Prigionieri del passato
La scia di dolore e di distruzione che accompagna ogni guerra non si estingue mai con i trattati di pace. Il conflitto nella ex Jugoslavia, la guerra vicina, nella carne dell’Europa, che ha insanguinato i Balcani dal 1991 al 1995 – uno shock a poco meno di cinquant’anni dal Secondo conflitto mondiale – non ha fatto eccezione. Non desta sorpresa che ancora oggi esistano gruppi di profughi, sospesi nella terra di nessuno che è l’esilio. È il caso di Stefania, cacciata dalla Bosnia per la sua etnia e fede religiosa (è cattolica) e riparata in Croazia nel campo profughi di Klana, vicino a Fiume. «Ci rimasi tre anni – racconta –. Poi, con gli accordi di Dayton, a noi del campo ci mandarono nei paesini delle montagne croate, in case fatiscenti e con il marchio di profughi, che ci impediva di accedere ai già scarsi lavori». Poveri e senza possibilità di miglioramento, in terre escluse dall’industrializzazione e dal circuito turistico, lontane dal mare, tanto amato dagli italiani e dai tedeschi. Molti, i più forti, sono riusciti ad affrancarsi, altri prostrati da un handicap, dalla povertà e dal dolore sono ancora in cerca di un pezzo di cielo. Una bolla dolente di passato, in un Paese ormai proiettato al futuro.
Ana ha cinque figli, vive sola e non riesce a trovare uno straccio di lavoro, nemmeno saltuario. I suoi bambini sono denutriti, mal vestiti, senza possibilità di acquistare il materiale scolastico. E che dire di Mario, una moglie e due figli piccoli, che di mestiere fa il taglialegna saltuario, ma, a volte, non riesce a lavorare perché soffre di depressione ricorrente?
Da quando, durante la guerra, lo torturarono, soffocando le sue urla nella musica ad alto volume, spesso non riesce a sopportare il rumore, neppure quello della sega, lo strumento che pur gli consente di raggranellare qualche spicciolo.
A loro favore Caritas Antoniana ha deciso di finanziare un piccolo, ma vitale progetto, presentato dal Comitato Unamano, solidarietà e pace di San Giorgio in Bosco (PD), una realtà che fa parte di un comitato provinciale del padovano sorto proprio nel 1991 per organizzare gli aiuti nell’ex Jugoslavia. «Sosteniamo da tempo un gruppo di famiglie di profughi nella zona di Korenica – afferma Silvia Pettenuzzo, responsabile del progetto –. Si tratta di dodici famiglie in condizione di grave bisogno. Il governo concede loro delle piccole sovvenzioni che però non bastano per vivere, mentre le case avrebbero bisogno di pesanti ristrutturazioni. Con il vostro aiuto intendiamo non solo supportare economicamente le famiglie ma dar loro alcuni mezzi per cominciare a ricostruirsi il futuro». Dai costi d’istruzione all’acquisto di alcuni strumenti di lavoro, da qualche lavoretto di riparazione nelle case all’estinzione di piccoli debiti che però soffocano la vita di famiglie già tanto povere. La somma donata – 5 mila euro – è stata divisa dal comitato, presente nella zona con frequenza, a seconda delle necessità più impellenti delle dodici famiglie. Scrive Anita, sposata, con due figli, appartenente a una delle famiglie beneficiate. «Nella vita abbiamo visto tante cose terribili e abbiamo tanto sofferto, però ci consola il fatto che qualcuno si ricorda ancora di noi e ci aiuta. Se verrete a trovarci, per noi sarà una festa».