Un giubileo per i morti sulle strade. Non è fatalità
È ora di rifletterci bene, la strada è la prima causa di morte per gli italiani sotto i 40 anni. Una tragedia che strazia 8 mila famiglie all'anno. In questo giubileo ricordiamo che la lotta per la vita oggi si combatte anche sulle strade, tra le inadempienze dello stato e la nostra colpevole propensione al rischio. L'esperienza di frontiera di alcune associazioni private.
Imola, patria della Formula 1 e del mito della velocità , è anche sede del più importante centro di riabilitazione per lesioni gravissime, dovute a incidenti stradali. Non è raro vedervi ragazzi che muovono solo una mano o la testa. Contraddizione di un'Italia a quattro ruote che ama il rischio, odia le regole, stenta a riconoscere le cause dell'assurda mattanza sulle strade e che alla prevenzione preferisce lo scongiuro.
Eppure quale guerra mondiale provoca 900 mila morti all'anno, quasi 50 mila solo nell'Ue (Unione Europea)? Ciò significa che ogni 10 anni una città come Bologna sparisce dal vecchio continente. L'Italia, dal canto suo, detiene la maglia nera degli incidenti stradali: ogni anno conta 8 mila morti, più di 270 mila feriti, 20 mila disabili e un costo sociale di 50 mila miliardi. Nel nostro paese si ha una probabilità 14 volte superiore di morire sulla strada che di una malattia cardiovascolare, persino il cancro colpisce a morte sei volte di meno. La strada è la prima causa di decessi per le persone sotto i 40 anni e il suo devastante bottino non si ferma agli incidenti: «Nelle famiglie delle vittime - scrivono nel libro Dall'altro lato del cammino (ed. Archinto), Marcella Castellini, presidente del Comitato vittime della strada, e Ombretta Rondanini - ci sono alte percentuali di divorzi, abbandono del lavoro, malattie, gravi depressioni e perfino suicidi». Ce n'è abbastanza per domandarsi come mai in Italia nessuno davvero s'impegni ad affrontare un problema di così vaste proporzioni nei termini adeguati.
E noi facciamo le corna
«La causa principale d'incidenti stradali afferma Luigi Fasce, psicologo della sicurezza stradale - è il fattore umano, cioè l'automobilista. Il 73 per cento dei sinistri e il 50 per cento dei morti sono dovuti esclusivamente a tre soli comportamenti: la guida distratta, il mancato rispetto della distanza di sicurezza e l'eccesso di velocità ». Quasi 4 mila incidenti e 400 morti sono causati da alcol, sonno e improvviso malore.
Una recente indagine dell'Aci (Automobile club d'Italia) la dice lunga sul comportamento alla guida dell'italiano medio: l'80 per cento degli intervistati ammette con naturalezza di aver superato i limiti di velocità nell'ultimo anno, il 76 per cento di non aver utilizzato le cinture di sicurezza e il 57 di aver parcheggiato in divieto.
«In Italia e nei paesi latini in genere c'è una totale mancanza della cultura del rischio - è l'analisi di Francesco Saladini, avvocato, papà di una giovane vittima e vicepresidente del Comitato familiari vittime della strada - . Siamo un paese incline alla scaramanzia che preferisce arrendersi al destino piuttosto che dirigerlo, come invece avviene nei paesi anglosassoni». Ruolo fondamentale in questa non-cultura ce l'hanno i mezzi di informazione: «Parlano del sangue, all'indomani dell'incidente - continua Saladini - ma poi perdono tempo con grandi cretinerie, mentre un programma serio su questi temi potrebbe salvare molte vite».
Al fatalismo diffuso si aggiungono la condizione disastrosa delle strade, gli interessi dei poteri forti, le inadempienze dello stato. Secondo una ricerca Eurispes «nel nostro paese le reti viarie sono ferme agli standards degli anni '70, mentre i flussi di traffico sono aumentati del 60 per cento». Il 73 per cento degli incidenti succedono in città e, secondo l'Istat, le strade più pericolose sono le statali.
Vittime delle lobby
Gli interessi più forti in ballo sono quelli dell'industria motoristica e del petrolio. Il numero delle auto in molte città è salito in 3 anni anche del 40 per cento, grazie a un marketing aggressivo, a servizi pubblici inefficienti, a un'idea di macchina non più come mezzo di trasporto ma come status symbol. Per quanto riguarda le merci, 420 mila camion quotidianamente intasano le già affollate strade italiane, causando circa 4 mila incidenti mortali all'anno. I conducenti dei bisonti della strada, secondo dati della Polstrada, si macchiano ogni anno di ben 676.668 violazioni riguardanti soprattutto il superamento dei limiti di velocità e il rispetto del regolamento Ue sui tempi di guida (non più di 9 ore) e di riposo.
Ma la massiccia presenza di traffico pesante non è l'unica anomalia italiana: «Negli altri paesi - afferma Saladini la pressione dell'opinione pubblica è riuscita a ottenere qualche compromesso con l'industria motoristica e a questo obiettivo si deve tendere anche qui ottenendo, per esempio, che i dispositivi di sicurezza siano dati di serie. In Italia la sicurezza è un lusso o meglio un optional».
L'altro potere forte è l'industria degli alcolici: «Questo è l'unico paese - denuncia Giorgio Biserni dell'Associazione sostenitori e amici della polizia stradale - in cui si può fare con il pieno di benzina anche il pieno di alcol, senza temere di essere controllati. In Italia gli etilometri sono poco usati perché i comuni non sono incentivati a utilizzarli; i proventi delle multe, a differenza degli autovelox, vanno allo stato e non alle amministrazioni locali».
Se lo stato fa cilecca
Fanno da sfondo a questo intreccio di responsabilità e interessi le numerose inadempienze dello stato. «Nessun potere dello stato sta facendo il proprio dovere - denuncia Saladini - . Il potere legislativo, dopo il nuovo codice della strada del 1992, sembra essere andato in letargo. Ci sono varie proposte di legge tra cui la nostra, sostenuta dall onorevole Misuraca, che restano nel limbo e non vengono mai discusse». Anche l'esecutivo non brilla per zelo: «Per esempio, la legge sul casco obbligatorio per tutti i motociclisti, tanto sbandierata nel 1998 è passata in cavalleria». Intanto, però, più di 1600 ragazzi sono morti nel 1997 sui motorini, oltre il 70 per cento non portava il casco.
Gravi responsabilità ha anche il potere giudiziario, soprattutto per ciò che avviene dopo l'incidente: «Le pene ci sono ma i giudici non le applicano - spiega Saladini - . Un ubriaco che uccide e ferisce più persone negli Stati Uniti si becca 10 anni di galera, in Italia, mal che gli vada, gli danno 18 mesi con la condizionale e il ritiro della patente per qualche mese. Per di più non paga una lira, perché tanto c'è l'assicurazione». Ma ciò che è più estenuante è che le cause possono durare lustri: «Il tribunale di Ascoli Piceno ha da poco concluso una causa per incidente stradale nel quale un uomo si era rotto una gamba: è durata 17 anni. Figuratevi lo strazio quando il caso in questione è una giovane vittima o un disabile che ha urgente bisogno di essere indennizzato per curarsi».
Altra chicca di questo nostro stato indifferente: recentemente, contro ogni opportunità , è stato depenalizzato il reato di guida senza patente. La cosa è tanto più grave se si mette in relazione al sistema del rilascio delle patenti in Italia. Secondo l'Eurispes l'abilitazione alla guida viene data con eccessiva leggerezza. Il dato più preoccupante viene da un'inchiesta, svolta a Roma, secondo la quale tra il 5 e il 10 per cento delle patenti potrebbero essere viziate da esami irregolari. «Ciò che è peggio - spiega Luigi Fasce - è che pur sapendo che il fattore umano è la principale causa di incidenti stradali, a tutt'oggi in Italia si continua a rilasciare la patente senza una valutazione psicodiagnostica e psicoattitudinale che potrebbe valutare la propensione al rischio o alla velocità , la prontezza di riflessi, ecc. Negli altri paesi civili d'Europa questo tipo di accertamento è obbligatorio».
Tutti segni evidenti che la morsa del controllo statale, che spesso rimane uno dei pochi deterrenti, è sempre più labile: «Il problema numero uno - afferma Biserni - è quello di fare applicare le leggi che già esistono. Qualcuno mi spieghi perché dal 1994 al 1998 la presenza delle polizia sulle strade è diminuita del 30 per cento, o perché s'impiegano normalmente 10 mila agenti negli stadi, dove comunque gli incidenti sono limitati, e solo 2 mila per le strade sapendo che ogni sera contiamo 20 morti?».
Sempre gli ultimi della classe
Eppure un'inversione di tendenza sarebbe possibile. La vicina Slovenia sta dando a paesi con ben altre risorse a disposizione un esempio di civiltà . Negli ultimi anni ha potenziato la polizia stradale e i controlli con autovelox ed etilometro, ha imposto la patente a punti, che penalizza con un punteggio a scalare chi compie più infrazioni fino al ritiro della patente che dura ben 2 anni. Con questi soli provvedimenti ha ridotto gli incidenti del 20 per cento e la mortalità del 22.
L'Italia, invece, in queste problematiche è il fanalino di coda soprattutto nei confronti dei partner europei. «L'Europa afferma Marcelle Haegi, presidente dell'Associazione europea vittime della strada - , ha preso coscienza che 50 mila morti l'anno sono troppi, e ha stilato un programma con 55 diverse proposte per ridurre del 40 per cento la mortalità nelle strade europee. La motivazione è anche economica: la comunità europea valuta un morto o un disabile per causa di incidente stradale 1 milione di Ecu. Si è constatato, al contrario, che investire 1 milione in sicurezza significa risparmiare un miliardo in danni da incidente».
L'Italia, che di queste cose è informata al pari degli altri paesi, ancora una volta rimane a guardare: «Il vostro governo continua Haegi - ha promosso un piano straordinario di sicurezza stradale che costerà 300 miliardi di lire all'anno per tre anni: ciò sul piano della prevenzione è un nonsenso perché equivale a una spesa di 2 mila lire a cittadino italiano mentre si sa che il costo attuale degli incidenti è di 1 milione di lire a testa. Un rapporto di 1 a 500 è assolutamente ridicolo, visto che l'esperienza europea dimostra che un buon rapporto di costo beneficio e di 1 a dieci o 1 a venti».
Il piano di cui parla Haegi è stato sbandierato ultimamente in occasione delle riunioni straordinarie dei ministeri dell'interno e dei lavori pubblici, dove si sono decise misure d'urgenza per arginare la strage estiva sulle strade. «Assurdo - ribatte Saladini - : questi improvvisi risvegli di coscienza, tipici di ogni estate, dimostrano solo una cosa: non è stato fatto nulla a monte». «La montagna non ha partorito neppure il topolino - incalza Biserni - ; la maggior parte delle misure sono solo ipotesi sulla carta. A parte qualche controllo in più, tutto è rimasto come prima. Anzi, dopo il sussulto estivo la polizia stradale sarà ridotta di almeno 500 unità . È molto strano che questo stato, che riceve in tasse dal comparto dell'auto oltre 130 mila miliardi all'anno, non riesca poi a trovare i soldi per migliorare le strade, preparare personale specializzato, aggiornare e intensificare i mezzi di controllo e soprattutto per imporre quell'investimento a lunga scadenza che è l'educazione stradale dei nostri figli».
Per fortuna ci sono loro
Nel panorama poco roseo della nostra madre patria s'intravedono spiragli di cambiamento. Un ruolo fondamentale nel sensibilizzare l'opinione pubblica ed esercitare pressione sulle istituzioni, l'hanno ancora una volta le associazioni private: espressione coraggiosa di un moto di ribellione che viene dal basso, dalla vita vissuta e spesso da un dolore profondo. Sono le associazioni delle vittime della strada; attualmente 12 quelle recensite in Italia, ma c'entrano anche le associazioni di chi sulla strada ci lavora o ci passa molto tempo, come l'Associazione amici della polizia stradale o Sicurstrada, sorta nel '90 in seguito al movimento delle madri antirock, o ancora il Coped, il Coordinamento nazionale pedoni, che da tempo denuncia le 1500 persone tra cui molti vecchi e bambini - uccisi ogni anno da auto e motorini.
Una delle attività fondamentali è l'educazione dei giovani; molti genitori di ragazzi morti per le strade s'impegnano ad andare nelle scuole, nelle discoteche a parlare del problema, a organizzare corsi per gli insegnanti e convegni di studio a carattere nazionale: «L'educazione stradale nelle scuole è prevista dal nuovo codice - afferma Biserni - ma chi davvero la applica? Ormai è banale capire che se non si comincia dall'asilo, dall'educazione del pedone, fino ad arrivare all'educazione del motociclista e poi del futuro automobilista, difficilmente lo si può fare a 16 anni quando ormai il mito è Schumacher».
Attivissima in questo campo è Sicurstrada: «Nella nostra attività - afferma Sandro Vedovi, responsabile nazionale dell'associazione, che ha ben 27 comitati in Italia - abbiamo incontrato più di 100 mila giovani, distribuendo gratuitamente nelle scuole di tutta Italia migliaia di videocassette, testi e pubblicazioni sulla sicurezza stradale». L'Associazione amici della polizia stradale - 20.500 iscritti, in gran parte forze dell'ordine - collabora con Sicurstrada con un occhio più rivolto alla sicurezza nelle strade, all'impiego di mezzi e uomini adeguati: «Siamo noi quelli che alle 5 del mattino suonano il campanello per dare una bruttissima notizia; queste stragi ci toccano da vicino, non possiamo stare a guardare», afferma Biserni, presidente dell'associazione.
Uniti contro l'iposcrisia
Altro punto fondamentale delle associazioni è la sensibilizzazione dell'opinione pubblica: «Sono stanca dell'ipocrisia! Le cose bisogna dirle, gridarle, perché i nostri figli non siano morti invano», afferma con energia tutta emiliana Carla Mariani, una delle leader del Comitato italiano vittime della strada, un figlio di 18 anni, ucciso nelle famose «stragi del sabato sera». La signora Carla ha creato una realtà unica nel suo genere in Italia: un tavolo unico provinciale per la sicurezza stradale che comprende tra l'altro un osservatorio sugli incidenti stradali. Quest'ultimo sforna dati aggiornati ogni tre mesi, grazie a una fitta rete di relazioni con le varie realtà locali: genitori, carabinieri, vigili urbani, soccorritori, volontari, ecc. L'iniziativa è importante perché crea un circuito di solidarietà e compartecipazione tra tutti gli addetti alla sicurezza, perché provoca dei controlli incrociati e perché fa toccare con mano la reale entità del fenomeno. Infatti, i dati forniti dall'Istat sono limitati perché arrivano con anni di ritardo e non tengono conto dei decessi avvenuti anche a giorni o mesi di distanza dall'incidente. Pare che tra i dati ufficiali e quelli delle autorità sanitarie ci sia una differenza del 30 per cento in più. «Con questi dati noi andiamo dappertutto - conclude la signora Carla - : scuole, giornali, sindacati, Aci, comuni, chiesa, famiglie e facciamo pressione per ottenere cose molto concrete come, per esempio, l'aumento dei controlli».
Ma le associazioni delle vittime hanno un altro importantissimo ruolo: indirizzare e aiutare chi si trova a vivere una tragedia della strada. Per esempio, l'Associazione «Manuela», sorta per l'impegno del signor Andrea Dan, padre di Manuela morta in seguito a uno scontro frontale con l'auto di un diciannovenne lanciato a 170 chilometri orari in una strada in cui non si potevano superare i 50, sta creando un pronto intervento psicologico per informare le famiglie nel modo meno traumatico possibile e seguirle nei giorni successivi.
La protesta delle associazioni ha ormai raggiunto anche i palazzi romani. Per esempio, la proposta di legge presentata dal Comitato italiano vittime della strada ben esprime le richieste dei parenti: l'educazione stradale nelle scuola; l'obbligo di corredare ogni veicolo di un meccanismo di limitazione della velocità ; un più adeguato accertamento della responsabilità e pene più severe e più in linea alla gravità del fenomeno; il riconoscimento di una responsabilità personale non assicurabile che obblighi il responsabile di gravi incidenti a versare, in un fondo destinato alla prevenzione, una somma pari al 10 per cento del risarcimento riconosciuto dalle assicurazioni. Ma soprattutto una giustizia più veloce e più attenta alle vittime: «A tutt'oggi un morto vale meno di un sopravvissuto - afferma il professor Lerario Antonio, genitore di una vittima e si arriva all'assurdo di liquidare, come è appena successo, la vita di un diciottenne siciliano solo 120 milioni di lire. Al Nord le quotazioni sono più alte». La richiesta è quindi un risarcimento per il danno biologico uguale in tutta Italia e la liquidazione di una provisionale, cioè di una parte del risarcimento, già nella prima udienza.
La via è lunga e in salita: troppo forti i poteri in gioco, troppo lenta la reazione delle istituzioni. Una cosa è certa: il muro del silenzio è rotto, a noi ora fare la nostra parte.
INTERVISTA AL CARDINALE ERSILIO TONINI
LO STATO TUTELI LA VITA Nella sua lunga esperienza pastorale il cardinale Ersilio Tonini, già vescovo di Ravenna, ha dovuto assistere, impotente, a molte tragedie collegate agli incidenti stradali. Msa. Cardinale Tonini, si ha la sensazione che di fronte a queste morti, assurde e in un certo senso evitabili, si sia fatta l'abitudine. Che riflessione si sente di fare? Perché, secondo lei, così tanti incidenti? Qual è la responsabilità delle istituzioni in tutto questo? Lei, dunque, denuncia delle forti responsabilità da parte dello stato... Allora, quali conclusioni trae da questa situazione? |
Intervista a Pio Cerocchi , portavoce del Ministro dell'Interno. Msa. Il problema è gravissimo. C'è nelle istituzioni questa spinta a intervenire con soluzioni radicali o dobbiamo vivere d'interventi d'urgenza? L'intensificazione dei controlli di questa estate sarà estesa anche agli altri periodi dell'anno?
Cosa si sta facendo per limitare la presenza dei tir, una delle principali cause di mortalità sulle strade?
LA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONI
Cerocchi . Il governo è pienamente consapevole del problema e già nelle riunioni di questa estate ha assunto una linea ben definita: far rispettare le regole che già ci sono, intensificando i controlli. Certo la repressione non basta, ci vuole anche l'informazione attraverso messaggi pubblicitari televisivi, come già avviene, ma soprattutto il ripristino dell'educazione stradale nelle scuole, cosa che c'era una cinquantina di anni fa. Ma tutto ciò non è facile da applicare perché coinvolge milioni di persone. Per esempio la scuola è una macchina complicata, ha bisogno dei suoi tempi. Il tutto e subito non è possibile.
È stato stabilito da tempo l'aumento degli uomini della stradale ad oltre 13 mila unità , rispetto alle 11.500 di oggi. Immediatamente verranno assunti 224 agenti per la Napoli-Reggio Calabria, dove si sono aperti una quantità enorme di cantieri per allargare il tratto autostradale. Voglio sottolineare che il problema non è solo del numero ma della qualità degli agenti e delle tecnologie che vengono messe loro a disposizione. Per esempio, nonostante il numero di vigili urbani nelle città , sono proprio queste ultime a registrare il maggior numero d'incidenti. E poi, per fare un altro esempio, quanti di loro davvero multano chi guida senza cinture di sicurezza? Sarà forse banale ripeterlo, ma la questione è più generale: è un problema di cultura. In Italia la cultura della legalità è in ritardo per motivi complessi che meriterebbero ben altri approfondimenti.
Oggi, nel campo dei controlli, ci sono tecnologie aanzate e col tempo si arriverà a forme di specializzazioni molto forti, anche perché le sfide della illegalità e del disordine sulle strade lo richiedono.
Anni fa era stato previsto un sistema integrato dei trasporti che limitasse il trasporto su gomma e potenziasse quello su rotaia o per mare tramite una rete di interporti. Ciò per vari motivi non si è verificato e oggi il problema del traffico dei Tir rimane. Nelle riunioni di questa estate, si è cercato di limitarlo regolando il traffico dei Tir con maggior severità . Sono stati introdotti i turni tra i conducenti e la scatola nera.
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