Sulle tracce di sant’Antonio
L’Ordine dei frati minori conventuali ha tenuto ad Assisi, a cavallo tra il maggio e il giugno scorsi, il Capitolo generale che ha eletto il nuovo Ministro generale nella persona di padre Marco Tasca, precedentemente Ministro provinciale a Padova. Lo abbiamo incontrato.
Msa. Padre Marco, come ha accolto questa elezione?
Padre Tasca. Con la consapevolezza che il Signore guida la mia vita. Lui ci ha assicurato che sarà con noi fino alla fine dei tempi. È un segno di fiducia anche da parte dei tanti fratelli che sento vicini e che mi hanno appoggiato e aiutato. Ho accolto la mia elezione come una sfida per testimoniare, con tutti i frati, che il carisma francescano ha ancora una grande attualità.
Che cosa significa essere francescani nel mondo di oggi?
Ce lo diceva fra Felice Cangelosi, il vicario generale dei cappuccini, che ci ha aiutato a entrare spiritualmente in questo capitolo: viviamo in un mondo caratterizzato, almeno in Occidente, dall’offuscamento della speranza, dall’agnosticismo pratico e dall’indifferentismo religioso. Credo che la cosa più bella che noi possiamo regalare, come francescani, sia l’annuncio che vale la pena vivere per il Signore Gesù, vale la pena vivere come Lui chiede, fidandosi della sua parola.
Lei proviene dalla Provincia Patavina sede delle opere antoniane e del «Messaggero di sant’Antonio». Pensa che il ruolo delle comunicazioni sociali sia importante nell’Ordine francescano, in riferimento anche all’esperienza vissuta da san Massimiliano Kolbe?
In un mondo globalizzato come il nostro, la comunicazione occupa uno spazio fondamentale. L’esperienza di padre Kolbe insegna che i mezzi di comunicazione posti al servizio del Vangelo possono diventare eccezionali veicoli di catechesi. L’Ordine ha già accolto questa sfida e porta avanti diverse iniziative di carattere locale, ma da questo Capitolo è emersa l’esigenza di potenziare anche un centro di comunicazione dell’Ordine.
Cosa porterà a Roma della sua esperienza come Ministro provinciale a Padova?
Vivendo le feste di sant’Antonio in mezzo alla gente venuta da tutto il mondo, innanzitutto mi ha sempre colpito l’enorme fiducia che le persone hanno nella sua figura e nei suoi frati. Il secondo aspetto riguarda l’attualità del messaggio antoniano, che si riassume nel motto scelto durante il centenario del 1995: «Sant’Antonio, Vangelo e Carità». Antonio ha ancora molto da dire agli uomini del nostro tempo. Basta osservare le testimonianze artistiche che circondano la sua Tomba. Il suo annuncio evangelico non è neutro o etereo, ma è molto attento a quello che il suo mondo esprimeva: i problemi legati alla giustizia sociale, all’usura, ma anche alla vita coniugale e alle relazioni famigliari così come la possibilità di fare scelte radicali, tutti aspetti della vita evangelizzati dal Santo. Questi bisogni di epoca in epoca mutano di espressione ma non di natura, e questo spinge a chiedersi come annunciare Gesù Cristo tenendo conto di essi in modo specifico. E poi c’è la carità. Ho visto come le persone, attraverso sant’Antonio, divengono molto attente ai bisogni degli altri. La gente fa del bene attraverso il Santo e chiede a noi, suoi frati, di fare altrettanto mediante i contributi che riceviamo. Come Provinciale ho toccato con mano quanto bene fa sant’Antonio nel mondo. Come Generale avrò modo di constatarlo in misura maggiore. A Roma mi porterò anche la testimonianza di una fede vissuta, fatta di piccoli segni: la mano sulla tomba, la preghiera scritta. Qualcosa di molto semplice, personale e profondo che esprime il proprio rapporto con il Signore attraverso sant’Antonio.
Sant’Antonio è un grande figlio di san Francesco…
Certo, e a pieno titolo. Pensiamo alla sua storia. Sant’Antonio ha sempre cercato di mettere in pratica la volontà del Signore: da monaco, da missionario, da frate, anche nei momenti di fallimento e di crisi. È la stessa dinamica di san Francesco: giovane agiato e brillante, ma scontento, che si mette in cammino lasciandosi interrogare dalla sua inquietudine. Ambedue sono «figli dell’inquietudine» che, con modalità diverse, li ha condotti a Dio. Oggi l’inquietudine viene trattata come una malattia da ignorare o, al massimo, da curare. Questi due uomini, invece, sono uniti da un atteggiamento di accoglienza, di ascolto e di ricerca inquieta che ha loro permesso di intraprendere un proprio originalissimo cammino contraddistinto dai tratti della loro irripetibile identità. Ad accomunarli è la passione per l’annuncio del Vangelo: semplice, incentrato sui vizi e sulle virtù per san Francesco, più dotto, più impegnato, più pastorale e «social-spirituale» quello di sant’Antonio. Due «inquieti di Dio» che seguono la propria strada aprendo vie nuove e creative per l’intera società dell’epoca, aiutati dalla passione per il silenzio e l’eremo. Medesimo, infine, l’atteggiamento di non condanna dei saraceni e degli eretici.
Il 17 giugno scorso il Papa è stato ad Assisi. Quale ripercussione può avere questa visita sul piano internazionale, in particolare pensando alla delicata questione della pace e del dialogo interreligioso?
È un gran bel segno di Dio che la visita di Benedetto XVI sia coincisa con la conclusione del nostro Capitolo generale: solitamente erano i frati del Capitolo che si recavano in pellegrinaggio a prestare obbedienza al successore di Pietro, ma questa volta la Provvidenza ha voluto farci il dono della presenza del Papa presso il corpo del padre san Francesco. Siamo sicuri che si tratta di un segno della speciale benevolenza di Benedetto XVI nei confronti del luogo che il suo amato predecessore aveva innalzato a «cattedra della pace e del dialogo». La visita, inoltre, si è inserita nell’ambito delle celebrazioni dell’VIII centenario della conversione di Francesco d’Assisi: l’insistenza con cui il Santo Padre richiama di continuo alla centralità di Gesù Cristo nella vita dell’uomo non può che costituire per noi un ulteriore stimolo a perseguire con decisione la strada della conversione. Siamo felici e profondamente grati a papa Benedetto e l’attendiamo con gioia per confermargli la nostra volontà di camminare con la Chiesa, sull’esempio di san Francesco che nutriva un amore quasi viscerale per il «Signor Papa».