Suor Pia e la fame nel mondo
Nel vederla, viene in mente la figura di madre Teresa di Calcutta. Mingherlina, tono di voce basso, mani raccolte sul grembo. Quando parla, dice cose molto semplici ma che hanno tutto il sapore della verità profonda e, soprattutto, di una convinzione che viene prima che dalla testa, dal cuore. Si chiama Pia, anzi suor Pia. Pia di nome e di fatto: una capacità unica nell`esprimere la pietas verso tutti coloro che, ad iniziare dagli ultimi, si rivolgono a lei.
Proviene dalla campagna veneta, quando questa era semplicemente campagna veneta e non il «mitico» Nord est. Terra di valori, terra di tante vocazioni radicate nelle solide radici cristiane. Terra anche di fame e di fatica.
Suor Pia ha trascorso più di cinquant`anni in Africa, mettendo radici in quel continente. Dopo una vita spesa al servizio dei poveri di laggiù, obbediente, è ritornata in Italia a prestare aiuto alle consorelle malate. Serena, nonostante il «mal d`Africa» che ha preso anche lei, come tutti quelli che a quel doloroso, ma affascinante, pianeta hanno dedicato tempo e cuore, comprendendone, accogliendone e condividendone i grandi valori, la ricchezza della cultura, la capacità degli africani di essere lieti, di sorridere anche nelle sventure e, infine, la loro disarmante semplicità di spirito. Senza nascondere i conflitti che lacerano quella terra e le tristissime realtà di miseria e di sottosviluppo che la fanno apparire quasi un continente alla deriva.
Quella di suor Pia in Africa è stata una condivisione concreta, pratica. Di fronte al dramma dei ragazzi di strada, sempre più numerosi nel venir meno dell`antica famiglia allargata, il clan, capace di trasmettere valori, di assorbire drammi, di accogliere e far crescere tutti i suoi membri, anche i più piccoli, quando la morte dei genitori li rendeva soli. Ora quel tipo di famiglia non esiste più, l`aids e altre vicende sociali e politiche l`hanno distrutta e per gli orfani non c`è più l`ombrello protettivo del clan, c`è solo la strada con i suoi pericoli, fino a quando qualcuno non si decide a prendersi cura di loro.
Suor Pia è una di questi «buoni Samaritani» che, incrociati i drammi di questi piccoli abbandonati senza futuro, si sono fermati a soccorrerli. E nel pieno rispetto della cultura africana, che è diventata sua seconda pelle, ha messo in piedi un`organizzazione capace di far fronte alle esigenze di circa ottocento ragazzi, sostenuta da una rete di volontari del luogo, preparati a riallacciare i rapporti con quanto resta della loro famiglia, a rendere possibile ` grazie a molti benefattori europei ` un`istruzione di base per poterli, poi, avviare al lavoro.
Nonostante il «mal d`Africa» che un po` l`angustia, suor Pia oggi lavora con grande serenità , in un quartiere degradato di una grande città del Meridione italiano. Quando la incontro, mi dice sempre che qui le cose stanno peggio che nella «sua» Africa, a causa di culture diverse messe insieme da una sofferta immigrazione, del degrado socio-ambientale, dell`assenza di strutture fondamentali... Lei, ogni giorno, con le sue consorelle, stabilisce rapporti, incontra persone, si fa prossimo, «si lascia mangiare» con la sua disponibilità e capacità di accogliere.
Questa è semplicemente una testimonianza, che sento di condividere con voi, all`indomani della chiusura del vertice internazionale della Fao, nella blindata sede di Roma, nel quale sono stati fatti tanti discorsi: tutti giusti, doverosi, d`obbligo. Ma spesso solo discorsi, parole, cui non seguono fatti concreti, decisivi per sottrarre a un destino di morte per fame una consistente fetta di quanti, e sono milioni e milioni, ogni anno soccombono per mancanza di cibo.
Sento, allora, che un grazie debba essere rivolto alle molte suore, volontari laici, missionari, che di fronte al problema della fame e dell`ingiusta divisione dei beni, delle polemiche sull`eccessivo numero di figli messi al mondo dai popoli poveri e di altro ancora... non si accontentano delle parole, dei proclami, dei grandi e spesso fallaci progetti, ma «si lasciano mangiare». Tra tante parole sentite, destinate a lasciare le cose come stanno, semplicemente e cordialmente: grazie.