Pace. Frutto della giustizia e del perdono

Il perdono non si contrappone alle esigenze di riparazione, ma mira alla pienezza di giustizia che conduce al risanamento in profondità delle ferite inferte.
03 Gennaio 2002 | di

 «Augurio». Nel dizionario etimologico, che spiega cioè il significato profondo delle parole, si legge: dal latino «augere», «accrescimento accordato dagli dei per un`€™impresa». Della folta schiera degli e delle capricciose divinità  che popolavano l`€™Olimpo di Roma s`€™è persa traccia da tempo. Dal nostro unico Dio, che ci ama con tenerezza di Padre, più che un accresciuto favore per le nostre imprese (siamo solo dei terribili pasticcioni), ci attendiamo che accresca in noi la fede, che ridia vigore alla speranza, soprattutto nel momento in cui, strappato l`€™ultimo foglio del calendario, si aprono le pagine bianche di un anno nuovo, che inevitabilmente tutti si augurano sia migliore di quello passato. Ed è anche il nostro augurio a voi, cari amici.

Ora, più che in altri tempi, la speranza di un anno migliore deve essere radicata nella certezza, dataci dalla fede, che Dio sa scrivere dritto anche quando le righe sono storte, e cioè «che il male, il mysterium iniquitatis `€“come dice il Papa nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace `€“ non ha l`€™ultima parola nelle vicende umane».

Abbiamo davvero bisogno di rinfocolare questa certezza perché l`€™anno che ci siamo lasciati alle spalle, più che da righe storte è invaso da ghirigori impazziti. Sulle storture di un`€™endemica situazione di povertà , di ingiustizia e violenza (in Africa e altrove guerre ignorate imperversano da anni) s`€™è inserito quel nero scarabocchio dell`€™assalto alle Torri Gemelle l`€™11 settembre. «Un crimine di terribile gravità » (Giovanni Paolo II) che non ha solo innescato quel vasto movimento di difesa contro un terrorismo empio (è proprio il richiamo a Dio a renderlo tale) e criminale, sfociato nella guerra contro l`€™Afghanistan, una delle centrali di quel terrorismo, ma posto anche i germi di altre azioni punitive che potrebbero aver corso nell`€™anno che ora si apre.

Come non bastasse: non ha ancora trovato soluzione (le cose sono anzi peggiorate) la controversia israeliano-palestinese che ogni giorno scrive pagine di sangue e di morte in Terra Santa, «luogo benedetto e sacro dell`€™incontro di Dio e con gli uomini, luogo della vita, morte e risurrezione di Gesù, il Principe della pace» (Giovanni Paolo II).

Ecco perché abbiamo bisogno di pregare il Dio della pace a non volgere altrove lo sguardo, ma di tenerlo fisso sulle nostre vicende. Perché la guerra, comunque la si giri, è sempre una cosa terribile, tra le sue vittime annovera sempre tanti innocenti che hanno come noi il diritto di vivere.

La necessità  della legittima difesa, quindi, che ha armato il mondo occidentale contro il terrorismo, non può esimerci dal dovere di pregare per la pace e di mettere in moto tutto che quello che può servire a ristabilire la pace. Che il Papa, nel messaggio citato, ha individuato in due atteggiamenti: giustizia e perdono, «pilastri della vera pace». Non c`€™è pace senza giustizia, non c`€™è giustizia senza perdono. «La vera pace è frutto della giustizia `€“ argomenta il Papa `€“, virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull`€™equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com`€™è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità  i rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono i singoli quanto in quelle di portata più generale e anche internazionale. Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell`€™ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità  dell`€™ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità , ma è risanamento in profondità  delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali».

Questo dice il Papa. E, convinto che nell`€™instaurare la giustizia, l`€™etica e la cultura del perdono i leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani hanno un ruolo determinante, li sollecita «a collaborare tra loro per eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la grandezza e la dignità  della persona e diffondendo una maggiore consapevolezza dell`€™unità  del genere umano». E per dare al mondo un`€™immagine visibile di questa unità  di intenti, li ha invitati ad Assisi, la città  di Francesco, il prossimo 24 gennaio, a pregare per la pace e «a mostrare che il genuino sentimento religioso è una sorgente inesauribile di mutuo rispetto e di armonia tra i popoli».

E noi che possiamo fare? Anzitutto unirci alla preghiera delle grandi religioni per la pace e poi allenarci al perdono perché anche in noi mai prevalga l`€™istinto di ripagare il male con il male. Mai. Piccoli contributi personali per instaurare il clima di giustizia e l`€™etica del perdono auspicati dal Papa.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017