Un futuro ancora da ricostruire

01 Settembre 2002 | di

Ricordo la foto di copertina del «Messaggero di sant`€™Antonio» dell`€™ottobre dello scorso anno: le due Torri Gemelle, nuove di zecca, anzi non ancora ultimate, che, scintillanti alla luce del tramonto, si specchiavano sulle acque dell`€™Oceano. Ricordo il titolo che campeggiava sulla copertina: «Adesso ricostruiamo il futuro», che pareva inesorabilmente compromesso dal vile attentato dell`€™11 settembre. C`€™era in tutti noi stordimento e paura. Ma anche molta speranza. Rimasta in parte delusa, perché quel futuro da ricostruire ci appare ancora molto lontano. L`€™anno da allora passato sembra solo aver acuito il disorientamento che quel tragico gesto ha provocato. Lo scorso marzo ho avuto l`€™opportunità  di vedere il grande vuoto lasciato dalla caduta delle due torri, simbolo del vuoto in noi non ancora colmato. E non basteranno certo a farlo i progetti di ricostruzione presentati dai tecnici lo scorso luglio, tra l`€™altro di scarso gradimento.

Disorientamento dunque. La guerra contro i signori del terrorismo non ha raggiunto appieno lo scopo. Impressionanti le sproporzioni tra i sofisticati mezzi militari impiegati e l`€™arretratezza dei luoghi in cui la guerra si è combattuta, senza riuscire a colpire la testa del drago. Il disorientamento riguarda i rapporti tra due mondi, Oriente e Occidente; tra due culture e civiltà , cristiana e islamica: così diverse e insieme vicine, così dipendenti l`€™una dall`€™altra per potere realizzare un futuro di giustizia e di pace per tutti.

Anche il conflitto tra israeliani palestinesi, che sembra non avere mai fine, contribuisce ad accresce in noi l`€™incertezza. Pareva che, dopo l`€™11 settembre, la prima pietra per la costruzione di un mondo più pacifico, dovesse essere proprio la soluzione di questo conflitto. Ma questo non è avvenuto. Si è anzi continuato a combattere, a sparare, a uccidere in un crescendo di barbarie che dimostra una volta di più che la violenza genera altra violenza e allontanando all`€™infinito l`€™ora della pace. E aumentando il numero delle vittime innocenti.

Il disorientamento provoca inevitabilmente insicurezza; l`€™insicurezza genera il bisogno di punti chiari e fermi: che si possa, ad esempio, dire bianco al bianco, nero al nero; che ci siano ovunque confini netti all`€™interno dei quali ognuno possa stare e sentirsi protetto e non minacciato da alcun estraneo. Ma la realtà  è assai più complessa di questo semplice schema, il quale, pur legittimo e chiaro in apparenza, potrebbe non essere la vera soluzione dei problemi. Che potrebbe invece essere, utopisticamente, la possibilità  di vivere in un mondo senza confini, dove il rispetto, la tolleranza, la solidarietà , l`€™amore insomma, siano le leggi fondanti del vivere insieme. È questo, del resto, il «Regno» previsto dal Vangelo.

Dice la Bibbia nel libro di Qohelet che c`€™è un tempo per sperare e un tempo per non sperare. Oggi il termometro sembra segnare il tempo del «non sperare». Ma nella prospettiva cristiana la speranza continua a essere una virtù teologale, donata da Dio stesso, e lui sa che di essa abbiamo un immediato e grande bisogno ora che l`€™orizzonte ci appare così basso e velato.

Dice sant`€™Antonio in un suo sermone: tacciano le parole e parlino le opere. Forse le parole dovrebbero diventare vere, preziose, poche ma profetiche, capaci di sorreggere la speranza e di illuminare l`€™orizzonte. Ci auguriamo di poterle sentire queste parole, avendo orecchi capaci di ascoltarle.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017