Staminali emopoietiche: donarle è più facile
È il 1992. A Cagliari il professor Licinio Contu, genetista e fondatore in Sardegna del primo registro di donatori di midollo osseo in Italia, sta per attuare quella che oggi ricorda, ridendo, come una delle tante «ribellioni» della sua carriera di medico e scienziato. Ha scoperto che una donatrice del suo registro ha il midollo osseo perfettamente compatibile con quello di una bimba malata di talassemia (forma di anemia ereditaria). Un raro caso di donatore HLA identico, per dirla in termini medici. È una fortuna per la piccola, ma c’è un problema. Un trapianto di midollo da donatore non familiare non è mai stato fatto al mondo. Lui chiede autorizzazione. La medicina ufficiale alza gli scudi: è troppo rischioso. Ma il dottor Contu non è di quelli che si arrendono. In Sardegna a quel tempo ci sono 1.600 piccoli pazienti talassemici, per il 70 per cento di loro non esiste cura, perché non hanno la fortuna di avere tra i familiari un donatore HLA identico. La maggior parte morirà entro i 3 anni, gli altri quasi tutti entro i 14. Ha in più la certezza scientifica, maturata in tanti anni di ricerca, condivisi anche con il premio Nobel 1980 Jean Dausset (proprio lo scopritore del sistema HLA, che misura la compatibilità tra donatore e ricevente), che l’intervento funzionerà. La burocrazia non è l’unico ostacolo. La donatrice gli rivela che non può effettuare l’intervento: deve donare una parte del fegato alla figlia. Eppure, a breve distanza di tempo dal primo trapianto, la donna dona anche il midollo alla bambina. E la salva. Un atto di coraggio, che cambia la storia di quel pezzo di medicina e aiuta a spianare la strada all’utilizzo più diffuso delle cellule staminali emopoietiche, presenti soprattutto nel midollo osseo e nel cordone ombelicale, per la cura delle malattie del sangue.
Cellule magiche
«Si tratta – spiega il professore – di cellule immature che hanno due caratteristiche: si autoripriducono, cioè creano cellule emopoietiche immature identiche a se stesse, e nello stesso tempo tendono a diventare cellule mature specializzate del sangue, come globuli rossi, linfociti T, piastrine...». Per semplificare: sono le madri di tutte le cellule del sangue. Ma, allo stesso tempo, sono anche figlie di se stesse. «L’autoriproduzione è fondamentale, altrimenti il ricambio cellulare si fermerebbe. Per esempio, i globuli rossi vivono in media 120 giorni, poi vengono rimpiazzati dalle staminali emopoietiche autoriprodotte. Sono stato chiaro?». Il professore spiega, rispiega, sminuzza, assembla, semplifica, farebbe qualsiasi cosa purché la magia di quelle cellule entri nelle nostre menti e diventi un mezzo a nostra disposizione per difendere la vita. «Sono uno scienziato cattolico – ci tiene a specificare –. Due valori hanno guidato il mio percorso di medico: la verità scientifica e il bene del malato». In tanti anni ha visto migliaia di speranze scolorire e riaccendersi nei volti dei suoi pazienti. Conosce l’angoscia dell’attesa, il pendolo delle emozioni: «Donare parte di sé a chi ha bisogno è il più grande atto d’amore per gli altri, ma anche per se stessi. È un compimento d’umanità».
Ancora pochi i donatori
Oggi, a 88 anni, il professore è presidente dell’Adoces, Federazione di associazioni di donatori di cellule staminali emopoietiche, che ha appena compiuto 10 anni. Ma a lui sono collegati altri due importanti compleanni del 2017: il primo registro di donatori di midollo osseo e il primo trapianto di midollo da familiare in Italia, tutti e due datati 1987. Nessuno meglio di lui può quindi spiegare com’è la situazione italiana in materia. I donatori di midollo osseo iscritti al registro italiano sono circa 387 mila, un numero in linea con la media Ue. Le sacche di cellule staminali da cordone ombelicale conservate nelle banche italiane sono appena 37 mila, nonostante le donazioni di cordone ombelicale siano molte di più. È chiaro che meno sono i donatori dell’una e dell’altra fonte di staminali emopoietiche, più difficile è trovare un donatore compatibile per chi ha malattie come leucemie, linfomi o mielomi. Fuori della cerchia dei familiari, infatti, ogni malato ha solo una possibilità su 100 mila di trovare un donatore compatibile.
Chi può donare
I donatori di cellule staminali emopoietiche sono di due tipi: i neonati con il loro cordone ombelicale, «non le mamme come comunemente si pensa, anche se sono loro a concedere questa donazione» chiarisce Contu; e, secondo tipo di donatore, l’adulto tra i 18 e i 35 anni, in buona salute, che si iscriva al registro di donatori di midollo osseo del proprio Paese. Tutti i registri del mondo sono collegati tra di loro, per cui in teoria ogni donatore può donare a qualsiasi malato del pianeta. C’è però un’eccezione: «Nel caso si ammali un familiare, il congiunto che dovesse risultare compatibile può avere qualsiasi età». Nella cerchia dei familiari, infatti, ogni persona ha una possibilità su quattro di avere un donatore compatibile.
Come l'aferesi delle piastrine
Fin qui i numeri. Ciò che più stupisce è la scarsa informazione dell’opinione pubblica su come oggi avviene il prelievo di cellule staminali emopoietiche negli adulti: quasi mai da midollo e con anestesia totale. Il metodo di oggi è molto meno invasivo. Lo spiega il professore: «Si somministra al donatore un prodotto biologico, che ha il potere di far “traslocare” le cellule staminali dal midollo al sangue periferico. Al quinto giorno si preleva il sangue da una vena del braccio, lo si fa passare attraverso un apparecchio simile a quello dell’aferesi delle piastrine, che separa le staminali emopoietiche dalle altre cellule. Le staminali finiscono in una sacca, mentre le altre cellule vengono reintrodotte nell’organismo del donatore». I rischi sono minimi e si presentano solo quando non si seguono con scrupolo le prassi stabilite per la donazione. E tuttavia le donazioni fanno fatica a crescere: «387 mila donatori sembrano tanti – continua Contu –, ma non è così. Il 75-80 per cento dei trapianti in Italia vengono da donatore straniero, a costi elevatissimi per la nostra sanità. Ci sono Paesi come la Germania, unica in Europa ad avere un registro di 4,5 milioni di donatori. Il che significa che è possibile attuare politiche sanitarie diverse a beneficio dei malati e delle casse dello Stato».
Cellule da difendere
Ma la nota dolente per il professor Contu sono le cellule staminali emopoietiche provenienti dal sangue cordonale. Solo 20, 30 trapianti su 800 in Italia vengono da questa fonte. Perché? Sono meno efficaci? Sorride amaramente il professore: «No, tutt’altro. Le cellule staminali del cordone ombelicale sono le più tollerate dall’organismo ospite. Sono infatti un po’ più immature rispetto a quelle degli adulti e contengono un alto numero di linfociti T regolatori», caratteristiche che riducono al minimo le possibilità di rigetto e di complicazioni. E allora perché? Per un attimo scende il silenzio, poi ponderando ogni parola riprende: «È difficile semplificare, ma ci provo – ammette –, è importante che io ci riesca, così magari vi aiuto e mi aiutate a difenderle». È un medico di 88 anni che parla come un patriarca. Ancora spiega, rispiega, semplifica, senza mai un velo di saccenteria. Nella mente si materializzano le cellule di un bambino che nascendo dà la vita: che strana immagine natalizia può dare la scienza. «Come le dicevo, le cellule del cordone ombelicale sono le più tollerate dal ricevente, così si è imposta l’idea che il trapianto da cordone ombelicale sia più facile anche se non c’è un’alta compatibilità. E così al cordone si ricorre come a un’alternativa se gli ematologi non trovano nel registro dei donatori di midollo osseo un soggetto HLA identico». Solo che trapiantare cellule non totalmente compatibili, seppur da sangue cordonale, comporta una complicazione: «Per poter avere maggiori possibilità di successo c’è bisogno di un altissimo numero di cellule staminali, che solo pochissimi cordoni hanno. Per questo ne conserviamo così pochi, con il rischio che le mamme si disamorino di un atto tanto prezioso». Ma con il rischio anche che i pochi trapianti non giustifichino più gli alti costi delle banche del cordone ombelicale.
Rivalutare il sangue del cordone ombelicale
La via d’uscita c’è, e come spesso gli è successo, è controcorrente: «L’ho detto di recente in una riunione a Cagliari di medici e ostetriche: “Conservate il maggior numero possibile di sacche cordonali”, anche se hanno quantità di staminali più basse. Se invertiamo la tendenza, presto avremo 150 mila, 200 mila sacche e sarà più facile trovare donatori HLA identici. In questi casi il numero di cellule staminali non è più importante per il buon esito del trapianto». Non è l’unico vantaggio: «Un trapianto da donatore HLA identico con cellule cordonali permette in genere di cessare nel tempo l’assunzione di farmaci antirigetto, cosa impossibile con donazioni non perfettamente compatibili. E poi… – fa fatica a trattenere lo sdegno – la via che è stata presa è anche poco scientifica: recenti ricerche dimostrano che, in caso ci sia bisogno di un numero più elevato di staminali, è possibile utilizzare due sacche di sangue cordonale, anche se non sono perfettamente compatibili tra di loro».
Non ha intenzione di arrendersi il professor Licinio Contu, ancor meno alla sua età: «A breve andrò a Roma, al Centro nazionale trapianti dell’Istituto superiore di sanità. Ormai sa anche lei che cosa andrò a dire». C’è un punto all’ordine del giorno che proprio non gli va giù: «Quale futuro per le Banche del cordone ombelicale?». Conclude risoluto: «Bene, quel punto di domanda non promette nulla di buono. E per quanto mi riguarda è di troppo». N