Renata Salecl. Più scelta più libertà?

Siamo davvero in grado di determinare la nostra vita? La grande varietà di scelte offerte dalla società dei consumi ci rende più liberi e felici?
28 Giugno 2011 | di

Comprare una lavatrice. Sembra banale, ma poi c’è il modello a carica frontale o quello dall’alto, quello da 700 o 1.200 giri di centrifuga, quello da 5, da 7, da 8, da 11 chilogrammi di carico, quello col cestello a nido d’ape, magari collegabile ai pannelli solari, col motore inverter direct drive, col programma allergia e sicurezza bambini, con l’opzione vapore, il sensore antischiuma, il sistema pesatura di carico e così via complicando.

D’improvviso un semplice acquisto si trasforma in un esame universitario, con l’acquirente che sbircia sottecchi l’impassibile commesso – l’autorità in campo – nel tentativo di capire se darà il consiglio giusto o se è disposto a immolare sua madre pur di vendere la lavatrice più cara. Inevitabile un senso d’inadeguatezza per essersi presentati all’appuntamento con la scelta, non sufficientemente preparati. Non c’è campo della nostra vita in cui questa scena non si ripeta. Poco male se si tratta di una lavatrice, ma se invece le scelte in questione sono quelle destinate a dirigere e motivare la nostra vita, dallo studio al lavoro, agli affetti, all’identità, il problema prende tutt’altro peso. Siamo davvero così liberi di scegliere? Le tante possibilità sono un vantaggio? Ci rendono più appagati e felici? A questi temi Renata Salecl, filosofa e sociologa slovena, ha dedicato tempo e studio. I risultati sono confluiti in un libro, uscito a marzo anche in Italia, dal titolo significativo La tirannia della scelta (Editori Later­za).

Msa. Professoressa Salecl, che cos’è la scelta per l’uomo contemporaneo?
Salecl. Sono giunta alla conclusione che sia una specie di ossessione pervasiva, direi un’ideologia. Ciò che più mi preoccupa è la discrepanza sempre più grande tra l’idea diffusissima che ogni cosa che ci riguarda dipenda da noi e la realtà delle scelte che possiamo effettivamente fare. Siamo bersagliati dalla propaganda che ci spinge a pensare il soggetto come totalmente libero, creatore unico della sua esistenza, forgiabile a misura di desiderio. Perché questo è ciò di cui ha bisogno la società dei consumi. Oggi si è spinti, per esempio, a credere di poter cambiare a piacimento il proprio corpo, prevedere la riuscita scolastica e sociale dei propri figli, prevenire l’invecchiamento e addirittura posporre la morte. Ci sentiamo un po’ tutti delle celebrità «potenziali». La realtà è invece che la nostra possibilità di scelta è molto limitata.

Ci limitano di più i fattori esterni o interni a noi?
Entrambi. Esempio lampante di impedimento esterno, specie in questo tempo di crisi, è la situazione economica del soggetto. Se ha un lavoro non ha tempo e modo di «godersi» la vita così come la pubblicità comanda; se, invece, il lavoro non ce l’ha, non ha la possibilità materiale di fare alcunché. L’ideologia della scelta, poi, si basa sull’assunto che le scelte sono razionali e che l’individuo può arrivare alla miglior sintesi di costo beneficio. Nella realtà le scelte, come ben sanno gli psicoterapeuti, sono in larga parte irrazionali: non è raro, per esempio, che gli individui scelgano persino contro il loro stesso interesse. Le scelte sono legate all’inconscio, sovente neppure noi stessi siamo in grado di giustificarle. Il nostro passato, la nostra cultura, le aspettative sociali e personali entrano inevitabilmente in gioco. Da insegnante di una scuola di economia mi è capitato molte volte di imbattermi in ragazzi che avevano iniziato quella carriera più per ottenere una posizione sociale che per vocazione. Il risultato – specie se l’agognata ricompensa non arriva – può essere devastante.

Quali sono le conseguenze più immediate di questo fenomeno sugli individui?
Innanzitutto una grande ansia, un profondo sentimento d’inadeguatezza che degenera sovente in un senso di colpa. Se tutto dipende dalle nostre scelte la responsabilità diventa schiacciante. Non a caso gli psicanalisti riferiscono sempre più spesso di persone che non sono in grado di fare alcun tipo di scelta. Ciò si riflette, per esempio, nell’incapacità d’impegnarsi sentimentalmente o di decidere di avere un figlio.

Ma cos’è che più blocca la scelta, l’eccessiva possibilità o la paura del fallimento?
Più che il fallimento o la molteplicità di scelta è l’incapacità di gestire il senso di perdita. Ogni scelta è la perdita di altre possibilità e si ha la sensazione che un’alternativa migliore sia pronta dietro l’angolo. Se mi sposo con una persona perdo idealmente la possibilità di altre relazioni magari migliori; se faccio un figlio perdo quella libertà che pensavo di avere. È come se noi volessimo prevenire anzi quasi predire le perdite future. Per esempio, fino a qualche anno fa vivevamo nell’illusione di poter controllare il mercato e le perdite finanziarie. Ci siamo abituati a credere che possiamo controllare ogni cosa.
Ciò ci spinge a cercare «la scelta ideale», perdendo in questa ricerca molto tempo ed energie. Inevitabilmente falliamo, ci sentiamo inadeguati e colpevoli, perché la scelta ideale è in genere fuori dalla nostra portata.

Che cosa fondamentalmente non riusciamo ad accettare?
Che la vita sia piena di contingenze, che sia imprevedibile, che i rischi siano parte di essa e che spesso lo sforzo di prevenirli sia vano. Proprio adesso con la crisi finanziaria sono stati molti i casi di persone che si sono rivolte agli oroscopi o ai guru. Ci sono amministratori delegati delle grandi compagnie che cercano una sorta di «consiglieri spirituali» che in ultima analisi li aiutino a prevedere il futuro. Mentre prolifera il mercato dei coach personali, dei libri di auto-aiuto e degli specialisti di ogni tipo. Insomma, da un lato abbiamo il mondo nelle nostre mani e dall’altro cerchiamo autorità che ci sollevino dal peso di scegliere. È un grande paradosso.

Accettiamo tutte queste pressioni perché non ne siamo coscienti o perché ci sono delle forze in campo più grandi di noi?
È una domanda molto difficile. L’ideologia funziona in un modo tale che ti avviluppa nella sua logica. Ripete costantemente i suoi dogmi e ci presenta la realtà che propone come ovvia. È difficile andare oltre questo velo di ovvietà, scoprire cosa c’è dietro. I media, e soprattutto la tv, ripropongono di continuo i modelli della società consumistica. Ricreano costantemente l’ideologia della scelta perché il capitalismo poggia sull’idea che tutto sia nelle tue mani. Che non sei solo un consumatore, ma sei un soggetto.

Perché nonostante lo stress, le frustrazioni e i sensi di colpa questa ideologia sopravvive?
Per rispondere faccio un esempio. Sempre più analisti sono testimoni del fatto che le persone che si rivolgono a loro, donne nella maggior parte dei casi, vengono con la lista delle proprie responsabilità, delle scelte sbagliate, dei loro enormi sensi di colpa per non essere una buona madre, una buona moglie, una buona lavoratrice, una donna sufficientemente attraente e giovane. Questa è una grande differenza rispetto al passato, quando invece si evidenziavano anche i problemi causati dall’educazione, dai condizionamenti sociali o da altri fattori esterni. Con questo voglio dire che se uno è concentrato solo sulle proprie scelte e conseguenti responsabilità tende a perdere di vista la visione d’insieme, a non considerare le responsabilità della società e quindi a non mettere neppure in conto la possibilità di un cambiamento delle condizioni di partenza. Se non sono riuscita è perché non sono stata in grado, non perché non ne avevo le possibilità all’origine. Ciò mantiene le cose esattamente come stanno. Ideologia inclusa.

Chi diventa consapevole ha però l’impressione che non si possa fare niente per uscire dal tunnel. È vero?
Io credo invece che si possa. Perfino per me scrivere il mio libro è stato liberatorio. Quando l’ho finito ho iniziato a percepire le scelte come esperienze più rare, sicuramente meno responsabilizzanti, nella consapevolezza che non tutto dipende da me. Oggi io stessa spreco molto meno tempo a decidere cose banali, perché tanto so che molte scelte non hanno basi così razionali, che in buona parte dipendono anche dall’inconscio, dal mio immaginario, dalle attese che io ho sugli altri o da quelle che gli altri hanno su di me.

Ma la nostra libertà ha bisogno di scelte.
È vero, non si può diven­tare soggetti senza la possibilità di scegliere. L’importante è non idealizzare le nostre scelte e concentrarsi su quelle che contano, quelle cioè da cui dipende davvero la nostra percezione di libertà.
Allo stesso modo bisogna accettare che un certo livello di ansia è lo scotto da pagare alla nostra libertà, perché comunque la scelta è rischio, anche se è fatta con più o meno consapevolezza.

Nella confusione delle tante scelte quotidiane, quali sono, a suo parere, quelle trascurate?
Le scelte che possono cambiare la realtà sociale. Abbiamo visto la loro efficacia di recente in ciò che è successo nel mondo arabo. Lì le idee di scelta e di libertà hanno davvero viaggiato insieme. Gli slogan di piazza Tahir in Egitto erano eloquenti: «Noi vogliamo scegliere il nostro destino», «noi vogliamo avere libertà». Io stessa, che sono cresciuta in un regime comunista, mai avrei pensato che sarebbe potuto cadere. Persino ciò che oggi appare un’utopia, per esempio un mondo con nuove regole, più attento alle diseguaglianze sociali e all’ecologia, potrebbe, grazie alle scelte, diventare possibile. È importante uscire dalle strettoie delle mille possibilità individuali e aprire l’orizzonte sul futuro, che è anche collettivo.
Il legame tra scelta e cambiamento è valido anche in psicoanalisi. Anche se le scelte sono spesso irrazionali, sono comunque foriere di cambiamento. Siamo talmente complessi che nulla può davvero predeterminarci, né la fa­miglia, né la cultura, né la biologia, tanto da essere liberi persino di creare le nostre sofferenze.
In questo contesto le società così come gli individui hanno la possibilità di cambiare: l’importante è sollevare il velo dell’ideologia.
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017