Un riconoscente addio e un augurale saluto
Si sono conclusi i novendiali, la sequenza dei nove giorni durante i quali, con una messa quotidiana, il collegio dei cardinali raccomanda alla misericordia di Dio l'anima del defunto Pontefice. Gli ultimi giorni, la morte, i funerali di papa Giovanni Paolo II li abbiamo seguiti in diretta, con una copertura mediatica e un'abbondanza di informazioni senza uguali, credo, nella storia del papato e dell'informazione. Impressionava quella semplice bara di cipresso, con sopra un vangelo che sembrava mosso dal soffio di un vento che non era solo atmosferico. E così la solennità , austera e precisa, del rito funebre in una stracolma piazza San Pietro, collegata in diretta con altre piazze anch'esse gremite di pellegrini. Accanto alla bara una delle più folte delegazioni di potenti, giunti da ogni parte del mondo a dare il saluto a quell'uomo, venuto dall'Est, che ventisette anni prima, inaspettatamente (per le attese curiali e politiche) era diventato il 264° successore di Pietro nella cattedra di Roma. Un uomo, Giovanni Paolo II, che ha saputo raggiungere pressoché tutte le frontiere dell'uomo, non solo con i suoi viaggi in tutto il mondo (eccetto due che non ha potuto fare: a Mosca e in Mesopotamia sulle orme di Abramo), ma anche su quelle delle domande che inquietano l'uomo.
Moderno e antico. Definizioni che si sono incrociate e scontrate: portatore di un'attenzione ai valori universali ed esistenziali, di cui si avverte il bisogno e di cui si ha nostalgia; intrepido assertore di una tradizione morale e di fede, difficilmente compresa da una modernità portatrice di valori e visioni diverse. Un uomo intrepido, Giovanni Paolo II, forgiato nella dura Polonia degli assolutismi, nazista prima e comunista dopo. Pastore coerente: dalla sua prima affermazione nel discorso di inizio pontificato quando, con la mano destra vibrante per passione, invitò a non aver paura di aprire le porte a Cristo, fino alla fine quando, con la mano scossa dal Parkinson, pronunciava quell'amen che sigillava un lungo servizio al Signore Gesù Cristo. Riposa nella pace del servo buono e fedele.
E questa sera, mentre scrivo, è fumata bianca: Habemus Papam, è il cardinale Joseph Ratzinger, che ha scelto il nome di Benedetto XVI. Un rifarsi non solo al patrono dell'Europa, Benedetto da Norcia, ma anche a un suo predecessore, forse defilato rispetto agli altri grandi nomi del '900, ma significativo nell'impegno a sostenere il sogno della pace durante la Prima guerra mondiale e la ricostruzione successiva. E sia ricco della benedizione del Signore nel suo compito di guidare la Chiesa. Benedetto XVI: lo abbiamo visto tutti, affacciato alla celebre finestra delle benedizioni, tra il commosso, l'impacciato, forse ancora stordito dal compito che gli è stato affidato. Per tre volte il suo italiano si è leggermente inceppato. Nel discorso pronunciato nella messa Pro eligendo Romano Pontifice, prima dell'apertura del Conclave, oltre a parlare di una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie, aveva delineato il compito del pastore animato da una santa inquietudine: l'inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell'amicizia con Cristo. Presentandosi al balcone ha detto di sentirsi uno strumento insufficiente di cui Dio può servirsi; umile servitore nella vigna del Signore: parole che nella bocca dell'austero e riflessivo cardinale prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, non crediamo siano solo forme di umiltà , ma espressione della sua profonda e realistica identità . Ha chiesto la preghiera di tutto il popolo cristiano. Gliela assicuriamo, Santità !