico e spirituale di formazione, in dialogo tra fede cristiana e modernità. Ha pubblicato una quindicina di libri. L’ultimo: Il cuore a nudo Guarire in dialogo con Dio, ed. Paoline 2012.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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