Samaritani dei nostri giorni
Immagina di sentire il campanello della porta di casa tua suonare alle cinque del mattino, di aprire stralunato in pigiama e trovarti davanti una squadra della Digos e della divisione antiterrorismo che ti sbatte in faccia un mandato del giudice per perquisirti l’abitazione. Immagina di avere 84 anni, una vita di lavoro pubblico alle spalle e una moglie di 65 anni attonita in vestaglia accanto a te che osserva quella squadra frugarle la casa stanza per stanza mentre il sole non è ancora sorto, come si fa con i mafiosi latitanti o i trafficanti di droga. Come ti sentiresti? Probabilmente in modo non molto diverso da come si sono sentiti i pensionati triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, professore di filosofia lui e psicoterapeuta lei, quando, all’inizio dell’anno, si sono visti trattare come criminali perché – questa era l’accusa – sospettati di aver favorito l’immigrazione clandestina. La ragione di quell’irruzione stava anch’essa in pigiama nella camera degli ospiti, dove quella notte avevano dormito quattro persone: una mamma, un papà e due bambini di 9 e 11 anni, un’intera famiglia iraniana in fuga dalla povertà e dalle restrizioni del regime teocratico dell’ayatollah Khamenei.
Trieste di famiglie come questa ne vede molte, perché sul confine italiano rappresenta l’ultimo avamposto della cosiddetta rotta balcanica, la terribile via di terra usata dai migranti mediorientali per cercare di arrivare in Europa nella speranza di trovare condizioni di vita sicure. I fortunati che non vengono uccisi dalla fame, dal freddo e dalle mine anti-uomo o quelli che non sono catturati dalla polizia di qualche Stato intermedio riescono ad arrivare fino alla stazione giuliana e non è raro che in quel piazzale trovino proprio Gian Andrea e Lorena con il loro carrellino verde, imbaccucati fino agli occhi nell’inverno del Nord-Est, che servono tè caldo e offrono farmaci, vestiti e cibo a chi arriva. Li chiamano samaritani, lui per molti è «nonno Andrea», ma negli occhi di quell’anziano ex professore di filosofia non c’è solo la luce della solidarietà più umana. Sul tema del diritto a migrare i due coniugi si considerano attivisti politici e lui è convinto che sia proprio per questo che i poliziotti gli sono entrati in casa nella notte, come se lui e Lorena stessero progettando un attentato, anziché dare un tetto a due bimbi e ai loro genitori. «Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno con i migranti. Un impegno umanitario si limita a lenire la sofferenza senza tentar d’intervenire sulle cause che la producono. Un impegno politico, nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli uomini e della natura, portato al limite della devastazione, come la pandemia ci mostra».
Il dissenso di Gian Andrea e Lorena è organizzato e sistematico. La loro casa è un’abitazione privata, ma è anche la sede dell’associazione Linea d’ombra, che coinvolge molti volontari e si occupa specificamente di dare tutto il sostegno possibile ai sopravvissuti alla traversata dei boschi balcanici. The game, così lo chiamano il percorso a ostacoli di quella rotta, e non è facile farlo restando dentro i confini della legge, perché tutti gli Stati europei in un modo o nell’altro si sono ingegnati in questi anni per rendere i profughi illegali e poterli così rispedire alle rispettive zone di provenienza come clandestini. Lo sanno bene le organizzazioni Ong che presidiano, nei limiti del possibile, l’altra grande rotta, quella del Mediterraneo, che una delle strade seguite dai governi europei in questi anni è stata proprio quella di includere nella criminalizzazione non solo i migranti, ma anche chi li aiuta salvando loro la vita o offrendo riparo. Per questa ragione l’associazione fondata da Gian Andrea e Lorena già in altre occasioni è stata oggetto delle indagini degli inquirenti, tutte risolte in un nulla di fatto, perché le leggi internazionali del diritto umanitario hanno sempre avuto la meglio sui tentativi nazionali di rendere la migrazione un reato.
Nel frattempo, però, nulla vieta alle forze dell’ordine di svegliare nel cuore della notte chi ospita una famiglia disperata, di sequestrare computer e cellulari e di violare l’intimità della casa alla ricerca delle prove di collusione con i cosiddetti passeur, i trafficanti di persone, che speculano sulla disperazione dei migranti chiedendo denaro per la loro traversata. C’è sicuramente chi guadagna in modo illegale dal bisogno dei profughi di arrivare in un luogo sicuro, ma questo è possibile solo per una ragione: i governi del vecchio continente hanno reso impossibile arrivare in Europa in modo legale, chiudendo tutti i corridoi umanitari e costringendo le persone a cercare per disperazione ogni mezzo per mettersi in salvo. Con ogni probabilità anche questa volta le accuse cadranno e domani si ricomincerà da capo, ma il sito dell’associazione di Gian Andrea e Lorena riporta con amarezza una considerazione che resta lì come monito: «Oggi la solidarietà è perseguita più dell’apologia di fascismo». Non è facile smentire questa affermazione, perché in quella casa triestina alle cinque del mattino è andata in scena la dimostrazione che per l’Occidente ricco, la povertà e chi l’accoglie sono molto più spaventosi dell’eversione.
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