Se questo è un uomo

06 Giugno 2002 | di

I pazienti giacciono due per letto e sul pavimento, aspettando di andare a morire a casa. Lenzuola a brandelli portate dai parenti avvolgono i corpi disidratati`€¦ I rumori di sega e martello nelle strade testimoniano i crescenti affari dei fabbricanti di bare della capitale. Gli uffici pubblici stentano a funzionare. Molti impiegati sono impegnati a seguire i funerali e a piangere i parenti. Gli affari sono compromessi. Vengono a mancare le persone chiave.


Non è una pagina manzoniana dei Promessi sposi, ma un trafiletto ricavato da un articolo del giornale sudafricano The News Gazette del 25 ottobre 1998. Emblema della tragedia che si sta consumando nel continente nero.

L";Africa sta affondando sotto il peso dell";Aids. Su 40 milioni di sieropositivi e ammalati nel mondo, più di 28 milioni vivono nei Paesi a sud del Sahara. Quasi tutti moriranno entro il 2010, lasciandosi alle spalle 40 milioni di orfani e nazioni in ginocchio. I lavoratori muoiono. Il personale specializzato è sempre più raro. Le fabbriche chiudono. I pochi servizi scolastici e sanitari collassano. L";Africa è all";anno zero dello sviluppo. E l";aspettativa di vita, in alcuni Paesi, si avvia a scendere a 30 anni, con la popolazione tra i 15 e i 49 anni praticamente decimata.

Dati che fanno rabbrividire, e che per questo sollecitano le coscienze: è troppo tardi per fare qualcosa? Dobbiamo stare a guardare? Chi ci può aiutare? Da queste domande è iniziata la ricerca che ha portato la Caritas antoniana a sostenere i tre progetti che vi proponiamo questo mese in cui si ricorda sant";Antonio. Tre possibili risposte, studiate assieme ai medici missionari, in Tanzania, Angola e Kenya.

L";Aids si può combattere

I tre progetti hanno un unico punto di partenza: l";Aids in Africa non è solo un";emergenza sanitaria, è anche un problema sociale ed economico. Le soluzioni, quindi, non possono essere solo mediche. Occorre prendersi cura del malato dai suoi bisogni fisici a quelli psicologici, a quelli pratici: cibo, riparo, figli da mantenere. Come può, infatti, un malato ristabilirsi da una patologia correlata, cioè provocata dal virus Hiv, se non ha nulla da mangiare o non ha acqua potabile da bere? Che solitudine tremenda deve provare una donna in gravidanza che scopre di essere sieropositiva senza avere i mezzi per salvare il nascituro, né forse il tempo per vederlo crescere?

I medici missionari sperimentano ogni giorno sul campo che c";è un solo modo per trovare una via africana nella lotta all";Aids: costruire reti di servizi, facendo leva su tutte le risorse disponibili nei luoghi d";intervento. Si tratta, per esempio, di creare strutture che mettano insieme più associazioni o attività  all";interno di una comunità : servizi sanitari, psicologici, d";informazione e di consiglio, ma anche di prevenzione, di distribuzione di cibo e vestiti, di raccolta fondi per mandare a scuola i figli dei malati, di ricerca di una sistemazione per gli orfani. Al livello più alto della rete ci sono i servizi di microcredito, cioè un sistema di piccoli prestiti per finanziare attività  produttive che tolgano dalla miseria e dall";emarginazione i sieropositivi.

I farmaci non bastano

Una soluzione più volte proposta per combattere l";Aids, prevede l";utilizzo in Africa della terapia con gli antiretrovirali, che sta salvando i malati in occidente. La cosa è sembrata possibile quando lo scorso anno, il Sud Africa di Mandela ha vinto la causa contro le multinazionali del farmaco, per superare la norma sui brevetti e produrre o importare le nuove medicine a basso costo. Tra le multinazionali s";è allora scatenata una corsa al ribasso. Oggi la terapia che in occidente costa dai 9.500 ai 23.500 dollari all";anno per paziente, in Africa si può ottenere con 200/300 dollari. La cifra è comunque altissima per Paesi in cui ancora si muore di morbillo, quando per prevenirlo, basterebbe un vaccino che cosa appena 15 centesimi di euro.

Ma se anche questi farmaci piovessero dal cielo non farebbero sopravvivere i malati. L";Aids è una patologia complessa. Gli stessi antiretrovirali sono tossici, persino letali. Richiedono analisi di laboratorio e personale medico specializzato. Se la terapia non è seguita correttamente, può creare in breve tempo ceppi di Hiv resistenti anche a questi farmaci. Si può curare una malattia così complicata senza una rete di assistenza sanitaria e un minimo di tecnologie, e soprattutto senza riempire le pance degli affamati?

In realtà  l";Africa che muore di Aids è il risultato degli enormi squilibri economici che relegano a pochi le ricchezze mondiali e i benefici del mercato globalizzato. Trovare una soluzione al problema è molto più difficile che istituire un fondo o inondare l";Africa di medicine miracolose.

Un virus chiamato povertà 

Il motore dell";epidemia è la povertà . E due suoi sottoprodotti: la debolezza economica e sociale della donna e lo smantellamento dei servizi, specie di quelli sanitari. La povertà , l";esclusione dalla scuola e dal lavoro rendono le donne socialmente deboli e in balia di violenze e sfruttamento sessuale. L";ignoranza sul virus e la conformazione dell";organo sessuale femminile aggravano la possibilità  d";infettarsi. Con risvolti drammatici. Nell";Africa sub-sahariana il 55% dei sieropositivi sono donne in età  fertile. Il rischio di trasmettere il virus al bambino durante la gravidanza, il parto e l";allattamento varia dal 25 al 40% a seconda delle zone. Il 30% dei neonati sieropositivi sviluppa la malattia entro il primo anno di vita. Il 90% dei bimbi infetti muore prima dei cinque anni.

L";Aids uccide indirettamente anche i bambini sani che rimangono orfani perché, per molti, la madre è l";unica fonte di sopravvivenza.

La scarsa presenza o l";assenza di servizi sanitari, è stata esasperata dall";Aids ma riguarda tutta la medicina di base in Africa. Nel continente, prima che di Aids conclamato, si muore di malaria, di tubercolosi, di parto.

Come si può combattere un nemico così forte se, per esempio, non si aiuta la donna africana ad emanciparsi o se non si ricostruisce un servizio sanitario di base?

L";alba della sanità  africana

Poiché la povertà  e tutte le sue conseguenze non si cancellano con un tratto di penna, c";è un solo modo per fermare il male: agire immediatamente usando le risorse umane ed economiche a portata di mano, cioè le reti di servizi. Ciò significa capovolgere il proprio punto di vista: guardare l";Africa per quanto possibile con gli occhi degli africani, senza voler imporre modelli sanitari lontani anni luce dalle possibilità  di quei popoli. Le reti di servizi, infatti, rispettano il senso di appartenenza a una comunità , tipico della cultura africana.

Su quali punti possono far forza queste reti di servizio? Innanzitutto sulla prevenzione: la maggior parte dei sieropositivi non sa di esserlo. Né vuole saperlo per paura dell";emarginazione. Per cui tende a ripetere comportamenti a rischio che diffondono il virus. Eppure, dove i governi hanno attuato campagne d";informazione e di prevenzione sull";Aids, i risultati sono stati eccezionali.

La via secondaria potrebbe essere definita come limitazione del danno: è il tentativo di allungare e migliorare la vita dei malati, trattando le malattie correlate all";Aids, e di prendersi cura dei superstiti e degli orfani. Un po"; come farebbe una famiglia allargata africana. Una madre che sospetta di essere sieropositiva sarà  disposta a fare il test e un eventuale cura per salvare il bambino se sa che il centro sanitario può allungarle la vita, darle alcuni alimenti di base (farina, zucchero), occuparsi, un domani, del figlio. Altrimenti perché sapere una verità  così terribile che, per giunta, la condannerebbe all";emarginazione?

Tutte queste attività  possono essere inserite in un lavoro di rete. Perciò i nostri interlocutori saranno il Cuamm, medici per l";Africa, una ong (Organizzazione non governativa) di medici missionari che opera in Africa da 52 anni e i missionari medici legati ai Comboniani e alla Consolata.

All";interno di queste esperienze di missione, appoggeremo le attività  che mirano a salvare il maggior numero possibile di bambini: i programmi di riduzione della trasmissione dell";Aids dalla madre al neonato, e la cura della tubercolosi, malattia che è un potente veicolo per l";infezione. I piccoli, infatti, sono le vittime più deboli di questa tragedia. Faremo di tutto per assicurare loro una vita senza Aids, passata il più a lungo possibile accanto alle madri o almeno a persone che possano dare loro affetto e sostegno.

Appoggiare questi progetti è molto di più che costruire un ospedale o mandare qualche medico. Significa creare le basi di una grande speranza. Significa essere i protagonisti della costruzione di un nuovo modello sanitario africano. Significa salvare migliaia di vite. Significa assicurare un futuro a tanti bambini. Significa, infine, avere la possibilità  di non essere più spettatori impotenti di una grande tragedia, ma attori di sviluppo reale.

Non ci avete mai lasciati soli. Insieme abbiamo affrontato grandi sfide. Siamo sicuri che, grazie al vostro aiuto, questo 13 giugno, festa di sant";Antonio, può diventare l";alba di un sogno: una nuova Africa, libera dall";Aids.

(Fonti: Cuamm, Unaids)

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017