Un lembo di paradiso

La cappella del Santissimo Sacramento coinvolge il devoto nella contemplazione del grande mistero eucaristico.Di un Dio che si fa cibo e bevanda per sostenere l’uomo nell'impegnativo pellegrinaggio della vita.
19 Aprile 2015

Il luogo di una chiesa più adatto a conservare il Santissimo Sacramento è fuor di dubbio presso l’altare principale o altare maggiore, dove quotidianamente si svolge la liturgia eucaristica. In edifici sacri più vasti e in santuari molto frequentati, dove è più complicato offrire a chi voglia sostare in preghiera o in adorazione dell’Eucaristia il giusto clima di raccoglimento spirituale, viene destinata a tale scopo una più tranquilla cappella laterale.

È successo anche nella Basilica del Santo, a partire dal 1651, quando frati e massari dell’Arca decisero di trasformare in Cappella del Santissimo Sacramento il preesistente edificio di ispirazione gotica, fatto edificare nel 1457 da Giacoma Boccarini di Leonessa, per deporvi, in apposite arche, le spoglie mortali del marito, il celebre condottiero Erasmo Da Narni, detto Il Gattamelata, e del figlio Gianantonio.

La Cappella ha conservato nel tempo il nuovo nome e la relativa destinazione. È la prima che il pellegrino incontra percorrendo la navata destra del santuario, a pochi passi dall’entrata. Anche se solitamente a essa si dedica una brevissima sosta di venerazione, la Cappella ha i numeri per meritare assai più dell’ammirato «oh!» strappato al pellegrino dallo smagliante e sontuoso arredo che ne abbellisce, addolcendole, le severe linee gotiche, rendendola nelle intenzioni di chi l’ha creata quasi un lembo di paradiso.

La Cappella è infatti un luogo appartato in cui luci, colori, simboli e presenze rapiscono il devoto nella contemplazione del grande mistero di un Dio che si fa cibo e bevanda per sostenere l’uomo nell’impegnativo pellegrinaggio della vita verso il Regno.

Un inno alla vita La Cappella ha una storia che merita di essere brevemente ricordata. Il suo assetto attuale è abbastanza recente, cioè il primo quarto del secolo passato, ed è l’approdo finale di una serie di trasformazioni compiute nei secoli, nessuna delle quali evidentemente del tutto soddisfacente.

Fino all’ultima trasformazione affidata dall’allora presidenza della Veneranda Arca e sollecitata dal rettore della Basilica, padre Vittore Sottaz, a Lodovico Pogliaghi (1857-1950), un eclettico artista milanese – scultore, pittore e scenografo – con ottime referenze, avendo al suo attivo, tra l’altro, la porta centrale del duomo di Milano (1908).

Pogliaghi ha impiegato nove anni, dal 1927 al 1936, a realizzare il suo disegno, che non prevedeva modifiche all’edificio quattrocentesco, se si eccettua l’apertura di un’abside nella parete di fondo, nella quale ha ripetuto per consonanza elementi dell’arcone d’ingresso.

L’artista milanese, estroso sceneggiatore, si è dedicato principalmente alla decorazione e all’arredo della Cappella, impegnando in tale opera fantasia, tecnica e quel tanto di fede necessaria a evitare le insidie della banalità e dello stupore fine a se stesso.

Ne è risultato un luogo sontuoso e ricco, perché destinato a ospitare una presenza divina, a raccontare un mistero, l’Eucaristia, già prefigurato da profeti e ispirati personaggi dell’Antico Testamento e compiutosi nell’Ultima Cena, alla vigilia della Passione. Un luogo quindi che, con i pur sempre poveri mezzi umani, celebra la grandezza dell’evento, e insieme offre al devoto l’ambiente giusto per soffermarsi in adorante meditazione.

Pogliaghi ha usato i pennelli per una decorazione luminosa e sapiente; marmi rari e di colori diversi, orizzontalmente accostati, non solo per ottenere effetti scenici, ma per immergere il devoto in un contesto di gioia e di vita (non è, l’Eucaristia, pane di vita?). E poi bronzi, argenti, mosaici da lui stesso realizzati, che fanno della Cappella un esempio tra i più eloquenti dell’arte del Novecento, meritevole probabilmente di maggiore attenzione e stima di quanto non le sia stato sinora riservato.

Si parte da lontano Fermiamoci ad ammirare alcune delle opere create dall’artista milanese. L’altare anzitutto, punto focale della Cappella, con il prezioso tabernacolo, sopra il quale poggiano due angeli di marmo bianco che alzano un grande ostensorio verso il cielo, dipinto a mosaico sullo sfondo trapuntato di angeli. Due figure adoranti, inginocchiate ai lati del primo gradino dell’altare, invitano i presenti alla preghiera e all’adorazione. Meritano attenzione i bronzi, nei quali l’artista ha profuso la sua abilità e creatività di scultore. Sono quattordici statue, addossate allo zoccolo che corre tutt’intorno all’edificio. Raffigurano i personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento che hanno avuto a che fare con l’istituzione dell’Eucaristia, preannunciandola o narrandola. In uno di essi, il profeta Geremia, l’artista ha riprodotto i propri lineamenti. Saggiamente, Pogliaghi non ha toccato i bei sarcofaghi in pietra d’Istria (ottime sculture di Gregorio di Allegretto, datate 1458, di scuola donatelliana) del Gattamelata, la cui figura giacente spicca in quello posto sulla parete di sinistra, e del figlio Gianantonio nella parete di destra.

Ha solo posto accanto a essi quattro coppie di graziosi angioletti, che reggono bassorilievi in bronzo, con i quali l’artista milanese racconta altri capitoli della storia dell’Eucaristia prefigurata in Abramo disposto a sacrificare il figlio Isacco, in Melchisedek che offre a Dio pane e vino, nell’Agnello pasquale immolato e nella moltiplicazione dei pani.    

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Adorante stupore

All’Eucaristia si associano, in particolare nei testi liturgici, aggettivi magniloquenti, spesso al superlativo, come Santissimo Sacramento, mirabile mistero, Corpo glorioso e Sangue prezioso.

Dottori della Chiesa (Tommaso d’Aquino ad esempio), teologi, maestri di spiritualità e soprattutto santi, ci hanno lasciato un ricchissimo repertorio di espressioni di adorante stupore per il «mirabile sacramento dell’Eucaristia». Francesco d’Assisi scrive: «Scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l’amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l’onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo» (Lettera a tutto l’Ordine, I). San Bonaventura da Bagnoregio, scrivendo la vita del Poverello, attesta: «Bruciava di fervore in tutte le sue viscere per il sacramento del Corpo del Signore, ammirando stupefatto quella degnazione piena di carità e quella carità piena di degnazione» (Legenda major 9,2). Anche sant’Antonio, ricorrendo oltre che alla propria ardente fede, al talento di teologo e predicatore, incita i fedeli alla devozione verso il sacramento dell’Eucaristia, difendendolo dagli attacchi di eretici, i catari in particolare, che negavano la presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata.

Antonio, in quel di Rimini, giunse perfino a sfidare su questo un eretico. Portata in piazza, una giumenta digiuna da tre giorni schivò il mucchio di biada lì appositamente posto, e andò a inginocchiarsi davanti all’ostia che frate Antonio teneva nelle mani. Scrive il Santo: «Si deve credere fermamente e confessare con la bocca che quel Corpo che la vergine partorì, che fu inchiodato sulla croce, che giacque nel sepolcro, che risuscitò il terzo giorno, che salì alla destra del Padre, egli oggi realmente lo diede agli apostoli, e la Chiesa ogni giorno lo prepara e lo distribuisce ai fedeli. Infatti, al suono delle parole “Questo è il mio corpo”, il pane si trasforma in corpo di Cristo, che conferisce l’unzione di una duplice ricchezza a colui che lo riceve degnamente, perché attenua le tentazioni e suscita la devozione» (Sermone per il Giovedì santo – Cena del Signore).

«Tantum ergo sacramentum, veneremur cernui…»: «Prostrati, adoriamo un così grande sacramento»! A questo ci invita il celebre inno, Pange lingua, composto da Tommaso d’Aquino per la festa del Corpus Domini. Le stesse parole la Veneranda Arca le ha fatte imprimere in caratteri di bronzo lungo il perimetro della Cappella del Santissimo, come mirabile sintesi tra le espressioni dell’arte che impreziosiscono lo spazio sacro e i contenuti teologico-spirituali espressi dall’inno uscito dalla penna, ma soprattutto dal cuore, del «Dottore angelico», come viene chiamato san Tommaso. Pogliaghi, vincendo le resistenze della committenza, ha posto ai piedi dell’altare le due ricordate sculture in marmo bianco, recanti ciascuna un candelabro tortile. Da credente qual era, con le due Oranti genuflesse ha inteso rivolgere un plastico richiamo all’adorazione, alla preghiera, allo stupore estatico che dovrebbe cogliere chi transita davanti a questa Cappella, nella quale è sempre possibile (oltre che consigliabile) entrare e sostare in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, memoriale della Pasqua di Cristo crocifisso e risorto.    NOTIZIEAprile in Basilica  Giovedì 2. Ore 18.00 santa Messa in Coena Domini animata dalla Cappella Musicale Antoniana. Processione col Santissimo Sacramento alla Cappella della Reposizione. La Basilica rimane aperta per l’adorazione fino alle ore 24.00.

Venerdì 3. Ore 15.00 via Crucis Solenne. Ore 18.00 celebrazione della Passione del Signore con l’adorazione della croce.

Domenica 5. Le sante Messe seguono l’orario festivo. Ore 10.00 santa Messa per gli associati al «Messaggero di sant’Antonio» in diretta streaming. Ore 11.00 santa Messa solenne; ore 17.00 santa Messa cantata. Entrambe le celebrazioni saranno animate dalla Cappella Musicale Antoniana.

Lunedì 6. Le sante Messe vengono celebrate secondo l’orario domenicale e festivo.

 

Eventuali variazioni o integrazioni del programma saranno pubblicate sul sito www.basilicadelsanto.org

     

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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