Rivoluzioni di piazza

Nelle tante proteste locali, i giovani ci ricordano che l’uomo e la donna nascono liberi.
15 Gennaio 2020 | di

Se dite, magari con il sorriso sulle labbra, che «la morte è la vera nemica dei conservatori», non tutti apprezzeranno la battuta, invece proprio vera. Non penso – ho avuto modo di recente di parlarne su «La Stampa» – all’affresco del Trionfo della Morte di Palermo del XV secolo, di autore anonimo, che adorna la sala d’ingresso di Palazzo Abatellis e che si dice abbia ispirato a Pablo Picasso la monumentale composizione di Guernica, o all’enigmatico personaggio Morte, che gioca a scacchi col perplesso Cavaliere nel film di Ingmar Bergman. Penso allo studio dell’Università di Chicago, ormai in corso da mezzo secolo, che dimostra come ogni anno, con la scomparsa delle vecchie generazioni, le nuove assumano posizioni più aperte in politica, religione, diritti civili, sessualità, cultura, scienza.

Chiaro? Sembra un’apparente contraddizione ed è invece l’inesorabile motore del nostro tempo: i giovani cambiano il mondo a loro immagine, gli anziani cedono il passo con i loro valori, le loro idee, le loro utopie, belle o nefaste che fossero. Non è neppure una novità, già nel XIX secolo i giovani patrioti romantici sfidarono i poteri assoluti, rivendicando libertà, giustizia, fratellanza: ricordate Silvio Pellico? Lo abbiamo studiato a scuola leggendo Le mie prigioni, con il povero Pellico a scoprire, giorno dopo giorno, detenuto dagli austriaci nel carcere duro dello Spielberg, dopo i Piombi di Venezia, per reati di opinione, li definiremmo oggi, che anche tra gli aguzzini qualcuno aveva un cuore, che anche il «nemico» era composto da essere umani. Un secolo dopo, Nelson Mandela, ostaggio dei razzisti in Sudafrica, compirà lo stesso percorso politico e morale.

Che cosa accomuna dunque questi due animosi ragazzi, così diversi in apparenza, vale a dire il candido letterato piemontese che sfida l’occhiuta polizia austriaca e il colto avvocato sudafricano in lotta contro il regime dell’apartheid bianco? L’assoluta indifferenza – assoluta! – ai rapporti di forza vigenti, il non curarsi di chi ha la forza ma non la ragione, per concentrarsi a favore di chi rivendica i propri diritti, non importa quanto debole, solitaria, precaria, insostenibile sia la situazione.

I cinici, i fautori scettici della realpolitik, i colti analisti legati a un presunto pragmatismo che di concreto non ha nulla ma di conveniente tantissimo, la classe di intellettuali che domina le scene di commento della politica estera in Italia, avrebbero riso sia di Silvio che di Nelson, e li avrebbero – magari dopo un paio di righe di untuoso elogio – deprecati. Ma come? Non si rendono conto della situazione corrente? Vogliono davvero rompere lo status quo, l’egemonia dominante, la «stabilità» delle grandi potenze, la Storia?

La Storia, invece, ha un altro e ben diverso passo e non si cura, punto, di cinici e nichilisti. Il principe Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, nome icona della realpolitik, ammise che Le mie Prigioni di Pellico, mostrando al mondo il volto feroce dell’Austria, «ci era costato più di una battaglia perduta», mentre il Mandela, che i bianchi sudafricani chiamavano «boy», ragazzo, e costringevano a spaccare pietre in calzoncini corti, divenne presidente del suo Paese e martire per generazioni di uomini liberi.

Il paradosso Pellico-Mandela fugge a chi analizza le proteste in corso nel nostro pianeta, in tanti Paesi, in tante aree difficili, in città operose e campagne remote, su temi disparati dalla miseria all’ambiente, dalla libertà all’indipendenza, dalla scuola e i diritti delle donne alla tecnologia e le sue conseguenze. Gli analisti «realisti» ci spiegano che i ragazzi di Hong Kong non l’avranno mai vinta contro il Moloch della Repubblica popolare cinese, che la piazza di Beirut finirà, come sempre, nel sangue, che Greta Thunberg e la generazione che la segue sono illusi, che l’Egitto resterà dittatura militare, il Cile deve rassegnarsi al benessere solo per certe classi. Hanno torto perché, come Pellico, Mandela e i giovani dell’Ottocento e del Novecento non tennero conto dei «realisti» e scommisero sull’anelito insopprimibile di libertà degli esseri umani, oggi chi si batte per gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza, attuali oltre due secoli dopo la Rivoluzione francese, non calcola le proprie chances col metro meschino della convenienza, crede che i principi valgano la vita stessa.

Quello spirito, che sembrava spento nell’era della crisi, del cinismo nichilista e degli algoritmi ubiqui di Google, Facebook, Amazon e Twitter, torna a soffiare possente, impaurendo despoti e irritando intellettuali pantofolai, ma incoraggiando, ovunque, donne e uomini liberi. Le elezioni per i Consigli distrettuali a Hong Kong erano noiosa routine per decidere sull’uso dei clacson in strada, roba minore, ma il mese scorso oltre un milione e duecentomila cittadini si son messi in fila per votare, il doppio del 2015. Hanno rischiato lavoro e galera per mandare due messaggi: il primo, di solidarietà, agli studenti che da mesi chiedono il rispetto per la Basic Law, la Costituzione locale, il secondo al presidente cinese Xi Jinping, perché imponga alla leader della città-stato ex colonia britannica, Carrie Lam, di non soffocare nel sangue la battaglia per i diritti civili dei ragazzi, a lungo asserragliati al Politecnico.

I giovanissimi seguono Greta Thunberg nella crociata per un’economia verde, fino a portarla sulla copertina del settimanale americano «Time» come «persona dell’anno 2019», mentre da noi in Italia i parrucconi la insultano.

(...)

Ciascun movimento ha obiettivi, culture, organizzazioni diverse. Non fate dunque del 2019 la copia digitale del 1968, usano le app non i volantini. Per giudicare chi va in piazza, tenete presente che il mondo non è mai stato così giovane, siamo in 7,7 miliardi e il 41 per cento di noi ha meno di 24 anni. In Africa il 41 per cento della popolazione ha meno di 15 anni, mentre Europa, Giappone, Usa e presto Cina, invecchiano.

Pensiamo, come re, imperatori e zar degli ingialliti dagherrotipi, di ingabbiare la libertà? Possiamo cedere alla Morte, La livella della struggente poesia del comico napoletano Totò, il compito di cambiare il mondo, o vogliamo ascoltare figli e nipoti? L’egemonia dei despoti, che sembra dominante nelle grandi dittature e seducente anche nelle democrazie, alla fine cederà il passo: perché nelle tante proteste locali, ragazze e ragazzi, come Silvio e Nelson, incuranti dei parrucconi, ricordano che l’uomo nasce libero.

L’intero dossier è pubblicato sul numero di gennaio 2020 del Messaggero di sant’Antonio e sull’edizione digitale del numero, che puoi provare gratuitamente cliccando qui.

Data di aggiornamento: 15 Gennaio 2020

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