Ripartire da Ayama
Che cosa spinge due friulani a lasciare la propria terra – produttrice di grandi vini – e a trasferirsi in Sudafrica per aprire un’azienda vitivinicola ex novo? Chiedetelo ai coniugi Michela Sfiligoi e Attilio Dal Piaz, che dal 2008 vivono a Paarl, una località a cinquanta chilometri da Cape Town. In realtà, il colpo di fulmine per il «Continente nero» è scattato quattro anni prima, durante una vacanza con alcuni amici. «Ci eravamo innamorati del Paese e una sera, commentando quanto bello sarebbe stato avere la “scusa” di tornarci più spesso, abbiamo ipotizzato di aprire un’attività agricola/vinicola» ricorda oggi Michela, che in Friuli faceva lo stesso lavoro.
Nasce così Ayama. «È una parola Xhosa che vuole dire “qualcuno su cui contare” – aggiunge l’imprenditrice –. Quando abbiamo comprato l’azienda, abbiamo acquisito “una famiglia”: le cinquantacinque persone che vivevano qui. Parte di loro lavorava per i precedenti proprietari. Noi abbiamo creato una continuità, assumendo i loro figli e offrendo opportunità di crescita». Oggi Ayama conta ventitré dipendenti che lavorano nei campi, quattro in ufficio e due al management. Sono tutti sudafricani, dai 19 ai 55 anni. «Oltre all’olio e alla frutta, produciamo Chenin, Viognier, Pinotage, Merlot, Cabernet Sauvignon...». Ogni vino custodisce in sé un pizzico d’italianità. «Il prodotto di cui andiamo più fieri è il Vermentino. Siamo stati i primi a piantarlo nel 2014 e i primi a vinificarlo in Sudafrica» spiega la titolare, che non nasconde l’amore per il Paese d’adozione.
«In Sudafrica si vive molto bene, gli spazi, la natura, la genuinità delle gente... Sembra di stare nell’Italia degli anni ‘50-‘60. Qui la comunità italiana è ampia: comprende parenti dei prigionieri di guerra emigrati nel dopoguerra ed emigrati più recenti come noi – continua Michela –. Gran parte dei nostri amici, però, è locale. Anche se le due culture sono molto diverse, gli italiani sono davvero benvoluti! Certo, l’integrazione totale non è facile: richiede umiltà e l’abbandono di ogni pregiudizio». Michela parla con cognizione di causa. Lei che, assieme al marito e a un’altra famiglia, dal 2015 ha fondato un asilo-scuola per bambini svantaggiati che si occupa dei bisogni primari, a partire dalla nutrizione. «Qui a Paarl non esistono strutture pubbliche, i bambini vengono abbandonati a nonne e zie, perlopiù analfabete, e sono esposti a vari pericoli – conclude l’imprenditrice –. Al momento Perdjie segue trenta bambini, fornendo loro istruzione, cibo, trasporti… Un impegno che ci rende davvero molto orgogliosi».
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