Seminare la pace nei «barrios» di Bogotà
La Colombia è il Paese dell'eccesso: ha la più forte disuguaglianza tra ricchi e poveri all'interno dell'America Latina, sta subendo da oltre quarant'anni la più lunga guerra civile del mondo, è il primo produttore di cocaina del globo, ha il record assoluto dei sequestri a scopo d'estorsione ed è tra i Paesi con più vittime tra i sacerdoti, i sindacalisti e i giornalisti.
Violenza, crimine, povertà , corruzione e interessi internazionali creano un intreccio micidiale difficile da capire, tanto che ormai si parla di «caso Colombia», come di un caso disperato e inestricabile.
La guerra civile inizia nel 1964 con la costituzione delle Farc, Fuerzas armadas revoluzionarias colombianas, di ispirazione marxista, ancor oggi il più importante fronte della guerriglia antigovernativa, nata per questioni di giustizia sociale ma, di fatto, diventata nel tempo una delle forze in campo per il controllo del narcotraffico. Negli anni Ottanta, al conflitto si sono aggiunte le Auc, Autodefensas unidas de Colombia, i gruppi paramilitari di destra, anch'essi illegali ma spesso appoggiati tacitamente dalle forze armate. Lo stato, a sua volta, si è unito agli Usa (Plan Colombia ) per una guerra senza quartiere al narcotraffico, senza, però, un piano efficace per eliminare le cause di povertà e agevolare la riconversione delle colture di coca con altre colture economicamente vantaggiose, come suggeriva l'Onu già nel 1998 e come ancor oggi insistono le Ong.
Una situazione esplosiva che ha finora prodotto migliaia di morti e due milioni di profughi interni (desplazados ), in fuga dalla miseria e dalla violenza sommaria delle squadre armate. Il risultato è un popolo lasciato a se stesso, tormentato dal sospetto, costretto a convivere con la violenza, l'assenza di servizi e la povertà .
Eppure la società civile non cede, si è organizzata in una rete di associazioni, ha sete di pace e di giustizia e ha trovato appoggio nella chiesa colombiana. Una lotta silenziosa, fatta insieme, per seminare la pace. Uno di questi seminatori è padre Pio Battaglia , scalabriniano, da un anno e mezzo parroco della parrocchia Beato Scalabrini della capitale, Bogotà , «l'unica - afferma con un pizzico di orgoglio - a portare il nome del nostro fondatore». Una parrocchia giovane (sorta nel 1999) e poverissima: 50 mila persone, in maggioranza desplazados, cioè profughi, con un tasso di disoccupazione del 25 per cento e situazioni igieniche disperate. «La parrocchia è tra due fiumi - spiega padre Pio -. Spesso le strade di terra si riempiono di liquami». Le case sono poverissime. Mancano i servizi. I nove barrios , cioè quartieri, della parrocchia sono stati dichiarati ad alto rischio anche per il livello di violenza, abuso di droga e alcol, criminalità e omicidi.
Ma padre Pio non lascia spazio allo sconforto. Di lui colpisce la serenità quasi serafica: «La mia gente ha un grande vantaggio: ha coraggio, voglia di reagire, è creativa e laboriosa. Ha una discreta cultura, crede nell'educazione dei bambini e, se la appoggi, ha una grande capacità di risposta». I suoi parrocchiani vanno a servizio nelle case dei ricchi, lavorano nelle piantagioni di fiori, moltissimi si dedicano al riciclaggio dei rifiuti e al piccolo commercio: «Vi assicuro, difficilmente un colombiano muore di fame: è sveglio, pronto, intraprendente».
L'intraprendenza dei parrocchiani purtroppo cozza con l'immobilismo del governo e su questo punto la serenità serafica di padre Pio viene un po' meno: «Qui c'è una sola scuola pubblica. Troppo poco! Ben 1700 bambini rimangono fuori nonostante i genitori facciano di tutto per mandarli a scuola. Non c'è uno straccio di aiuto, di impianto sportivo o formativo. I ragazzini ciondolano per le strade, con tutti i pericoli che ci sono!».
Si accorge, padre Pio, che deve dare un segno: «La gente si aspetta molto dalla Chiesa, perché lo Stato li ha abbandonati a se stessi nella salute, nel lavoro, nell'educazione». Comincia dal «dar da mangiare agli affamati» e apre una mensa, sei giorni su sette, per i 300 bambini più poveri della parrocchia. Poi assiste con pacchi di cibo e vestiario 370 famiglie. Per i ragazzi apre una biblioteca. Con l'aiuto degli amici, compra dei terreni e costruisce sale per la catechesi, l'animazione e il culto. Infine, crea una scuola per la formazione dei catechisti e dei gruppi parrocchiali. La parrocchia comincia a pulsare di nuova vita. Raddoppia il numero dei battesimi, delle comunioni e delle cresime. Ma a padre Pio rimane un cruccio, quei 1700 bambini senza scuola per le strade del barrio : «Volevo aprire a tutti i costi una scuola elementare per almeno 400 bambini e magari, con il tempo, estenderla ad altri 400, organizzando dei turni. Avevo a disposizione tredici aule di catechismo, tanto valeva usarle pienamente». Cerca finanziamenti, ma questa volta fa fatica.
Si rivolge a Caritas antoniana: chiede circa 8 mila euro per i banchi, le cattedre, gli scaffali, un computer, tutto di seconda mano, e una piccola quota per dare un riconoscimento agli insegnanti volontari. «Siete la mia ultima ancora di speranza. Il cuore mi dice che sarò aiutato», scrive nella sua ultima lettera.
È qui, a Padova, quando la Caritas antoniana gli accorda l'aiuto. Gli ridono gli occhi azzurri mentre lo racconta. Non vede l'ora di dirlo alla sua gente. Scrive nel luglio scorso, dopo aver ricevuto l'aiuto: «Vi ringrazio per la fiducia che riponete in me. Farò in modo che non si perda neppure un euro. Devo fare in fretta, quei bambini aspettano là fuori».