Sviluppo dal volto umano
Il 70% dei poveri e i due terzi degli analfabeti sono donne. Eppure la parte più debole dell'umanità ha in sé le chiavi per cambiare il mondo. I motivi li elenca, in un recente saggio, Amartya Sen, Premio Nobel per l'Economia nel 1998: Ci sono ormai molte prove che quando accordi economici e sociali si allontanano dalla pratica della proprietà maschile, le donne sono in grado di guidare gli affari e le iniziative economiche con più successo. Ed è anche ormai chiaro che le donne inserite nel circuito produttivo non guadagnano solo per sé ma riversano sulla società i benefici del loro status e della loro indipendenza (India's National Magazine Oct. 27-Nov. 09, 2001).
Il fatto che le donne abbiano un ruolo chiave per lo sviluppo, risulta da pochi dati dell'Onu: 828 milioni di donne svolgono nel mondo i due terzi del lavoro ma ricevono in cambio un centesimo dei beni disponibili. Il lavoro domestico rappresenta dal 10 al 35% del Prodotto interno lordo del mondo, ma non è riconosciuto né pagato. Nel terzo mondo le donne si fanno carico del 70, 80% dell'assistenza sanitaria e della produzione dei tre quarti del cibo disponibile. Dai loro redditi e dalla loro consapevolezza dipende la vita e il futuro dei figli e l'assistenza degli anziani e degli handicappati.
In questo quadro s'innesta il successo del microcredito tra le donne del terzo mondo: un'esperienza che nacque in Bangladesh nel 1976, ad opera di un professore universitario di Economia, Muhamad Yunius, e che portò alla fondazione della Grameen Bank, una banca rurale che fino ad oggi (ultimi dati 2002) ha prestato denaro a 2,4 milioni di persone, al 95% donne, per un importo complessivo di 3,4 miliardi di dollari e con un tasso di recupero del 98%: un livello che nessuna banca dei ricchi ha mai osato sperare. Queste esperienze internazionali convalidano il lavoro che la Caritas antoniana ha fatto in favore delle donne e dei bambini in questi ultimi anni, seguendo un cammino proprio. Ed è per questo che l'istituzione caritativa dei frati dedica anche la campagna di solidarietà del 13 giugno 2003, festa del Santo, alla promozione della donna.
Tanzania 200 mila euro
Mapato, acronimo della campagna Microcredito contro povertà e Aids in Tanzania (Microcredit against poverty & Aids for Tanzanian opportunities), in lingua Kiswahili significa reddito. La parola ben descrive il fine del progetto che la Caritas antoniana finanzierà nell'arcidiocesi di Dar es Salaam: prestiti modesti per creare piccole imprese a favore di 1.000 donne povere e 60 famiglie colpite dall'Aids.
Le politiche di ristrutturazione economica di questi ultimi anni hanno escluso sempre più persone dalla possibilità di andare a scuola e di curarsi. Per alleviare la povertà , la donne e i giovani hanno tentato attività economiche autonome, senza avere il sostegno di un'adeguata preparazione e la possibilità di accedere al credito. La Caritas dell'Arcidiocesi ha colto questo impegno e nel 1999 si è collegata al circuito mondiale del microcredito, importando a Dar es Salaam i Cbscs (Community based savings & credit schemes), cioè gli Schemi di risparmio e credito su base comunitaria. L'esperienza della Caritas di Dar es Salaam è però una goccia in un mare di bisogno. Nessuna banca fa prestito a chi non ha nulla da offrire in garanzia. Poche sono le Ong in grado di gestire il microcredito e quelle poche sono in una fase di studio-pilota. Il bisogno è invece inversamente proporzionale: i prestiti della Caritas coprono solo il 5% delle richieste. Mancano risorse finanziarie, pare per più di 10 mila clienti in grave stato di povertà .
La richiesta alla Caritas antoniana è dunque quella di alimentare il fondo di 200 mila euro per far accedere ai prestiti almeno mille donne nei prossimi tre anni, e per avviare un'esperienza pilota di microcredito per le famiglie degli ammalati di Aids.
Eritrea 120 mila euro
Il progetto di microcredito della Caritas antoniana in Eritrea si presenta più complesso. C'è, però, un punto di forza: la grande esperienza e amicizia con il popolo eritreo del curatore del progetto, il Gruppo Missioni Asmara (GMA) di Montagnana (Padova). La Ong che ha sedi in 32 città italiane, opera in Eritrea dal 1972 e gestisce progetti solo attraverso personale locale. Il GMA ha individuato quattro villaggi rurali. Li abbiamo selezionati - spiega il presidente GMA, padre Vitale Vitali - perché con essi collaboriamo da molti anni. Ci sono poi altri fattori: la popolazione non ha accesso al credito e le donne del villaggio hanno manifestato l'interesse di avviare piccole attività produttive. Inoltre, ci aiuta il fatto che l'anno scorso, nei villaggi, sono stati costruiti i centri comunitari di promozione della donna che potrebbero diventare il cuore della formazione sul progetto.
La Caritas antoniana ha raccolto il testimone: Il progetto che noi finanziamo - afferma padre Luciano Massarotto - può non avere ricadute in questa emergenza ma sarà fondamentale per prevenirne altre. Dare alle donne e alle famiglie un reddito che non viene solo dall'agricoltura, significa sganciarle per sempre dal rischio di morire per un raccolto andato male.
Il progetto è rivolto alle donne, non solo perché gli uomini sono al fronte ma anche perché esse operano nei gangli vitali delle società rurali. Le attività proposte dalle donne sono vagliate da un ufficio tecnico che fa capo al GMA. Esso ha una visione più vasta delle attività necessarie che sono avicoltura, apicoltura, allevamento ovini, piccolo commercio, coltivazione ortaggi, artigianato, taglio e cucito. Ogni villaggio dovrà dotarsi di un ufficio e di uno staff specializzato. Il progetto durerà tre anni e ne beneficeranno almeno 360 donne. Dopo questo periodo di assestamento, è previsto che ogni villaggio autogestisca il suo fondo, sotto la supervisione del GMA, per almeno altri 6-10 anni.
Il finanziamento richiesto alla Caritas antoniana per avviare il progetto (personale, formazione, costi gestione) e per il primo nucleo del fondo rotativo è di 120 mila euro.
Burundi 210 mila euro
Vedove senza casa e senza lavoro, spesso sieropositive o mutilate di guerra, con tre, quattro, cinque bambini. Figli propri od orfani di altri membri della famiglia. È la situazione di moltissime donne in Burundi, un Paese martoriato da genocidi e guerre tribali, iniziate nel 1993. Uno dei tanti conflitti invisibili che ha causato, e causa, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi, in maggioranza donne e bambini. È a loro che la Caritas antoniana ha pensato quando ha accettato di finanziare un progetto per risollevare le sorti di 350 vedove con figli nella Diocesi di Burbanza, nel Nord-Ovest del Paese.
In un contesto difficile come quello del Burundi - afferma padre Luciano Massarotto, direttore della Caritas antoniana -, non è pensabile avviare un progetto di microcredito perché non ci sono i presupposti, ma dare alle vedove una casa per sé e per i figli, e i mezzi minimi per sopravvivere è la base da cui partire per progettare uno sviluppo sostenibile. Ogni vedova riceverà una casa di mattoni, due parei per vestirsi, e una capra da latte per uso familiare ma anche per garantire un piccolo reddito.
Un progetto semplice che cambierà la vita delle persone coinvolte, perché le vedove e i loro figli sono oggi i soggetti più esposti alla povertà , alla violenza e al pregiudizio.
Una donna senza marito non ha diritti. Se in più non ha casa, rimane completamente senza protezione per sé e per i propri figli. Non sono rari i casi in cui una vedova è costretta dalla famiglia del marito a un nuovo matrimonio per toglierle la proprietà della terra. Sulle vedove incombe anche lo stigma dell'Aids, diffusissimo nel Paese. Uno stigma che diventa una condanna, quando il marito è morto a causa della malattia o c'è il sospetto che esse abbiano contratto il virus prostituendosi per sopravvivere.
Per aiutare le vedove, la diocesi di Burbanza ha iniziato a cercare finanziamenti per conto proprio.
Una casa, la capra e due parei costeranno alla Caritas antoniana 598 euro a donna. Il costo totale per 350 donne è di circa 210 mila euro.