Parroci e laici: contro o insieme?
«Caro direttore, scrivo perché sono triste e amareggiata per l’assenza dei parroci soprattutto nei confessionali e per l’inclinazione al non ascolto. Sembrano essere presi dalla fretta, dalla pigrizia e indolenza. La Messa è importante e io ci vado, ma secondo me c’è tanto bisogno di presenza da parte dei preti che, ahimè, vedo sempre più diminuire. Il parroco è colui che deve spingere ad andare in chiesa, a sposarsi in chiesa e invece alcuni fanno di tutto per farti scappare dalla chiesa. Vorrei vedere più zelo nell’attirare a Dio da parte di alcuni sacerdoti. Io amo Dio e gli uomini e capisco che, sacerdoti e non, sbagliamo tutti».
Lettera firmata
«Egregio signor direttore, mi consenta – una tantum – di sfogarmi. Sono un sacerdote molto stagionato, che ha passato i 90, e pertanto ragiono come quelli dei tempi andati. Tutta la nostra gioventù non va più in chiesa, non si confessa, non ha leggi morali da osservare. A loro “tutto è lecito” per quanto riguarda il rapporto con Dio. La prima colpa, io penso, è dei loro genitori, disimpegnati, che hanno lasciato correre...».
Lettera firmata
Due lettere, due anime preoccupate, due cristiani convinti, che osiamo accostare una all’altra (purtroppo sintetizzandole per esigenze di spazio). Quasi fosse lo stesso e medesimo problema ma visto da due angolazioni diverse. Con due esigenze e due tipi di richieste. Entrambi, seppur apparentemente contrapposti, hanno ragioni da vendere, perché parlano per esperienza e non per sentito dire. Entrambi, pur senza giudizio né cattiveria, si aspettano che sia la controparte a cambiare registro e andatura.
Ecco, forse è proprio lì, in mezzo tra di loro (non solo nel senso dei nostri due amici lettori, ma tra parroci e parrocchiani, tra pastori e fedeli), che si è incrinato qualcosa. Che qualcosa si è addirittura forse spezzato. Non solo ora, in realtà, visto che sul banco degli imputati vi sono i genitori dei ragazzi di oggi e i preti che si sono formati parecchi anni fa. Ma, senz’altro, ora molto più di allora: perché il mondo è cambiato, anche quello religioso. Non in peggio o in meglio, è semplicemente diverso. E forse da questa consapevolezza conviene ripartire, entrambi. Con tutte le nostalgie e le rivendicazioni del caso, ma con fiducia in Dio, che sicuramente non ha smesso di volerci bene solo perché non siamo più quelli di una volta (ma una volta eravamo davvero così migliori?).
C’è forse bisogno di rifare un patto tra credenti, tra chi ha il ministero della conduzione di una comunità e chi dovrebbe esserne comunque corresponsabile e non mero utente di servizi religiosi. Ognuno reimparando a conoscere e a stimare l’altro: le sue esigenze e le sue risorse. Impegnandoci tutti ugualmente a testimoniare il regno di Dio. Che non è solo questione di anagrafe parrocchiale, ma di adesione a Cristo con la vita intera.
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