Raccontare i fatti in libertà
«Ogni mattina mentre vado in ufficio e tutte le sere quando torno a casa, penso solo alle auto che possono essere trappole esplosive, o ai kamikaze che escono dalla folla». Così scriveva qualche tempo fa, Shah Marai, fotoreporter dell’Agenzia France Presse a Kabul. Seguiva da anni il dramma della guerra in Afghanistan.
Rischiava molto Shah per il suo lavoro. Ha visto la morte in faccia più volte. Lo scorso 2 maggio l’ha incontrata per l’ultima volta, sulle strade di Kabul, portandoselo via per sempre in un ennesimo attentato. Shah era sposato e aveva cinque figli.
A lui e ai tanti giornalisti che rischiano la propria vita per raccontare, in libertà, quanto accade nel mondo è stato dedicato lo scorso 3 maggio il «World Press Freedom Day», la giornata internazionale della libertà di stampa, patrocinata dall’Unesco. Tutelare l’informazione sempre: questo l’appello lanciato, per l’occasione, dall’agenzia dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura.
Dal 2012 al 2016 nel mondo sono stati uccisi 530 giornalisti, una media di due alla settimana, e solo in un caso su dieci viene fatta giustizia. Spesso sono giornalisti locali, che vivono nelle periferie, in angoli sperduti del mondo. Altri raccontano la brutalità delle guerre, le ingiustizie e le corruzioni diffuse in molti Paesi. Molti vivono sotto scorta. In Italia, soltanto lo scorso anno, ne sono stati minacciati 76 e diversi sono sotto protezione.